La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Benessere nei luoghi di lavoro

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Massimo Reynaudo
Massimo Reynaudo, Regional Sales Leader South Europe – Kimberly Clark

Valore in cui credere, approccio da applicare

Intervista a Massimo Reynaudo

a cura di Daniela Rimicci  

Benessere’ è una delle parole più di moda, talvolta abusate, insieme a ‘innovazione’ e a ‘sostenibilità’. Possiamo tradurre questi concetti in azioni concrete? Chi suggerisce questi valori, ci crede davvero? Li applica in primis su se stesso? Il benessere non è solo un ‘sentiment’. È un insieme di buone abitudini da recepire: chi si sente protetto e sano in azienda è motivato e produce, meglio e di più. In un’impresa di 100 persone con salario medio, il costo dell’assenteismo si attesta sui 127.000 euro l’anno. Alcune ricerche hanno dimostrato che è possibile ridurre fino all’80% le probabilità di prendere infezioni nei luoghi di lavoro, come è possibile dimezzare il tasso di assenteismo. Non è fantascienza: è informare, sensibilizzare e agire.

Il benessere è legato allo stato di salute. Ovvio. Ma cosa è possibile fare nelle organizzazioni per evitare che i dipendenti, ad esempio, si ammalino? Ne abbiamo parlato con Massimo Reynaudo, Regional Sales Leader South Europe di Kimberly Clark.

Parliamo di benessere: per voi cosa significa?
Il tema del benessere è importante, non solo come valore assoluto −come bere e mangiare−, ma anche come confermano diversi studi scientifici. È verificato che il benessere della persona nel luogo di lavoro è collegato alla motivazione e la motivazione alla produttività: ecco perché il tema assume un valore centrale. Ancor di più in questo momento storico ed economico in cui le aziende si concentrano su ricerca di efficienza, riduzioni di organico e, in generale, riduzione della spesa. Che spesso si traduce con un maggiore carico di lavoro e pressione sulle persone.
Abbiamo quindi sviluppato un programma incentrato sul benessere delle persone nei luoghi di lavoro come modo per rispondere all’esigenza di aumentare la motivazione dei dipendenti e risolvere un problema molto diffuso e con un forte impatto socio-economico: si tratta dell’assenteismo riconducibile a problematiche di salute. Per esempio, un’inchiesta di Italia Oggi ha misurato l’assenza delle persone per malattia in 6,7 giorni l’anno, che quantificati come costo per l’azienda contano il 5,3% del monte stipendi complessivo: per un’impresa di 100 persone con salario medio, il costo dell’assenteismo si attesta sui 127.000 euro l’anno!
Kimberly Clark può aiutare le aziende in questo senso con il programma The Healthy Work Place Project, sviluppato ad hoc per il benessere delle persone con il principale obiettivo di innalzare gli standard di igiene e di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Come è cambiata la percezione del concetto di benessere della persona all’interno dell’organizzazione?Benessere nei luoghi di lavoro
L’obiettivo è aiutare le aziende a creare un ambiente di lavoro più salubre e igienico, e quindi migliorare la qualità della vita delle persone all’interno dell’organizzazione. Uno studio di GDPI (Gruppo intersettoriale direttori del personale) ha registrato che il 62,5% delle assenze deriva da influenze generiche. C’è una sorta di convinzione fatalista che ritiene la questione inevitabile. La realtà dimostra che non è così.
Il nostro programma per il benessere nell’ambiente di lavoro The Healthy Work Place Project prevede una prima fase di sopralluogo diagnostico per individuare i punti cruciali e potenziali di passaggio e accumulo di batteri tra persone –ascensori, area caffè, ecc.−. Per esempio uno studio realizzato dal Dottor Gerba, microbiologo dell’Università dell’Arizona, ha verificato che sulla tastiera di un PC ci sono 400 volte i germi rispetto a una tavoletta di un WC, che −al contrario del PC− viene pulita almeno una volta al dì.
Questo dimostra che le situazioni da cui proteggersi sono semplici, ma la mancanza di informazione causa la non-curanza. Dopo l’analisi dei luoghi di lavoro, stabiliamo un semplice protocollo: distribuiamo ai dipendenti una serie di prodotti per l’igiene delle mani, dei propri oggetti e degli spazi comuni –come salviettine, saponi, ecc.−, e li sensibilizziamo a corrette pratiche di igiene. Con l’implementazione di questi protocolli siamo in grado di ridurre la probabilità di infezioni e influenze dell’80%. Non è inevitabile prendere il raffreddore: ci vogliono delle piccole avvertenze.

In che modo la vostra offerta può soddisfare le esigenze di benessere all’interno delle organizzazioni?
Il nostro approccio permette alle aziende di offrire ai propri dipendenti qualcosa di non comune e scontato: l’attenzione al benessere facilita l’aumento della motivazione, che a sua volta incide sulla produttività. Ecco esplicitato il fil rouge che lega benessere, motivazione e produttività.

