La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Dal welfare all’innovazione sociale diffusa

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Dal welfare all’innovazione sociale diffusa

Parliamo di welfare e partiamo dal mio libro Ci vorrebbe una moglie, per capire quali sono le azioni che le aziende mettono in atto per il benessere dei loro dipendenti. Partiamo dunque nel nostro ragionamento da quel che fanno le aziende per sostenere le carriere femminili, anche se l’universo del benessere tocca molti aspetti. La maternità rappresenta certamente l’approccio più classico, ma non sarebbe corretto sottovalutare il tema della non autosufficienza, delle difficoltà che devono affrontare persone magari schiacciate tra figli adolescenti e genitori anziani. Il tema welfare fa spalancare un mondo articolato e forte perché si toccano sensibilità ed esperienze di vita vissuta. Monica Boni, Direttore Incentive, Welfare Benefits e Programmi Sociali Pubblici di Edenred, azienda che progetta e sviluppa soluzioni che facilitano la vita dei dipendenti e migliorano l’efficacia delle organizzazioni, ci racconta la prospettiva di un’azienda che, forte della sua dimensione internazionale, può contribuire a incidere in modo positivo sulla cultura delle organizzazioni. E quindi sul benessere di tutti noi.

A cura di
Chiara Lupi

Gli attori privati, come Edenred che opera in 40 paesi nel mondo, possono avere un ruolo molto efficace per sostenere le imprese che vogliono dare un contributo concreto ai propri dipendenti.
Quando ci si è affacciati a questo tema si è iniziato parlando di worklife balance, che comprendeva strettamente la conciliazione vita lavorativa-vita privata, mentre il contesto è più ampio e comprende le condizioni che consentono alle persone all’interno di un’organizzazione di poter lavorare bene, in un clima di benessere, essere performanti, pur nella specificità di ogni contesto.

Monica Boni
Monica Boni

“Siamo sul mercato da ormai più di trent’anni, con il ticket restaurant –ci racconta Monica Boni– dal 1976, e da tempo abbiamo allargato il nostro orizzonte rispetto a questo tema. Anche in Italia le aziende sono sempre più interessate a dare un contributo ai dipendenti per aumentare il potere d’acquisto in modo mirato, e grazie alle nostre soluzioni è possibile dare servizi anziché incrementi retributivi.
Ci sono già numerose aziende che si sono mosse e hanno fatto scuola, come Luxottica e Banca Intesa e sono sempre più le imprese che introducono servizi per i propri dipendenti”. L’approccio di Edenred è scientifico: nel 2009 l’azienda ha finanziato una ricerca dedicata ai buoni servizi per fare un’analisi comparata tra i diversi paesi europei in merito ai vantaggi fiscali, e per capire come rendere più agevole l’adozione di queste soluzioni da parte delle aziende, dal momento che Uk, Francia e Belgio hanno saputo portare grandi innovazioni.
L’azienda ha anche promosso un tavolo di lavoro istituzionale per cercare di promuovere quadri fiscali più user friendly. Il testo unico per le imposte sui redditi prevede una serie di voci che non concorrono a far parte del reddito, alcune più facilmente gestibili dall’azienda, altre più complesse nella loro applicazione e la sfida è rendere accessibile agevolmente all’azienda l’erogazione di contributi finalizzati, beneficiando di determinati vantaggi fiscali. Esiste una normativa all’interno della quale ci si può muovere ed esistono prospettive di adeguamento di questa normativa rispetto alla quale Edenred si è fatta portavoce attiva presso le istituzioni affinché queste soluzioni trovino più larga applicazione.

