La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare aziendale oltre la legge. Ora tocca alle organizzazioni

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di Valentina Casali – redattrice ESTE

Il welfare aziendale – mai come nel momento attuale sotto la luce dei riflettori per effetto delle nuove norme introdotte dal Governo volte a disciplinare i premi di risultato –, è una delle leve di gestione che, più di altre, contribuisce al benessere nelle organizzazioni, rispondendo alle esigenze di cura e conciliazione dei lavoratori con impatti positivi sulla loro partecipazione e conseguenti effetti benefici sulla produttività delle imprese.
Stando alle recenti disposizioni del Legislatore, si apre dunque per le aziende di tutti i settori e dimensioni l’opportunità di insistere su welfare e flessibilità per dare nuova linfa alle loro attività e contribuire così alla ripresa dell’intero sistema Paese dopo i bui anni della crisi.
Lungi dallo sviluppo di iniziative improvvisate, a essere necessarie sono oggi misure strutturali che coinvolgano l’organizzazione tutta, a partire dalla ridefinizione delle sue architetture e dal ripensamento delle pratiche di gestione strategica delle risorse umane. Il welfare aziendale – da strumento di supporto ai lavoratori in una fase di ‘arretramento’ del welfare pubblico a veicolo per soddisfare le esigenze individuali dei singoli collaboratori rilanciando parallelamente la produttività delle imprese – è, dunque, primariamente una questione organizzativa, che richiede il coinvolgimento di tutti i livelli decisionali – dal top alla base – e di tutte le funzioni, nella definizione di un nuovo rapporto tra azienda e dipendente nonché tra capo e collaboratore; nella messa a punto di sistemi premiali che riconoscano il merito e migliorino le performance; nella costruzione, infine, di un dialogo proficuo tra HR e IT, volto a semplificare alcuni processi.
Quali sono gli step di questo cambio di rotta? Quali gli attori da coinvolgere all’interno e all’esterno delle mura aziendali? Quali le strutture organizzative che, una volta ripensate, rendono possibile ed efficace il welfare aziendale?

Legge di stabilità: vantaggi fiscali e spinta alla contrattazione
La Legge di Stabilità 2016 è intervenuta modificando e integrando significativamente le previsioni legislative che definiscono la tassazione del reddito da lavoro dipendente relativamente ai servizi, beni e utilità che solitamente fanno parte dei programmi di retribuzione. Tali erogazioni, un tempo effettuate su base discrezionale e in molti casi prive di adeguata progettualità, rappresentano oggi una rilevante parte della remunerazione complessivamente percepita dal lavoratore e, il più delle volte, si inseriscono nell’ambito di complessi programmi aziendali.
Come spiega l’avvocato Daniela Bruno, Partner dello studio legale CGP, “il Legislatore ha, in tale contesto, deliberato disposizioni intese a ridurre l’onere fiscale gravante sul lavoro subordinato, sia a favore dei dipendenti, assoggettati a una minore tassazione per alcune voci retributive, sia a favore del datore di lavoro, per il risparmio degli oneri contributivi dovuto all’ampliamento delle componenti escluse dal reddito di lavoro dipendente e alla possibilità di dedurre, nella determinazione di tale reddito, spese sostenute per il welfare aziendale in precedenza soggette a una deducibilità più limitata”.
Le ragioni che portano all’adozione di tali programmi possono dunque essere ricercate tanto nella volontà del datore di lavoro di far fronte a istanze socio-assistenziali (welfare aziendale), quanto nell’interesse dello stesso di perseguire una vera e propria politica retributiva basata sulla diversificazione del pacchetto offerto al dipendente e sul coinvolgimento di quest’ultimo nella scelta della sua composizione (flexible benefit).
“Le novità normative acquistano particolare rilievo nell’ambito del welfare aziendale, laddove è stato previsto che le opere e i servizi aventi finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, la cui utilizzazione non costituisce reddito imponibile, sono riconosciuti dal datore di lavoro ai dipendenti, o alla generalità degli stessi e ai loro familiari, sia volontariamente (come già previsto dalla previgente normativa) sia in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale. La modifica legislativa va quindi nel rispetto della condizione di offerta generalizzata ed è volta a rimuovere il vincolo della ‘volontarietà’ della stessa, rendendo possibile godere dell’agevolazione in commento anche quando la fruizione di opere e servizi messi a disposizione dei dipendenti per le finalità suddette sia avvenuta in forza di un accordo o regolamento aziendale ovvero di un contratto collettivo”.
Tali misure avranno, a detta dell’avvocato, decisivi impatti sulle modalità di elargizione del welfare, decretando alcune differenze tra la grande impresa e la Pmi: “La direzione verso cui in questo momento la grande impresa si sta orientando è quella di negoziare il welfare integrandolo nella contrattazione collettiva di secondo livello, prevedendo che sia la stessa ad accordare al dipendente la facoltà di ricevere premi in denaro o in beni e servizi; con tuttavia il grosso timore che l’accoglimento di tale norma determini in capo all’azienda un costo aggiuntivo, sulla base delle pressioni delle organizzazioni sindacali che potrebbero spingere verso l’introduzione negli accordi di una seconda tipologia di premio di risultato, con evidente duplicazione dei costi. Le piccole e medie imprese sono invece più propense a usare forme del tutto semplificate per elaborare ed erogare il piano, senza dover applicare procedure formali particolari ed essendo sufficiente definire in concreto i beni e i servizi riconosciuti ai lavoratori”. 

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 56000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

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