La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Conoscere Luhmann per ridare senso alle organizzazioni

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Gli studi organizzativi offrono materiali importanti per approfondire i problemi dell’economia e della società contemporanea. Questa rubrica commenta i libri recenti che danno un contributo in questo senso.

Niklas Luhmann (1927-1998) è stato un grande sociologo dell’organizzazione e, più in generale, dei sistemi sociali, i cui contributi sono poco conosciuti nel mondo del management. Forse perché era tedesco e non americano, certamente per la complessità delle sue numerose e non facilmente leggibili pubblicazioni, anche quando tradotte in inglese e in italiano.
È utile, quindi, la recente pubblicazione della versione italiana di The Radical Luhmann di Hans-George Moeller (Per comprendere Luhmann. Una necessità per le classi dirigenti, IPOC, Milano, 2016).
Luciano Martinoli (nell’introduzione) e Francesco Zanotti (nel saggio pubblicato in Appendice: Oltre Luhmann… per costruire un nuovo sviluppo) ne danno una chiave di lettura attuale e orientata al futuro.
In questa rubrica Zanotti e Martinoli rispondono al commento critico del Direttore di Sviluppo&Organizzazione.

Per andare oltre Luhmann: sì al rilancio di una progettualità imprenditoriale; no a proposte di metodo troppo specifiche
di Gianfranco Rebora

