La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Benessere e organizzazione: un connubio possibile?

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I problemi riguardanti lo stress investono in maniera sempre più consistente il mondo del lavoro ed è aumentata la consapevolezza dei lavoratori nei confronti dei rischi a essi connessi. In Italia l’interesse verso questa tematica trova un recente riscontro nella nuova normativa in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. n. 81/08) che ha esplicitato in modo incisivo l’obbligo di valutare i rischi connessi allo stress occupazionale. In questo contesto si definisce l’importanza di affiancare ai tradizionali, interventi volti a garantire il buon funzionamento dell’organizzazione, l’intervento dello psicologo clinico quale figura competente in merito alla salute e al benessere della persona. Interventi centrati sul singolo lavoratore e il suo benessere non solo prevengono e riducono fattori di stress a livello individuale ma hanno una ricaduta significativa sull’azienda in termini di efficienza ed efficacia.

A cura di
Chiara Montingelli e Simona Fazio


La revisione legislativa italiana: il Testo Unico introduce lo stress
Oggi giungono da molte direzioni segnali che indicano l’importanza e l’urgenza di porre attenzione alla strategia di tutela della salute e sicurezza psicologica del lavoratore, anche in ragione del progressivo aumento delle cause di stress e delle patologie stresscorrelate.
Lo stress legato all’attività lavorativa è un rischio reale e di impatto crescente per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Sono più di 40 milioni i lavoratori dell’Unione Europea affetti da stress, con costi annui stimati di circa 20 miliardi di euro secondo le valutazioni dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working Condition.
Benessere e organizzazione 2 Negli ultimi anni anche in Italia è aumentato l’interesse verso la tematica dello stress in ambito occupazionale, atteggiamento che trova un recente riscontro anche in ambito legislativo attraverso il nuovo Testo Unico sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro (D. Lgs. n. 81/08). Nel comma 1 dell’articolo 28, ai tradizionali rischi per la salute dei lavoratori, si aggiungono infatti quelli collegati allo stress lavoro- correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004.
Nello stesso articolo viene specificato che la responsabilità di identificare i fattori di stress, di prevenirlo, eliminarlo o ridurlo, in quanto costituenti un rischio per salute e sicurezza, è del datore di lavoro, il quale dovrà stabilire le misure adeguate di intervento.

Malati di lavoro
Lo stress lavoro-correlato è stato ricondotto a una serie di fattori di rischio psicosociale che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (1986) ha definito in termini di interazione fra contenuto del lavoro, gestione e organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, competenze ed esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro.
Il lavoro, occupando gran parte della vita dell’essere umano, si configura come uno dei luoghi fondamentali per lo sviluppo della personalità e la realizzazione dei propri bisogni. Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del soggetto ad affrontarle.
Ogni persona riesce a tollerare un diverso grado di tensione in funzione del proprio modo di percepire e affrontare gli eventi: lavorare per esempio sotto pressione può migliorare le prestazioni e dare soddisfazione quando si raggiungono obiettivi impegnativi; tuttavia, la richiesta e la pressione, quando superano la capacità di gestione del soggetto, inducono stress che rappresenta un fattore negativo sia per i lavoratori sia per le aziende. Inoltre le interazioni sociali e i rapporti interpersonali possono rappresentare per le persone una fonte di notevoli sollecitazioni alla pari di altri stimoli.
Pertanto anche le interazioni presenti in ambito lavorativo, se non gestite in maniera adeguata, possono produrre stress proprio come i più noti fattori di rischio.

Linee guida
Nell’Accordo Europeo siglato a Bruxelles nel 2004 da Ces (sindacato europeo), Ueapme (Associazione Europea Artigianato e Pmi), Ceep (Associazione Europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale) è riconosciuto che lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore a prescindere dalle dimensioni dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro.
Fino al 28% dei lavoratori dipendenti europei segnala situazioni di stress sul lavoro (Commissione Delle Comunità Europee- Bruxelles, 14.10.2005). Esso si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche (stanchezza cronica, emicrania, disturbi cardiovascolari, contratture muscolari), comportamentali (comportamenti aggressivi, abuso di alcool, tabacco e farmaci, uso di sostanze stupefacenti, disfunzioni sessuali, disturbi dell’alimentazione) e psicologiche (ansia, irritabilità, umore depresso, difficoltà di concentrazione, mancanza di fiducia, problemi relazionali anche in famiglia).
Le malattie considerate emergenti quali la depressione o l’ansia, nonché la violenza sul luogo di lavoro, le molestie e l’intimidazione, rappresentano ben il 18% dei problemi di salute legati al lavoro, un quarto dei quali comporta un’assenza dal lavoro pari o superiore alle due settimane (Bruxelles, 11.03.2002). Sulla stessa linea l’Oms segnala che entro il 2020 la depressione diventerà la causa principale di inabilità al lavoro. All’Accordo Europeo seguono ulteriori Comunicazioni che evidenziano la relazione fra salute mentale e produttività: mentre la salute mentale incentiva la capacità lavorativa e la produttività, le cattive condizioni di lavoro, comprese le intimidazioni da parte di colleghi, comportano problemi psichici, assenze per malattia e maggiori costi (Commissione Delle Comunità Europee-Bruxelles, 14.10.2005).

