Chi ci salverà dal ritorno di Taylor?
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Il mantra della centralità della persona in azienda sembra svuotarsi di contenuti e di credibilità davanti a uno scenario prossimo venturo, ma già chiaramente spalancato ai nostri occhi, fatto di interazione tra uomini, processi basati sull’elaborazione di una mole impressionante di dati esausti, macchine interconnesse e sempre più intelligenti. Organizzazioni fluide in cui si coniugano ‘impermanenza’ delle professionalità e volatilità delle collaborazioni.
Le modalità stesse in cui si esprimeranno la formazione e la gestione delle persone richiedono un ripensamento e una revisione critica. A partire forse dal termine stesso di “risorsa umana”, soprattutto se “risorsa” è parola che richiama la sorgente (source in lingua inglese) della generazione del valore e non il ‘liquido’ che ne scaturisce.
Il punto è che il sistema della formazione e le professionalità non riescono a tenere il passo in uno scenario caratterizzato proprio dalla liquidità nell’uso della forza lavoro e dalla volatilità delle competenze operative.
Ci troviamo di fronte a un vero paradosso: l’era della trasformazione digitale richiederebbe più intelligenze, ma in Italia il numero di laureati, soprattutto nelle discipline tecnico-scientifiche, è inferiore alla media europea e di gran lunga più basso di quello dei Paesi avanzati. Assistiamo inermi “a un’emigrazione di giovani laureati che non ha precedenti, a un differenziale salariale tra laureati e non laureati che si restringe, un’alta percentuale di laureati che sono sovra-istruiti rispetto al lavoro svolto”, come denuncia il Rapporto scenari industriali di Confindustria. Non servirà dunque una preparazione superiore per operare nelle aziende digitali?
Robot contro umani
Eppure dovremo presto fare i conti con il portato più vasto della quarta rivoluzione industriale: l’avvento delle macchine intelligenti ad alto grado di sostituzione del lavoro umano.
Immagino imprese che nelle scelte strategiche di produzione non debbano più decidere tra make or buy, ma tra robot e uomini; fabbriche in cui dipendenti, robot, lavoratori on demand reclutabili da piattaforme –tutti sotto la voce “acquisti di forza lavoro”– forniranno un immenso potenziale di disponibilità operativa, mentre i sistemi intelligenti alimentati dall’Internet delle Cose ottimizzeranno compulsivamente ogni fase dell’esecuzione, a prescindere dal lavoro umano. Un nuovo fordismo.
Un big dell’ecommerce è già questo, un luogo di recinti chiusi agli umani e abitati da robot, di persone dotate o meno di braccialetti elettronici, ma comunque di sensori, serviti o asserviti ai robot: macchine viventi e macchine artificiali operanti rigorosamente su input all’interno dello stesso sistema operativo. La persona, con la sua unicità, scompare dietro la maschera della fungibilità, l’identità è il suo login e il suo codice a barre. Un codice che nel mondo dell’azienda accomuna allo stesso modo il prelevatore, il robot e il materiale prelevato. Nelle fabbriche digitalizzate, mentre tecnologia e produttività stanno obiettivamente registrando progressi esponenziali, la risorsa umana, ormai inseparabile dal tool elettronico che la connette al sistema, sembra essere spodestata verso un progressivo ruolo periferico. Chi ci salverà dal ritorno di Taylor?
La parola chiave è ‘disintermediazione’
Ci salveranno i manager che avranno ben compreso che non basta che l’azienda applichi migliaia di sensori per interconnettere macchine e ambiente di lavoro né che abbia ottenuto finanziamenti agevolati per realizzare la propria trasformazione digitale. Manager che abbiano colto come la disintermediazione sia la parola-chiave della digitalizzazione. Che senza disintermediare, e dunque bypassare ogni mediazione formale e gerarchica per accedere direttamente alle informazioni e operare nel pieno esercizio delle responsabilità personali, si realizza solo una banale transizione da un’azienda meccanizzata a un’azienda automatizzata, ma non certo 4.0: si resta, in altri termini, nel contesto di una fabbrica neo-fordista, in cui le risorse umane agiscono su input e sono controllate sugli output.
Le macchine sempre più intelligenti lavoreranno più degli umani, ma agli umani chiamati a conoscere le macchine, a supervisionarne i parametri di funzionamento e indirizzarne le produzioni verso i bisogni dei clienti, dovranno essere concesse ampie deleghe per affrontare emergenze, imprevisti, risolvere incertezze, assumersi responsabilità ben superiori a quelle oggi affidate ai capi.
Ai professionisti delle Risorse Umane, quali management coach e non meri business partner, si apre uno spazio immenso e inesplorato: quello di essere i protagonisti della rivoluzione culturale digitale in azienda.