Il contributo di Luhmann alle scienze sociali (e per estensione a quelle organizzative e manageriali) è fondamentalmente critico e dissacrante; Moeller osserva che Freud aveva stilato una famosa lista dei tre insulti al narcisismo umano: “La dimostrazione di Copernico che la terra non era al centro dell’universo (insulto cosmologico), la scoperta di Darwin che l’uomo non era il coronamento della creazione (l’insulto biologico) e le sue stesse scoperte riguardanti gli insignificanti poteri dell’Io confrontati con gli impulsi e le forze incontrollate come la libido (l’insulto psicologico)”. Luhmann ci mette di fronte al “quarto insulto alla vanità umana”, che potrebbe essere chiamato insulto sociologico: “La società umana non può governare se stessa; proprio come non possiamo controllare l’universo, i nostri corpi o le nostre menti, siamo anche incapaci di plasmare il mondo sociale che abitiamo secondo i nostri ideali, desideri o intenzioni”.
I sistemi sono entità che si auto-generano e auto-riproducono (autopoietiche).
Queste entità costituiscono se stesse nell’ambiente differenziandosi reciprocamente. Ma c’è separazione tra i sistemi di diverso ordine e tra i processi che ne consentono l’auto-riproduzione: ad esempio, tra i sistemi biologici, quelli psichici e quelli sociali. Se si ragiona al livello dei sistemi sociali (di cui fanno parte le organizzazioni), la differenziazione funzionale genera una molteplicità di ordini che non rispondono a una precisa gerarchia.
La società non è riconducibile a un principio unitario o a una chiave generale di razionalità; perché si basa piuttosto sulle differenze tra i diversi sistemi e con l’ambiente non sociale; così l’economia, la politica, la tecnologia sono sistemi differenziati indipendenti e autonomi; ciascun sistema al più governa se stesso, non è in grado di orientare gli altri sistemi, al più può indurre qualche perturbazione, “irritare” altri sistemi in quanto “ambiente” rispetto a essi.
Così, l’economia “è operazionalmente chiusa e governa se stessa”. La politica “può irritare l’economia, cioè causare alcune risonanze economiche alle decisioni politiche”, ma “non può governarla” (p. 41).
Accettare l’insulto sociologico porta a riconoscere non la nostra impotenza totale, ma “la relativa inutilità dell’interventismo filosofico e ideologico”. Si accetta la condizione umana di esposizione a un ambiente incontrollabile.
La consapevolezza teorica consiglia quindi un atteggiamento di calma e deferenza: “Nec spe nec metu”, né speranza né paura; questo antico motto latino ispira una comprensione auto-ironica, “il cui potere consiste nel rendere sensato e aver senso nel mondo, piuttosto che nel cambiare deliberatamente il mondo in qualcosa di completamente diverso” (p. 144).
Moeller ritiene che la teoria dei sistemi sociali di Luhmann offra i più avanzati modelli per comprendere come funziona la società contemporanea fino a “delineare anche con sorprendente precisione gli sviluppi economici che portarono più tardi alle grandi crisi finanziarie del 2008-2009”; non predisse la crisi come tale, ma “riuscì a dare conto del contesto sociale che la rese possibile”.
In questo senso Luhmann coglie la “nuova centralità dei mercati finanziari internazionali, la corrispondente marginalizzazione della produzione, del lavoro, del commercio… il sistema economico ha spostato le sue basi di sicurezza da proprietà e debitori affidabili (come Stati o grandi aziende) alla speculazione stessa”.
A questo livello di complessità (“alcuni lo chiamano caos”, ironizza lo stesso Luhmann), cambiamenti di ampia portata divengono “inattesi e impredicibili”, dipendenze e interdipendenze divengono maggiormente connesse, e vengono meno la garanzie (cosmologiche?) che gli sviluppi strutturali dei diversi sistemi siano compatibili gli uni con gli altri.
Quando si indebolisce il tradizionale accoppiamento dell’economia con infrastrutture, mezzi di produzione, lavoro, sistema del diritto e politica, le condizioni di ciò che oggi chiamiamo crisi sono state poste; estrema ricchezza per alcuni e povertà per altri fanno parte di uno scenario che non ha senso però spiegare con categorie tradizionali, come “sfruttamento”, o morali, come “avidità”.
Il mondo sociale consiste di molte relazioni complesse sistema ambiente che “non danno spazio o possibilità d’uso per qualsivoglia progettista intelligente” (Moeller). Martinoli e Zanotti tuttavia non si accontentano degli atteggiamenti che il radicalismo di Luhmann sembrerebbe suggerire, di modestia, ironia ed equanimità.
Zanotti ritiene che, parlando di sistemi differenziati nei quali l’uomo non ha un ruolo specifico, Luhmann offra la migliore spiegazione della perdita di significato anche di imprese, organizzazioni, attori sociali e politici e dell’intera visione del mondo della società industriale. Si pone però un’ulteriore domanda: “Come può l’uomo costruire una società dalla quale poi viene espulso?”.
Quella di Luhmann sarebbe una vista dall’alto, come guardare un paesaggio da un mezzo volante. Si vedono i sistemi funzionalmente differenziati, si vede che stanno perdendo di senso proprio perché sono sistemi funzionalmente differenziati, ma non si riescono a vedere le persone. E allora sembra che siano scomparse dalla scena. Per reintrodurre le persone nei sistemi, Zanotti prefigura il passaggio dal concetto di sistemi sociali a quello di sistemi umani, grazie al ricorso a risorse cognitive provenienti da un diverso mondo teorico, quello della fisica quantistica; il tentativo è di sviluppare una teoria più ampia, della quale quella di Luhmann è un caso particolare.
Tutto questo può sembrare un po’ criptico; il punto essenziale però mi sembra consistere nell’idea di un diverso approccio al problema dell’identità di un oggetto/sistema che nel paradigma della fisica quantistica è definibile in termini di “infinite potenzialità di essere”; così, l’identità profonda di una persona si esprimerebbe sotto la guida di un atteggiamento relazionale complesso che può essere proattivo e, in qualche modo, “imprenditoriale”. Questo è il passaggio essenziale anche per ragionare sull’economia.
Zanotti richiama l’esperienza degli imprenditori italiani del dopoguerra: “La nascita, l’emergere dei sistemi umani necessita di modalità di governo che hanno attuato a quei tempi gli imprenditori” (p. 189).
Il problema è che da quel momento le attività di governo imprenditoriale si sono affievolite e, conseguentemente, le imprese si sono perse nel tempo. Sono andate via via perdendo di senso. E, di conseguenza, “si è andata spegnendo quella capacità di generare valore che si manifesta in una continua crescita della sua capacità di generare cassa… l’impresa imprenditoriale è diventata impresa manageriale, o luhmaniana”.
Questo sarebbe avvenuto perché si è bloccato l’arricchimento dei sistemi cognitivi degli imprenditori e dei loro dipendenti; l’imprenditore ha perso la sua caratteristica fondamentale di costruttore di mondi, si è ridimensionato nel reagire agli stimoli esterni ed è diventato un manager.
Il manager si è chiamato fuori dall’autopoiesi realizzativa dei suoi dipendenti; si sono formati sottosistemi organizzativi operativamente autonomi, dotati quindi di loro specifiche autopoiesi nel cui ambito si inseriscono le scelte comportamentali dei dipendenti.
Le attività di governo vengono indirizzate alla dimensione formale pensando di influenzare valori e comportamenti; ma si ignora che i sistemi umani non sopportano un’azione di governo direttiva perché sono autonomi; così facendo, non si guida ma si irrita solo quel sistema di sistemi autopoietici che costituiscono l’organizzazione.
Formazione, change management, responsabilità sociale sono ‘danze della pioggia’ che possono rassicurare i decisori formali, ma non hanno probabilità di incidere.
Mancano proposte di futuro stimolanti rivolte ai gruppi umani; mancano risorse cognitive utili ai gruppi di riferimento (che sono interi territori) affinché possano partecipare a completare questa proposta vivendola. Invece il tentativo di convincere persone e territori con proposte sostanzialmente chiuse genera irritazione e un dialogo tra sordi. La sfida è quindi oggi quella di attivare processi di progettualità imprenditoriale.
Fin qui l’analisi si rivela interessante. La successiva proposta è di metodo e si impernia in quattro fasi:
• arricchire il patrimonio di risorse cognitive;
• riconoscere e costruire il gruppo progettuale;
• sviluppare un’attività progettuale;
• impostare un’attività celebrativa.
In questa parte finale il lettore che ha seguito la complessità del ragionamento resta però inevitabilmente deluso, trovandosi di fronte a uno dei tanti possibili schemi/ modelli a più stadi che il mercato della consulenza manageriale offre in grande abbondanza.
Rilanciare la progettualità imprenditoriale prospettando proposte di futuro credibili per dipendenti e comunità costituisce un’idea forza di grande interesse; tuttavia, se prendiamo seriamente Luhmann dobbiamo evitare di ‘chiudere’ il discorso su proposte metodologiche troppo specifiche. 

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 19000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

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