La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Le condizioni di sviluppo del sistema di controllo – Una ricerca nelle imprese meccaniche di dimensioni minori

di Bruno Bernardi, Professore associato di Economia aziendale, Dipartimento di Management, Università Ca’ Foscari Venezia & Piero Marigonda  , Responsabile Servizio bilancio e controllo di gestione, Università Iuav di Venezia

L’interesse per le imprese di dimensioni minori ha seguito le declinanti fortune del modello distrettuale che su di esse si innervava, pur restando decisiva la loro capacità di resilienza per le aree più produttive del Paese. In questa prospettiva, l’adozione di approcci evoluti al sistema di programmazione e controllo sembra essere una condizione necessaria per svilupparne la capacità competitiva, insieme a quella del territorio di riferimento. La ricerca ha coinvolto sei imprese meccaniche venete, tre sopra la soglia dei 100 dipendenti e con un fatturato medio di 21,5 milioni, le altre tre caratterizzate da una forza media di 32 addetti e un fatturato per azienda di poco meno di 7 milioni. Le imprese osservate sono state individuate tra quante avessero un sistema di misura della performance in fase di iniziale sviluppo, con l’obiettivo di evidenziare le determinanti della loro diversa predisposizione a implementarlo. Tra i numerosi aspetti legati all’evoluzione dei sistemi di controllo, sono stati privilegiati i temi ritenuti maggiormente significativi per il gruppo di aziende prescelto. Per questo il questionario utilizzato – pur non trascurando temi di maggiore respiro prospettico – dedica maggiore spazio al supporto informativo contabile e alla struttura organizzativa, lasciando sullo sfondo le dinamiche organizzative e comportamentali del processo di controllo. La rilevazione si articola in due fasi. Nella prima si individuano gli assetti gestionali con i quali l’impresa si confronta con il proprio business. In particolare ci siamo riferiti a parametri descrittivi del livello di complessità gestionale, delle modalità di comunicazione della strategia all’interno dell’impresa e dell’articolazione del portafoglio applicativo del sistema informatico. La seconda attiene invece alle caratteristiche dei sistemi che producono le informazioni a sostegno delle scelte di gestione, quali la contabilità analitica, il budgeting, il sistema degli indicatori di performance e di quello di reporting in funzione di destinatari, frequenza, profondità e forma. Dalla ricerca emerge, da un lato, un utilizzo piuttosto differenziato della strumentazione tecnico contabile; dall’altro, un’attenzione condivisa per i temi della gestione per la qualità, alla quale si contrappone tuttavia una sensibilità ancora ridotta per la sostenibilità socio-ambientale. Tema, quest’ultimo, di crescente rilevanza nei mercati del Nord Europa ai quali si indirizza la quasi totalità dell’esportazione di questo gruppo di imprese, ponendo così una sfida per la rifocalizzazione del sistema. Leggi tutto >

Come possiamo migliorare i processi decisionali nelle organizzazioni complesse? In questo lavoro tentiamo di rispondere a tale domanda tramite l’utilizzo di un particolare strumento di problem solving, il quale aiuta a identificare ed eliminare le distorsioni cognitive dei processi decisionali attraverso una verifica, ex-post, della loro qualità. A tal proposito, per cogliere in maniera più efficace il ruolo che le caratte- ristiche della personalità dei decisori possano avere all’interno di tali processi, utilizziamo anche il test di personalità Myers Briggs Type Indicator. Al centro del lavoro è il caso di studio di una organizzazione non a scopo di lucro erogatrice di programmi di alta formazione. All’interno di tale caso, in particolare, analizziamo i processi decisionali attinenti all’introduzione di tre nuovi prodotti-servizi. Leggi tutto >

di Alessandro Boscati, Ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Milano

Uno dei temi più discussi, anche a livello mediatico, nell’ambito del percorso riformatore noto come Jobs Act, è stato, ed è tutt’ora, quello dei controlli a distanza sull’attività lavorativa. Si tratta, con tutta evidenza, di una materia estremamente delicata e strettamente connessa con l’inarrestabile processo di avanzamento tecnologico che coinvolge, da un lato, profili di riservatezza e di dignità della persona del lavoratore e, dall’altro lato, di tutela dell’organizzazione e del patrimonio aziendale, nonché della sicurezza del lavoro.
Peraltro, l’idea di apportare una modifica alla disciplina dettata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ha fatto ingresso nella legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 (prologo dei decreti di attuazione del Jobs Act), solo in sede di approvazione in Senato al maxi-emendamento governativo, sorretto o, meglio, ‘blindato’ dalla fiducia al d.d.l. A.S. 1428/2014. Solo a partire da tale momento, l’art. 1, comma 7 lett. f) l. 10 dicembre 2014 n. 183 ha delegato il Governo a intervenire con la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, “tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore”.
La delega è stata poi esercitata mediante uno degli ultimi decreti del Jobs Act e, in particolare, con l’art. 23 d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151 recante “disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, con cui è stato riscritto l’art. 4 dello Statuto del Lavoratori (l. 300/1970). Leggi tutto >

Di Paola Salazar

Il divario esistente tra il desiderio di soddisfacimento delle esigenze di vita e di relazione e il rispetto degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, primo tra tutti il dovere di diligenza nell’esecuzione della prestazione lavorativa – da tempo sotto la lente degli esperti di organizzazione ma anche dei consulenti nei diversi campi dell’ingegneria, dell’architettura e, non ultimo, del diritto del lavoro, tributario, della privacy ecc. –, sta divenendo sempre più spesso occasione anche di confronto in sede legislativa.
Già il Jobs Act (l. n. 183/2014) conteneva un delega diretta a favorire la “conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa” (art. 1, comma 9 lettera d, che ha trovato attuazione nel D.lgs. n. 80/2015), ma anche la possibilità della “cessione tra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro, di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto nazionale di lavoro (…)” proprio per venire incontro a specifiche esigenze di conciliazione (art. 1, comma 9 lett. e, che ha trovato attuazione nel D.lgs. n. 151/2015).
Il legislatore interviene ancora, con il progetto di Legge di Stabilità per il 2016 e, in particolare, con il Disegno di legge denominato “Collegato Lavoro” alla medesima legge, per disciplinare in modo più incisivo le forme di flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro, venendo incontro a una sempre più pressante richiesta di flessibilità organizzativa che parte proprio dai lavoratori. Si prevede di introdurre, così, nell’ordinamento giuridico il “lavoro agile”, riprendendo la denominazione che tale forma di flessibilità organizzativa ha acquisito in questi anni dopo la sperimentazione avviata dal Comune di Milano nel 2014 e allargatasi ad altri Comuni nel 2015 (al link i dati emersi dalla seconda giornata del lavoro agile 2015).  
È presto per fare un commento organico del nuovo progetto di legge, ma è importante segnalarne i punti di maggiore rilevanza pratica. Leggi tutto >

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