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Le conseguenze dello stress sull’azienda
Lo stress legato all’attività lavorativa può divenire un problema per l’azienda su molti versanti, in quanto può comportare problemi:

• A livello aziendale: intesi come aumento dell’assenteismo, frequente avvicendamento del personale, scarso controllo dei tempi di lavorazione, problemi disciplinari, vessazioni, comunicazioni aggressive, danno all’immagine aziendale;

• A livello di prestazioni individuali: intesi come riduzione della produttività o della qualità del prodotto o del servizio, infortuni, processo decisionale inadeguato, errori;

• A livello economico: inteso come aumento dei costi per un possibile indennizzo o delle spese mediche, per il reclutamento e la formazione di nuovo personale.

Pertanto il luogo di lavoro costituisce uno degli ambienti in cui prevalentemente si manifesta lo stress e il disagio sul versante sia fisico che psicologico; in tal senso si rivela anche il luogo privilegiato per la prevenzione e l’intervento. Interventi volti a promuovere la capacità individuale e a ridurre i fattori di stress nell’ambiente di lavoro migliorano la salute e favoriscono lo sviluppo economico.

Come intervenire sullo stress in ottica individuale e organizzativa
Frequentando le aziende ci si rende conto che se si parla di ‘benessere’ si fa riferimento prevalentemente al concetto di efficienza e di qualità dei servizi dell’organizzazione, intervenendo sulle Risorse Umane esclusivamente in funzione degli obiettivi organizzativi.
L’introduzione dei concetti di rischio psicosociale e di stress implica, invece, un’attenzione nuova per gli aspetti psicologici e relazionali, consentendo un allargamento del concetto di benessere in azienda alla prevenzione e alla tutela della salute dei singoli lavoratori. Occorre dunque adottare un approccio multidisciplinare che consideri entrambi i versanti del benessere e che quindi possa concepire l’intervento sullo stress sia in un’ottica organizzativa sia individuale. Nella società dei servizi, infatti, la salute e il benessere della persona sono da tutelare non soltanto con il fine della protezione della persona stessa, centrale e doveroso, ma anche in funzione della produzione, perché consentono all’organizzazione di raggiungere i propri obiettivi in modo più stabile e duraturo.
L’esperienza e la ricerca internazionale sollecitano da tempo a porre l’attenzione su interventi centrati sul singolo lavoratore e il suo benessere, evidenziando come intervenire sulla persona non solo prevenga e riduca i fattori di stress a livello individuale, aumentando l’efficienza e l’efficacia, ma abbia una ricaduta significativa sull’azienda in termini di maggiore produttività, minore assenteismo, minor numero di errori in favore di una migliore qualità dei beni o dei servizi e di una buona immagine dell’azienda stessa.

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L’intervento dello psicologo clinico
La novità dell’accento posto sulla salute psicofisica del lavoratore e la complessità delle tematiche affrontate in termini di rischio psicosociale e stress chiamano in causa conoscenze e competenze che coincidono con quelle dello psicologo clinico, in quanto figura tradizionalmente impegnata nella promozione del benessere della persona attraverso l’attenzione ai processi emotivi, motivazionali e alle dinamiche relazionali.
In un’ottica multidisciplinare, lo psicologo clinico si affianca dunque sia ad altre professionalità già impegnate nella tutela dello sviluppo organizzativo sia alla tradizionale figura del medico del lavoro. In termini operativi, la figura professionale dello psicologo clinico può fornire alle aziende e ai singoli dipendenti un servizio avente lo scopo di monitorare il grado di disagio e di stress in ambito professionale e poter fornire immediate e specifiche possibilità di intervento quali:

• Formazione/informazione di gruppo: si intendono interventi d’aula condotti attraverso tecniche esperienziali e focus group volti a sensibilizzare su tematiche relative allo stress e ai rischi psicosociali e informare sulle possibilità di prevenzione e intervento;

• Valutazione del rischio psicosociale: comprende interventi di screening (test e colloqui) volti a valutare il grado di stress aziendale e individuale;

• Colloqui individuali o di gruppo: permettono di esplorare la natura delle proprie difficoltà nell’ambito di una relazione protetta e non giudicante che offre la possibilità di parlare dei propri disagi, di esprimere i propri sentimenti e preoccupazioni e di identificare strategie per affrontare il problema.

Le aree di intervento specifiche possono essere: momenti critici della vita professionale (trasferimenti, riorganizzazione aziendale, cambiamenti di posizione o mansione, etc.); maternità e reinserimento lavorativo; disagio individuale generato da situazioni conflittuali e problemi di varia natura; scelte o cambiamenti del ciclo di vita, conflitti interpersonali; stress, ansia e panico.
All’interno del primo colloquio è possibile valutare un breve percorso di sostegno psicologico o l’invio a servizi specializzati nel caso di problematiche o situazioni peculiari; • Sostegno psicologico: si tratta di un ciclo di incontri finalizzati ad approfondire e comprendere in modo più chiaro la propria situazione, promuovere atteggiamenti attivi e propositivi, favorire lo sviluppo delle proprie risorse personali e professionali, migliorare le relazioni interpersonali. Quindi una corretta valutazione del ruolo di una professione d’aiuto come quella dello psicologo clinico comporta considerarla a pieno titolo fattore di sviluppo, di competizione e di crescita, in quanto l’attuazione di tali azioni di prevenzione e di intervento permette all’azienda di acquisire vantaggi in termini aziendali, individuali e di adempimenti legislativi.
La nuova concezione del rischio psicosociale e della salute del lavoratore promossa dalla revisione legislativa offre, dunque, un’importante occasione per concepire e attuare un nuovo modello di intervento, ancora poco presente nella realtà aziendale italiana, che individua nel benessere psicofisico del singolo una delle chiavi fondamentali per lo sviluppo dell’azienda.

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