La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Il mondo che non c’è

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di Pier Luigi Celli

Esiste sempre, da qualche parte, un mondo che segue regole stravaganti; regole di cui è difficile capire le logiche con le sole esperienze che abbiamo accumulato nel nostro contesto abituale.
Proprio per questo, pur restando un po’ perplessi, non riusciamo a sottrarci all’impressione che sarebbe persino divertente esplorare il nuovo mondo senza pregiudizi.
Di questi universi immaginari quello dell’impresa è certamente uno dei più ricchi di suggestioni, in grado di prefigurare storie che colorano la vita di paradossi esilaranti o tragici.
Dipende dalla disposizione d’animo di chi li costruisce, preferendo seguire la strada dei sogni o quella degli incubi, così da riportarli innarrazioni liberatorie che aiutano a esorcizzare la realtà.
Nel metterli, qui di seguito, a disposizione di lettori pazienti, ci preme soprattutto richiamare la loro estrema artificialità, quasi didascalica.
Sono metafore che non rispecchiano – sia chiaro – se non la voglia di scherzare sulle debolezze di una commedia organizzativa fin troppo orgogliosa di sé e dei propri strumenti.
Nessuna pretesa di verità. Solo qualche indizio per trame più avvincenti del quotidiano.

Una storia che non esiste
Immaginiamo un mondo ipotetico in cui grandi manager guidano grandi imprese per volere di una divinità superiore che li ha selezionati così da non dover rendere conto di nulla a nessuno.
Sono ovviamente i migliori, anche se non si capisce bene in base a quali parametri, essendo che l’investitura non è discutibile e dunque va accettata a priori.
Ora, questi personaggi avranno a disposizione non solo il potere di governare, ma anche la connivenza necessaria che renderà possibile farlo senza troppi scrupoli, convinti come sono che tutti gli altri, e segnatamente quelli che da loro dipendono, non rappresentano né un’alternativa né un pericolo reale. Sempre in questo mondo ipoteticoaccadono anche altre cose singolari. Nessuno dei privilegiati, ovviamente per via dell’investitura non questionabile data la provenienza, dovrà porsi seriamente il problema del ‘dopo’: chi è scelto porta uno stigma che lo segna e lo colloca in un circuito da cui uscire sarà quasi impossibile.
Il suo si presenta come un investimento di lunga durata, come dovrebbero essere tutti gli investimenti intelligenti. E lui lo capisce molto bene.
Inoltre, con buone probabilità, potrà godere di un’aura benevolente che, fidando sulla disponibilità di supporti adeguati, garantirà all’eletto una supervalutazione dei meriti e un accurato oscuramento di eventuali défaillance.
Non chiediamoci neppure chi sono gli attori di questa rete di protezione: sarebbe ingenuo e forse neppure di grande utilità, dato che è facile immaginarli, ma diventerebbe rischioso nominarli.
Bene, è proprio in questo mondo ipotetico, e così poco reale, che si potrebbe immaginare anche una storia che ovviamente non esiste.
Resterebbe, a questo punto, da chiarire il perché ostinarsi a inventare qualcosa che non ha possibilità di realizzarsi e sprecare del tempo con le sue inevitabili assurdità.
Ma le storie, si sa, nascono e camminano per loro conto, non tengono nota della verità (non è affatto essenziale per il loro svolgimento) e servono unicamente a tenere occupata la mente in fantasie innocue, evitando pensieri che potrebbero diventare pericolosi.
Ecco allora che in questa storia incontriamo un capo azienda – ma potremmo altrettanto facilmente immaginarne un altro, e poi un altro, e così via – che ha appena ricevuto l’investitura superiore e, con l’investitura, la garanzia di un futuro di cui potrà far uso via via a suo piacimento.
