La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Il welfare e la sua fiscalità – Milano, 29 Maggio 2014

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Si riducono gli stanziamenti pubblici a favore delle politiche sociali. Cosa fare? Appare necessario ripensare il welfare state tradizionale coinvolgendo le organizzazioni nell’assistere i singoli e le famiglie. Il ‘Secondo welfare’, o welfare aziendale, si configura come un sostegno ai dipendenti integrando, senza sostituirlo, il ‘Primo welfare’, o welfare pubblico.

Come si sviluppa un efficace piano di welfare aziendale? Cosa comporta a livello fiscale? Quali le maggiori criticità? Quali attività e costi comporta? È applicabile nella propria organizzazione? Abbiamo cercato di rispondere a queste e ad altre domande ieri, giovedì 29 maggio, durante la prima tappa del seminario Il welfare e la sua fiscalità, tenuto da Diego Paciello, Dottore Commercialista Revisore dei Conti e Consulente fiscale, e organizzato dalla casa editrice Este.

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Prossime tappe: Torino – 3 giugno; Padova – 12 giugno; Roma – 25 giugno (info al link: http://bit.ly/1kbkaSz)

 

Cosa significa welfare aziendale?

Si parte con una definizione del welfare pubblico come “l’insieme delle politiche messe in atto da uno Stato che interviene per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini, modificando in modo ordinato e regolamentato la distribuzione dei redditi”. Il welfare comprende quindi il complesso di politiche pubbliche tese a migliorare le condizioni di vita dei cittadini.

Cosa accade nel momento in cui lo stato non riesce più a svolgere la funzione di supporto per i propri cittadini? Chi si occuperà di ciò?

Il welfare aziendale risponde a un bisogno di integrazione sussidiaria alle esigenze dei dipendenti e delle loro famiglie grazie all’erogazione di benefit non economici, ma sotto forma di beni e servizi, i quali – grazie alle agevolazioni fiscali previste – garantiscono ai lavoratori un valore superiore a un aumento retributivo tradizionale, a parità di costo per l’azienda.

Nello specifico il welfare aziendale permette di:

  • favorire il benessere dei propri dipendenti, anche supportando il loro potere d’acquisto reale;
  • attrarre talenti, rendendo l’azienda ambita sul mercato del lavoro;
  • motivare i lavoratori, dando soddisfazione ai loro bisogni personali e famigliari;
  • trattenere i talenti, rafforzando il loro senso di appartenenza e il loro coinvolgimento;
  • aumentare la produttività e l’efficienza;
  • ottimizzare i costi delle politiche di incentivazione, in un’ottica di total reward;
  • favorire il worklife balance dei dipendenti;
  • valorizzare brand image e brand reputation.

Cosa comporta a livello fiscale?

È inutile negare che la fiscalità è una leva potente che orienta le aziende a erogare benefit invece che denaro ai propri dipendenti.

La normativa che regola il welfare aziendale fa parte del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR – che comprende l’articolo 51 e l’articolo 100.

Dal comma 1 dell’art. 51 deriva il principio di omnicomprensività che impone di attrarre a tassazione come redditi di lavoro dipendente tutte le somme e i valori, a qualunque titolo percepiti, che trovano causa nel rapporto di lavoro.

Esistono però delle deroghe al principio di omnicomprensività, sancite dal comma 2 e seguenti. Si prevede, infatti, che alcuni elementi aventi potenzialmente natura reddituale non debbano rientrare nella base imponibile in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente. Si tratta, per esempio, dei contributi previdenziali obbligatori, del servizio di mensa, del servizio di trasporto collettivo, delle rette degli asili nido, ecc.

