La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Lavorare stanca, non lavorare uccide

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di Lauro Venturi*

Lavoro_depressioneHanno avuto molto risalto, in questi primi mesi del 2017, le notizie di persone che si sono tolte la vita perché non reggevano la vergogna e l’umiliazione di non avere un lavoro.
A Mantova un ragazzo di 22 anni si è impiccato all’inizio di febbraio; due giorni dopo Michele, friulano, si è tolto la vita a 30 anni, lasciando una toccante lettera, nella quale scriveva di non poter passare il tempo a cercare di sopravvivere alla ricerca di un lavoro che non arrivava; all’inizio di marzo un operaio 42enne, disoccupato di Rovigo, si è gettato sotto il treno e nella sua automobile sono stati trovati diversi curricula.

Questo tragico e parziale elenco richiama alla mente la sequela d’imprenditori che, dal 2008 in poi, decisero di farla finita perché la crisi aveva ammazzato non solo le loro aziende, ma anche i sogni di una vita. Sono temi che mi hanno sempre toccato: quando lavoravo a Milano commissionai una qualificata indagine, curata dal Direttore di Persone&Conoscenze, per valutare l’impatto che la crisi aveva sugli imprenditori, non sui bilanci aziendali. Ne emerse un quadro molto interessante, che sostanzialmente polarizzava due sentimenti: un’ostinata volontà di resistere e una forte sensazione di solitudine, di fronte a una crisi che distruggeva anni e anni di lavoro. Un altro elemento rilevante è la crescita esponenziale degli antidepressivi e delle malattie più legate alla somatizzazione dello stress e dell’ansia.

Ecco, in questo quadro, parlare di benessere è un po’ ridicolo. Lo dico io che, nel 2005, scrissi un lungo articolo dal titolo “Lavoro felice: ossimoro o binomio possibile?“. Il lavoro è storicamente visto come una punizione: basti pensare che dopo la fatidica mela, la donna dovette iniziare a partorire con dolore e l’uomo a guadagnarsi il pane con la fatica e il sudore della fronte. Anche in famiglia, quando un ragazzo ha prestazioni deludenti a scuola, spesso la risposta dei genitori è: “Se non studi vai a lavorare, poi vedrai…”. Infine, una mente perversa scrisse, sull’ingresso di un campo di sterminio, che “il lavoro rende liberi”.

In un certo senso è vero, con il lavoro c’è la libertà di mandare i figli a scuola, concedersi qualche vacanza, non si dipende più di tanto dagli altri. Il lavoro è anche una forma di realizzazione di se stessi, si possono sperimentare le proprie capacità e attitudini. Quando il lavoro manca, le ripercussioni sono drammatiche, sia sotto il profilo economico sia quello dell’autostima. Credo sia necessaria un’educazione al lavoro, con equilibrio tra i sacrifici che lavorare comporta e i benefici che se ne traggono.

Questo lavoro deve iniziare dalla scuola elementare, forse anche prima. I bambini devono vedere dove lavorano i loro genitori, servirebbero libri e cartoni animati che affrontino l’argomento del lavoro. Certo, mica voglio togliere le Winx alla mia nipotina, però nemmeno farle credere che da grande avrà poteri magici che le permetteranno di risolvere ogni problema. Perché quando si troverà ad affrontare le avversità della vita e si accorgerà che i poteri magici non funzionano, si sentirà tradita. Crescendo, i bambini diventati ragazzi devono sperimentare l’ambiente di lavoro. Qui vedo due banali ipotesi: il lavoro estivo e l’alternanza scuola-lavoro. Il primo serve a comprendere che i soldi non si prelevano dal bancomat, ma vanno guadagnati. L’alternanza invece è preziosa per comprendere che solamente il circolo virtuoso ‘studio-applicazione-studio’ garantisce competenze sempre aggiornate e spendibili.

Ciò detto, mi colpisce e mi ferisce il fatto che in questi 10 anni di crisi la politica non sia riuscita a mettere in campo strumenti adeguati per fronteggiarla. Occorre essere molto prosaici: il lavoro esiste se c’è mercato e se ci sono aziende in grado di competere. Per aumentare il mercato, occorre ridurre le tasse sul lavoro, sia per i nuovi assunti sia per quelli già impiegati. Mettere quattrini in risorse in progetti come Garanzia Giovani è esattamente il contrario di ciò che intendo. Perché le imprese possano competere, occorre agevolarle a fare investimenti ma, soprattutto, sviluppare una cultura che veda l’impresa come soggetto positivo e socialmente utile, non come qualcosa da guardare con diffidenza e da ostacolare con una burocrazia impietosa.

* Lauro Venturi è Amministratore delegato, Gruppo Ocmis Spa

Commento

  • Salve, concordo pienamente con quanto riportato nel vostro articolo ovvero che lavorare stanca ma il non lavorare, a detta di tanti giovani, stanca ancora di più. Il lavorare può stancare fisicamente ma dopo un buon riposo la stanchezza va via. La stanchezza del non lavorare è più difficile che scompaia, è una stanchezza che logora a livello mentale che nessun riposo fa scomparire. I giovani oggi dovrebbero vedere il mercato del lavoro come un mondo di opportunità invece lo vedono come un labirinto ovvero un percorso problematico. Non si può vivere senza lavorare a maggior ragione oggi che con il progresso sono aumentate le nostre esigenze e di conseguenza, occorrono più risorse economiche per poterle soddisfare, di contro ci vengono a mancare i modi per poter raggiungere i nostri scopi (il poter lavorare).
    PERCHE’ IL LAVORO E’ DI FONDAMENTALE IMPORTANZA?
    Cosa è il lavoro? Si definisce lavoro in senso lato ogni attività che implica il dispendio di energie fisiche e intellettuali per raggiungere uno scopo prefissato, ovvero quelle attività che permettono agli uomini di sopravvivere e realizzare i propri obiettivi.
    Secondo il pensiero del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel “Il lavoro è un appetito tenuto a freno” ed è impensabile restare a digiuno per lunghi periodi altrimenti si muore. Chi ha fame (di lavoro) non starà ad aspettare in eterno cercherà altre soluzioni e non è detto che saranno soluzioni ottimali. Ecco perché è indispensabile mettere in campo tutti gli strumenti idonei a creare posti di lavoro tenendo conto che i posti di lavoro si creano là dove c’è mercato (produzione e richiesta di beni e servizi). Il disoccupato, in quanto tale, non ha soldi da spendere, non potrà mai chiedere beni o servizi e le aziende non produrranno beni o servizi se non c’è richiesta. Inoltre le aziende devono essere messe in condizioni di competere altrimenti usciranno fuori dal mercato. Per essere competitive devono produrre beni o servizi a costi inferiori o quanto meno uguali alle aziende non Nazionali. Una delle soluzioni per aumentare il mercato, potrebbe essere la riduzione delle tasse sul lavoro, sia per i nuovi assunti sia per quelli già impiegati.
    Le aziende non devono attendere ogni anno il mese di dicembre, per programmare le nuove assunzioni in funzione della legge di stabilità ma, devono avere contezza, in qualsiasi momento dell’anno, di quanto può costare un nuovo lavoratore perché i posti di lavoro non li creano le leggi di stabilità ma le leggi del mercato.
    Occorre far rimanere un po’ di soldi anche nelle tasche di chi lavora, se un occupato ha le tasche vuote difficilmente si prefiggerà degli obiettivi e pertanto non potrà contribuire a far girare il volano dell’economia.

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