E qui la narrazione diviene quasi inevitabilmente monotona, dato che gli eventi successivi sembrano non godere di nessuna spinta divagante: è come se il copione fosse scritto da tempo, sempre ovviamente dal potere superiore che officia le nomine e concede al prescelto la ‘grazia’ dello stato.
Non vi è alcun dubbio che l’azienda avuta in consegna provenga da un passato che da glorioso è poi rapidamente franato o, comunque, si è impolverata al punto da non essere più facilmente riconoscibile sul mercato.
Che sia vero, come si è detto, non è importante; le storie al massimo sono verosimili e, in ogni caso, si curano poco dei particolari insignificanti.
Il nostro, dunque, procederà rapidamente a ripulire il nuovo dominio da tutti quelli che potrebbero aver aspirato a occupare il suo posto: è questa la prima decisione inevitabile.
Se sia vero o meno che questa aspirazione abbia avuto corso non rileva; decidere per il capo è già esistere. Sarebbe imprudente, e parecchio ingenuo, fidarsi di chi conosce l’ambiente persino meglio di lui. In fondo, se qualcuno poteva aspirare è fin troppo chiaro che continuerà a farlo, oltretutto col carico aggiuntivodi una frustrazione che non lo renderà né più leale né meno propenso a cogliere e sottolineare eventuali magagne del nuovo capo.
Liberarsi dei fantasmi è dunque un’opzione senza alternative. Saggia, nel nostro mondo di fantasia, in cui è persino evidente che chi arriva al potere per decisioni autocratiche si porta dietro tutto un corredo di trame vischiose.
Per farlo, in maniera radicale, risulterebbe assurdo riflettere se subito o prendendo tempo, tanto più che imboccare la strada dei distinguo, intestardendosi a valutare chi abbia competenze valide e un track record di risultati, rischierebbe di compromettere la chiarezza del messaggio da trasmettere a tutti: ‘questa è una nuova storia, e sono io a dettare tempi e modi e ruoli per il suo svolgimento’.
Purtroppo i perdenti hanno l’insana propensione a utilizzare la sconfitta – e l’uscita – secondo copioni largamente fastidiosi.
C’è chi venderà sul mercato la sua infelicità, cercando comprensione e sostegno.
Chi, molto più combattivo, troverebbe collocazione probabile in altre strutture, da cui poi organizzare una sorta di resistenza subdola, in vista di una possibile ‘reconquista’.
Alla prima tipologia la nostra storia non riserva alcuna attenzione, ritenendo inevitabile la propensione dei lamentosi a farsi male da soli, essendo che nessuno, in questo mondo di fantasia, ritiene utile perdere tempo con gli sconfitti.
Ma è sui secondi che si esprime con forza una trama che sarebbe diabolica se non fosse che, in questo mondo che non esiste, gli eroi non hanno sentimenti, né scrupoli, né ripensamenti.
Così il nostro eroe ha predisposto un format che sembra funzionare al meglio, e pazienza se quelli che ci incappano avranno poi la vita complicata, magari per anni.
Senza proclami, facendo sponda su quanti condividono i suoi vantaggi di un mandato fiduciario e i non pochi che pensano sia dovuto ossequio comunque a chi comanda, provvederà a bloccare ogni strada che porti a una facile ricollocazione di quelli di cui si è liberato.
Al suo livello, se non si hanno amici, ci sono però persone avvertite che possiedono un giusto senso delle convenienze.
La nostra storia che non esiste qui potrebbe tranquillamente finire. Trovare una morale, oltre che inutile in questo campo, è addirittura superiore alle nostre forze.
Si è fatto solo un esercizio teorico – e sterile – di fantasia, venato di un certo pessimismo che non aiuta a predisporsi bene verso chi, tutto sommato, avrebbe tante carte da giocare in positivo. Solo che volesse qualcosa non solo per sé.
Forse, se fossimo saggi, sarebbe persino utile pentirsi per aver troppo dubitato della sanità degli attori di questa favola che non andrebbe proprio raccontata così, sopratutto ai più giovani.
Ma si sa, le favole non sempre sono edificanti. 

 

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