La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Ci vorrebbe una moglie

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Chiara Lupi
Direttore editoriale
Casa editrice Este

Chiara LupiRiflessioni semiserie sulla sopravvivenza del genere femminile all’interno delle organizzazioni

Come mai le donne non siedono ai posti di comando?
Si parla di estraneità delle donne alle logiche di potere, di scarsa meritocrazia, di un radicamento diffuso di meccanismi cooptazione per cui nei posti di potere gli uomini scelgono uomini. Fatti questi che determinano il fenomeno del soffitto di cristallo che impedisce alle donne di raggiungere le posizioni apicali.

Nell’affrontare questo tema parto da me stessa guardando al mio quotidiano, a quel che mi succede ogni giorno (vivo con due adolescenti con l’ormone impazzito, come li chiamo io), con la consapevolezza che noi donne con figli ci alziamo la mattina ma non sappiamo mai quello che ci può capitare nel corso della giornata: il nostro quotidiano è in balìa di eventi che non possiamo né determinare né prevedere.
Partendo da questa considerazione, sono arrivata alla conclusione che oltre agli elementi frenanti di cui accennavo (estraneità potere, meritocrazia, cooptazione) le donne non le vediamo ai vertici delle organizzazioni e delle istituzioni semplicemente perché hanno molto altro da fare.
In effetti moltissimi uomini ringraziano le loro consorti che li hanno liberati da tutte le incombenze di gestione della famiglia e hanno consentito loro di dedicarsi con determinazione feroce alla loro professione.
Quante donne possono dire altrettanto?
Non molte.

Le donne raggiungono mediamente punte di 70 ore settimanali di lavoro tra casa e ufficio e il rapporto tra tempo femminile dedicato al lavoro domestico e quello maschile in Italia è il doppio della media europea. Per questo più che di soffitti di cristallo è corretto parlare di pavimenti appiccicosi, che trattengono le donne ancorate ai livelli più bassi delle organizzazioni perché il lavoro di cura ricade ancora oggi pesantemente sulle loro spalle.
Istituzioni assenti e un’organizzazione familiare che, soprattutto per le donne della mia generazione, non sempre prevede la condivisione delle responsabilità, fanno sì che molte donne non si mettano in gioco o accettino un sottodimensionamento delle loro professionalità. Eppure le donne hanno tanto da dare alle organizzazioni. Ci sono studi che dimostrano che laddove il rapporto di genere è più equilibrato anche i profitti vanno meglio.
Invece molto spesso le donne temono di non essere adatte, di non farcela. E scelgono la via apparentemente più facile. Ma più dannosa per tutti.

Annamaria Tarantola ha dimostrato che se si raggiungesse l’obiettivo dell’agenda di Lisbona e avessimo il 60% delle donne occupate e non un misero 46, il nostro pil crescerebbe del 7%. Numeri importanti… Ci si deve fidare delle donne ma sono le donne le prime a non fidarsi di loro stesse.
Le donne manifestano un’attitudine alla svalutazione di loro stesse, tendono a non guardare in modo obiettivo alle proprie capacità. Mentre invece devono averne più consapevolezza, un po’ più di self confidence. E poi, se raggiungono posizioni apicali, dovrebbero evitare di travestirsi da uomini. Perché i modelli di riferimento sono ancora per la maggior parte maschili, e le donne tendono ad adeguarsi.
Ma nella vita, come in azienda, le donne farebbero bene a rimanere tali. Ma torniamo alla domanda, perché le donne non ci sono? Perché donne e uomini non sono uguali.

L’articolo 2 della nostra Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Ma nella realtà le donne hanno meno diritti, sono meno uguali. Perché la maggior parte delle attività di assistenza e cura, che guarda caso sono sostantivi femminili, sono ancora una responsabilità in capo alle donne.
E qui vengo al titolo. Vorremmo una moglie, un maschio SAHD (acronimo di Stay at Home Dad, come è stata definita questa nuova tipologia di mariti casalinghi nei paesi anglosassoni)?
Molte di noi, io per prima certamente no. Vorremmo che le responsabilità venissero condivise di più.
Ma torniamo al contesto organizzativo. Delle donne ci si dovrebbe fidare di più. Ma le aziende danno per scontato che la donna abbia problemi con la gestione della propria famiglia. In effetti le famiglie e le mamme sono abbandonate, nel nostro Paese ci si deve arrangiare, chi se lo può permettere, si organizza con asili privati, tate, nonni se ci sono. Chi non si riesce a organizzare, o non fa figli o non lavora. Non sono riflessioni personali.
Le donne italiane rispetto alla media europea lavorano meno e fanno meno figli perché manca loro la fiducia di potersi sentire realizzate in un doppio ruolo, di lavoratrici e madri: desiderano entrare nel mondo del lavoro ma non si aspettano che il loro merito sarà ricompensato al pari di quello dei colleghi maschi; desiderano dei figli ma non sono sicure di riuscire a mantenerli e gestirli.

L’Italia è un paese di mammoni ma le mamme nel nostro Paese non sono considerate proprio (vedi orari ricevimento professori a scuola, pianificazione scolastica delle vacanze scolastiche non omogenea all’interno della stessa regione, scioperi delle mense, eccetera). In tutto questo ragionamento, per tornare alla fiducia, non ci dobbiamo dimenticare che mentre l’uomo costruisce la propria identità in base al suo percorso professionale, le donna sente molto meno questo vincolo per la costruzione del proprio sé.
La donna trova molto spesso nel suo essere moglie e anche madre un profondo appagamento e quando decide di dedicarsi con passione ad altro, lo fa in modo serio e determinato. Anche per questo delle donne ci si dovrebbe fidare di più.

 

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