Nello specifico del comma 2:

  • i contributi di assistenza sanitaria versati a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto, accordo o regolamento aziendale nei limiti di 3.615,20 euro;
  • le somministrazioni in mense aziendali e le c.d. indennità e prestazioni sostitutive (ticket restaurant) fino all’importo giornaliero di 5,29. Se si supera la cifra consentita, l’eccedenza concorre a formare materia imponibile, fiscale e contributiva;
  • le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti. Resta fermo che eventuali indennità sostitutive del servizio di trasporto sono assoggettate interamente a tassazione, così come è interamente assoggettato a tassazione l’eventuale rimborso al lavoratore di biglietti o di tessere di abbonamento per il trasporto;
  • le spese relative a opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto sono deducibili, come stabilito nell’art. 100 del TUIR, per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi. Le prestazioni ricevute dal dipendente (o dai suoi familiari) devono consistere esclusivamente in opere e servizi e non può essere né rimborsato né anticipato denaro. I servizi possono essere erogati anche da strutture esterne all’azienda (circoli sportivi, palestre, agenzie di viaggio, teatri, cinema, ecc.), così come previsto dall’Agenzia nella Risoluzione n. 34/E del 10 marzo 2004; il dipendente non deve in nessun modo intervenire nel rapporto tra la Società e il soggetto (terzo) erogatore del servizio; deve trattarsi di opere e servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o da categorie di dipendenti; le opere e i servizi messi a disposizione devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto; la spesa deve essere sostenuta dal datore di lavoro volontariamente e non in adempimento di un vincolo contrattuale (tali benefit rimangono dunque al di fuori degli accordi di secondo livello con le parti sindacali);
  • le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per frequenza di asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari.

Secondo il comma 3, “non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000 (258,23 euro); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”. È importante ricordare che si tratta di un limite e non di una franchigia: se il valore dei beni e servizi erogati supera, nel corso del periodo d’imposta, il limite di 258,23 previsto, tutto l’importo concorre a formare reddito imponibile in capo al dipendente, non soltanto l’eccedenza.

Secondo il comma 4, “in caso di concessione di prestiti si assume il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno (TUS = 0.25%) e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi”. Si tratta in sostanza di un regime di quantificazione forfetaria del reddito di lavoro dipendente che lega il valore normale della prestazione al Tasso Ufficiale di Riferimento.

welfare seminario

 

Come si sviluppa un efficace piano di welfare aziendale?

Si possono individuare tre fasi fondamentali:

  • fase preliminare di analisi, nella quale viene fatto un audit della situazione esistente, vengono analizzati i principali dati sociodemografici della popolazione aziendale, si effettua un’indagine conoscitiva circa le esigenze dei dipendenti e vengono ricercate le fonti di finanziamento del piano;
  • fase di progettazione, nella quale vengono esaminati la contrattualistica sul lavoro, l’eventuale contrattazione integrativa e regolamenti aziendali, si condivide il progetto con le rappresentanze sindacali e si valutano i beni e i servizi da inserire nel piano, unitamente ai relativi provider;
  • fase di realizzazione, nella quale vengono scelti i sevizi e i relativi provider e viene definito e redatto il regolamento istitutivo (che può concretizzarsi in un accordo collettivo o in un regolamento aziendale) e avviene la rivisitazione (eventuale) della contrattualistica aziendale del lavoro.

La divisione in fasi del processo è fatta solo per esemplificare linearmente lo svolgimento dello stesso; nella realtà la dicotomia è sufficientemente netta solo tra la fase di analisi preliminare e tutte le altre. L’ascolto e la comunicazione sono basilari in ciascuna delle fasi individuate e rappresentano indubbiamente uno dei fattori chiave per la buona riuscita del progetto. La capacità di ascolto risulta fondamentale per percepire le reali esigenze dei dipendenti e per valutare i feedback ricevuti sui servizi erogati. Una comunicazione chiara e trasparente consente di veicolare correttamente i messaggi che l’azienda vuole trasmettere, di far comprendere ai dipendenti le caratteristiche principali del piano al fine di stimolarne il coinvolgimento e l’adesione mediante gli strumenti adeguati (workshop, brochure, blog in intranet, ecc.) e di trasmettere e far percepire il reale valore economico del piano (total reward statement). Anche la corretta scelta dei canali da utilizzare e delle iniziative di comunicazione influiscono profondamente sul successo del piano e, di conseguenza, sul raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Periodicamente, meglio se con cadenza annuale, è necessario verificare l’efficacia e l’efficienza del piano – conclude Paciello al termine del pomeriggio di lavori − mediante la misurazione del livello di soddisfazione dei dipendenti, vagliare le eventuali opportunità offerte dalle variazioni normative e dai nuovi servizi offerti dai provider presenti sul mercato ed, eventualmente, modificare/adeguare il piano in relazione alle (mutate) esigenze dei dipendenti.

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