Ci può raccontare il dettaglio della vostra offerta?
Benessere nei luoghi di lavoro 2La nostra offerta è assibilabile al protocollo che abbiamo sviluppato, The Healthy Work Place Project, che offre un’analisi delle aree di intervento, e una parte fondamentale operativa, che non è solo la fornitura di prodotti. Di fatto ciò che vogliamo è aiutare e supportare le persone a cambiare le proprie abitudini. Con le direzioni del personale dove implementiamo le soluzioni, organizziamo dei veri e propri lanci −in funzione delle esigenze− con cui informiamo e sensibilizziamo le persone sulle buone abitudini di igiene da migliorare e da tenere ogni giorno per il proprio benessere e quello degli altri.
Come esempio porto quello della nostra azienda: quando si crede nel proprio approccio, si deve essere ‘portatori’ per primi. Da noi tutto il personale è stato convocato per una sessione formativa in cui abbiamo mostrato filmati, presentazioni e dimostrazioni pratiche, per esempio sulle cariche batteriche presenti sui nostri oggetti e spazi. È stato un momento di comunicazione e sensibilizzazione all’azienda in cui tutti i dipendenti sono stati informati sugli accorgimenti da tenere. Ma come ben sappiamo, la comunicazione che rimane è quella visibile e che si ripete nel tempo. Oltre a rinnovare gli incontri collettivi installiamo una serie di materiali, come dei poster informativi anche giocosi, che richiamano tutte le buone abitudini da mantenere costantemente. Non abbiamo un approccio terroristico al sistema: è un dato di fatto che in alcuni momenti –nel caso dell’influenza aviaria e di quella suina− si sviluppa un panico collettivo per cui per un breve periodo le persone tendono a cambiare abitudini e ad avere delle accortezze. Ma non appena viene meno l’emergenza, viene meno anche il comportamento virtuoso.
Un altro progetto intrapreso è The Healthy School Project, un adattamento del primo progetto indirizzato alle scuole. I bambini si ammalano molto, dato che la scuola è tra i maggiori luoghi portatori di virus. Modulando il nostro approccio, cerchiamo di educarli alla propria igiene delle mani per contenere le probabilità di trasmissione del virus dell’influenza. Nello specifico, negli edifici scolastici, così come presso i nostri clienti, eseguiamo un test chiamato Swab Testing che è un semplice metodo per rilevare quanti batteri si nascondono sulle superfici apparentemente pulite in quattro aree: maniglie delle porte, fontana dell’acqua, scrivanie e tastiere dei pc.

Chi è l’interlocutore cui vi rivolgete all’interno delle aziende per affrontare la tematica ‘benessere’? Che riscontro avete?
I nostri interlocutori sono le direzioni del personale o direzioni generali, proprio in ragione del fatto che non proponiamo semplicemente dei prodotti commerciali a se stanti, ma portiamo informazione e sensibilizzazione. Diciamo che dipende molto da come l’azienda decide di affrontare il tema del benessere dei dipendenti e dell’azienda stessa, noi cerchiamo di coinvolgere tutte le aree di un’impresa, perché nessuno è esente dai ‘punti di contagio’.
Kimberly Clark propone quindi un progetto di benessere delle persone in azienda; in Italia è sicuramente giovane, rispetto a un maggiore ‘vissuto’ in altri paesi, ma la sua implementazione ha delle conseguenze misurabili e misurate –quell’80% di riduzione della probabilità di infezioni−, e sono evidenze di casi reali. Proporre alle aziende dei prodotti svincolati da una corretta strategia di utilizzo può non essere efficace. Ad esempio tre anni fa, durante la psicosi dell’influenza suina, molte aziende hanno comprato quantitativi di igienizzanti per le mani che giacciono tutt’ora nei loro magazzini o, peggio, molti prodotti sono stati smaltiti una volta arrivati alla scadenza. È accaduto perché non c’è stata la completa informazione e sensibilizzazione delle persone. Il beneficio proviene da una implementazione corretta e completa di questo protocollo a cui teniamo molto: non si paga una consulenza, diamo un ‘pacchetto’ completo da applicare per il benessere in azienda, che avrà un ritorno tangibile dell’investimento nel tempo.
Ci rivolgiamo alle direzioni del personale proprio perché troviamo un ottimo riscontro nelle aziende ad affrontare le tematiche secondo il criterio di ‘benessere’ effettivo, secondo il nostro tipo di approccio, che è anche un percorso di formazione e informazione.

