La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare? Sì ma… il senso di quello che stiamo facendo?

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di Chiara Sorace

Nel nostro Paese le organizzazioni quanto si occupano del benessere delle proprie persone? Che valore si dà a questo tema nelle aziende, grandi o piccole che siano? Quali le criticità nell’affrontare un piano di welfare? Quali le maggiori esigenze? Verso quali iniziative si stanno orientando le imprese italiane? Ci siamo confrontati con alcuni direttori del personale che ci hanno raccontato le attività all’interno della propria organizzazione.
Quella di seguito è la prima puntata del Dossier Welfare, il protagonista è Mauro Boano, Group Human Resources Director di Guala Closures.

Mauro Boano, Group Human Resources Director di Guala Closures
Mauro Boano, Group Human Resources Director di Guala Closures

Mauro Boano ci offre una riflessione provocatoria per richiamare alla coerenza, alla qualità e al rispetto delle relazioni tra persone. “Mi sono recentemente incontrato con alcuni colleghi, direttori Hr, con i quali abbiamo dibattuto il tema del welfare aziendale. Non nascondo che, al di là della ricchezza di stimoli che ne sono derivati, la cosa più evidente è stata la varietà e la contraddizione delle premesse. Alcuni direttori sostengono che in questo periodo di particolari difficoltà economiche, è bene pensare a forme di aiuto ai dipendenti, mentre altri asseriscono che queste iniziative diano un ritorno di immagine che ben conoscono le grosse realtà industriali già avviate su questi progetti. Altri colleghi pensano che il welfare rappresenti un’opportunità di scambio nelle trattative di secondo livello, con evidenti benefici economici per l’azienda. E ancora, alcuni ritengono che la progressiva diffusione di queste iniziative impone comunque di ‘studiare qualcosa’; mentre altri direttori, più o meno disordinatamente, abbracciano un po’ tutto limitandosi a dire che, in fondo, non vi sono particolari controindicazioni.
A questo punto mi viene spontanea una domanda: se io, come potenziale dipendente, dovessi scegliere quali di queste premesse mi garantiscono la bontà e la coerenza del risultato, quale sceglierei?
Difficile risposta. Certo, un dubbio è lecito porselo: la capacità di costruire ‘benessere aziendale’, inteso come capacità di ascolto, sviluppo delle relazioni, gestione positiva del cambiamento, crescita, coinvolgimento, riconoscimento economico del risultato ecc., ha proprio bisogno di confrontarsi con iniziative di welfare aziendale? Ecco che le riflessioni sulle premesse e sui presupposti, come indicatori di coerenza e di credibilità, diventano determinanti.
Mi torna alla memoria un’azienda che −spostando per un momento il tema alla valutazione della performance del personale di fabbrica− aveva progressivamente elaborato strumenti di valutazione molto evoluti, con una buona organizzazione delle procedure e un ampio archivio analitico delle informazioni. Quando però chiesi come venivano gestiti il feedback del personale e i colloqui la risposta fu: “Questo è un aspetto su cui abbiamo qualche difficoltà… non sempre i nostri responsabili di fabbrica hanno il tempo di organizzare i colloqui con il personale”. In pratica, pur ottenendo una positiva valutazione dall’auditor esterno per la certificazione di qualità, avevano semplicemente perso il senso di ciò che stavano facendo.
Ciò che intendo dire è che il welfare aziendale merita sviluppo e crescita nelle aziende, ma ciò che qualifica la bontà dei progetti, probabilmente, non sono la varietà delle azioni messe in campo (tessere sconto presso negozi, servizi interni vari, donazioni periodiche o altro) e, probabilmente, neanche l’impegno economico eventualmente messo a disposizione dall’azienda, ma −ancora una volta− la capacità di ascolto e di sviluppo delle relazioni nel tessuto aziendale. Questo è un periodo difficile per il nostro Paese e per le nostre aziende: la vera sfida che dobbiamo affrontare è quella di immaginare un contesto in cui riuscire a dare il meglio di noi e farlo fuori dagli schemi tradizionali delle nostre organizzazioni. Non possiamo farlo nell’isolamento dei nostri uffici, dobbiamo farlo a stretto contatto con le nostre persone. Ciò detto, non sceglierei un’azienda in cui si pensi di eludere tutto questo, limitandosi a un ‘nuovo strumento di gestione aziendale’: il welfare!”

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