Chi sono i vostri clienti? A quali aziende vi rivolgete?
Non facciamo una distinzione ‘pregiudiziale’ dei clienti, il nostro approccio è rivolto indistintamente alle persone che lavorano in ufficio. Vero è che le grandi realtà hanno una maggiore sensibilità al tema. Spesso hanno indicatori di controllo e valutazione, come tassi di assenteismo, o ancora programmi per aumentare la motivazione del personale. Quindi è evidente che ‘entriamo’ in azienda con il nostro progetto a supporto di un solco già tracciato. Ma abbiamo interesse a proporre il nostro percorso anche a realtà medio-piccole, dove l’incidenza dell’assenza delle persone ha un peso maggiore.

Per voi è molto importante il concetto di ‘sostenibilità’: come la interpretate?Benessere nei luoghi di lavoro 3
La sostenibilità è un argomento di grande attualità, anche molto ‘di moda’ se vogliamo: quasi tutte le aziende si dichiarano ‘leader nella sostenibilità ambientale’ e per suffragare questo claim propinano liste di certificazioni. Va bene, è sicuramente importante certificarsi e dimostrarlo, ma per noi la parola ‘sostenibilità’ ha una connotazione molto più ampia. La sostenibilità per noi è centrata su tre pilastri, le 3 P: prodotto, pianeta, persone.
Nell’accezione del ‘prodotto’ intendiamo più aspetti: dal design, alla scelta e uso dei materiali con cui lo realizziamo. Abbiamo anche attuato un programma cosiddetto EcoLOGICAL che prevede una serie di componenti e valori per identificare i nostri prodotti innovativi per l’ambiente: sistema di valutazione dell’innovazione ambientale del prodotto; punteggio design for environment (DfE); sistemi di tracking delle innovazioni ambientali; sistemi di tracking delle vendite; strumenti rapidi di valutazione del ciclo di vita (LCA) da utilizzare in sviluppo prodotto; risorse di comunicazione e formazione.
Mentre la seconda P di ‘pianeta’, che ruota attorno al prodotto, allarga l’area di osservazione: vi rientrano tematiche come l’impatto ambientale di quello che facciamo. Si tratta di situazioni come il trattamento efficace e sostenibile dei residui di produzione, oppure la riduzione dei consumi idrici ed energetici e la gestione di queste risorse, o ancora azioni per ridurre l’impatto del trasporto.
La terza P è rappresentata dalle ‘persone’, in termini di salute e produzione: dire soltanto che un prodotto è realizzato in modo ecocompatibile di per sé significa poco. Nei siti di produzione avvengono incidenti, di cui alcuni purtroppo anche gravi. Ebbene, all’interno della nostra definizione di sostenibilità c’è l’elemento ‘attenzione alla persona’ anche in termini di sicurezza. I nostri siti produttivi nel mondo hanno degli standard che mirano a mantenere a 0 gli incidenti mortali e ridurre drasticamente quelli non gravi mantenendoli sotto tutti gli indicatori medi. Tutto ciò è previsto dal piano per la sostenibilità fino al 2015 che abbiamo sviluppato.
Per la parte di prodotto, questo piano ha ottenuto riconoscimenti rilevanti, tra cui il premio Circle of Excellence 2012 da parte del Distribution Business Management Association nella categoria della strategia per lo sviluppo sostenibile. Analogamente il nostro approccio è stato certificato A+ da Global Reporting Initiative, organismo internazionale per la definizione degli indicatori di Benessere nei luoghi di lavoro 4performance sostenibile. Sempre sul fronte ‘prodotto’, il piano ambisce a raggiungere entro il 2015 il 25% di vendite su prodotti innovativi e particolarmente rispettosi dell’ambiente, e a ridurre del 20% l’impatto degli imballaggi. Questi standard non sono solo rivolti a noi stessi, abbiamo esteso il nostro piano anche a fornitori e partner che hanno recepito di buon grado le buone abitudini che cerchiamo di diffondere. Ciò avviene in quanto lavorando a stretto contatto con loro e volendo mantenere gli standard dichiarati è necessario comunicare loro come operiamo e fare in modo che i nostri partner facciano proprio il concetto di sostenibilità. C’è una trasmissione dei valori verso di loro e verso il mercato di tutti e tre i pilastri: persone, pianeta e prodotti. Circa la parte ‘pianeta’ il piano prevede il 100% di fibre provenienti da fornitori certificati, abbiamo tra gli obiettivi la riduzione del 25% il consumo idrico, la reintroduzione del 100% dell’acqua utilizzata nell’ambiente −senza consumarla né disperderla− con dei processi di purificazione e trattamento che lo consentono, e, tra gli altri, anche la riduzione dei gas effetto serra.
Nel 2012 Kimberly Clark si è posizionata al quarto posto nel ranking mondiale del Great Place To Work e presenti, per il nono anno consecutivo, nel FTSE4Good Index. Tra diversi altri riconoscimenti, siamo stati anche premiati come Best Employer in HealthyLifestyles proprio in ragione delle nostra iniziative implementate e promosse per il benessere negli ambienti di lavoro.

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