La Francia: un esempio virtuoso
“Fornire buoni servizio defiscalizzati per l’accesso a prestazioni di servizi alla persona –spiega Boni– è la strada che la Francia ha intrapreso già dal 2006 e si sta dimostrando virtuosa. Perché veicola le risorse in un circuito definito di servizi alla persona erogati da operatori con un meccanismo tracciabile.
E la tracciabilità è un tema di grande attualità in tempi di spending review poiché porta con sé grandi potenzialità per il sistema Paese, prima fra tutte la possibilità di far emergere il lavoro sommerso di cura, dalla baby sitter alla badante”.
Noi che ci occupiamo con assiduità di questi temi sappiamo bene che quel che manca al nostro Paese sono proprio i servizi alle donne, che pur essendo brave e preparate non raggiungono i vertici delle organizzazioni perché non supportate sufficientemente nella gestione del loro quotidiano. L’impianto culturale complessivo fa sì che sulle donne ricada ancora pesantemente la gestione della quotidianità della famiglia.
La Francia, in questo senso, ha rappresentato un caso di studio, ha dimostrato di avere saputo mettere in atto misure coerenti che sostengono la famiglia. E i benefici si vedono da un lato sulla demografia (la Francia è un Paese con la natalità più alta a livello europeo) dall’altro sul sistema Paese complessivamente perché il Ticket Cesu (attivato in Francia nel 2006) ha rappresentato un motore per la generazione di nuove imprese. Il valore di queste soluzioni è rappresentato dall’incentivare i servizi alla persona e questo vuol dire innescare un circolo virtuoso di lavoro che esce dal sommerso. Esistono studi sul lavoro ‘emerso’ e sui nuovi posti di lavoro che si creano. E questo è già un dato positivo per l’economia del Paese.
“L’Italia in questo senso –commenta Boni– non sta facendo grandi passi. Le istituzioni sono tutte un po’ ingessate in un approccio immobilistico e la mancanza di copertura rappresenta spesso un paravento per nascondere atteggiamenti conservatori che non agevolano l’innovazione”. Oltre a un sistema che fatica a introdurre meccanismi di incentivazione ai servizi alla persona l’Italia sconta un diverso impianto culturale. La Francia sostiene le famiglie, mentre nel nostro Paese gli aiuti vengono sempre percepiti come sussidi alla donna. Questo presuppone un salto culturale che noi però non riusciamo a fare. Ma finché questo cambio culturale non si innesta le donne verranno sempre viste come soggetti più deboli.
“Lei ha ragione –conferma Boni–, le donne non sempre riescono a mettere in atto meccanismi che tentano di scardinare questo impianto culturale. E il tema riguarda anche i modelli manageriali, dalla mia generazione in poi auspico che i manager, uomini e donne, sappiano mettere in atto meccanismi valutativi delle risorse che non siano il face time. Il tema su cui insisto da anni è legato alla capacità manageriale perché saper gestire progettualmente e culturalmente con un sistema di kpi le proprie risorse umane è più difficile che limitarsi a un approccio cottimistico, che limita la valutazione al tempo che si trascorre in ufficio. E questo è un tema culturale. Con una classe manageriale sempre più preparata, spero che anche in Italia si possano mettere a punto modelli organizzativi di valutazione che favoriscano la flessibilità di orario o modalità di telelavoro. Posso portare una testimonianza legata a un’esperienza personale: un problema di salute mi ha portato a lavorare da casa per diverso tempo senza per questo compromettere i livelli di performance”.

Una piattaforma di servizi
Il tema è legato alla cultura e al modello organizzativo. Edenred contribuisce a portare nelle aziende soluzioni che agevolano la persona nella gestione del quotidiano, nel rispetto di quel che la normativa attuale consente di fare e cioè garantire una serie di spese che servono per garantire istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria. L’art. 51, comma 2 lettera f del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi) già consente alle aziende di dare erogazioni che non concorrono a far parte del reddito per lavoro e sono deducibili dall’azienda, e questo è un piccolo passo.
Ma le potenzialità sono enormi. L’azienda sta lavorando a una piattaforma di flexible benefits già sul mercato in altri Paesi d’Europa: si tratta di un cruscotto che l’azienda mette a disposizione dei dipendenti per scegliere tra un panel di servizi. Un modo innovativo per dare ai dipendenti del potere d’acquisto in più sotto forma di servizi e non sotto forma di cash, con il vantaggio delle esenzioni fiscali previste dal testo unico sull’imposta sui redditi. Questo rappresenta una novità per il nostro mercato, anche rispetto alla normativa che è in fieri, con l’auspicio che il legislatore italiano affronti il tema con lungimiranza, così come è stato in altri Paesi.
“È importante che le aziende capiscano –spiega Boni– che quando forniscono ai dipendenti servizi e non denaro mettono in atto un meccanismo virtuoso.

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In questo modo le risorse si riversano infatti sul territorio consolidando l’offerta di servizi alla persona, che per definizione non è de-localizzabile e crea posti di lavoro. Gli attori in gioco sono tre: il pubblico (che deve avere un ruolo di governance e controllo), il privato sociale, e qui mi riferisco al mondo della cooperazione, e il terzo attore è il privato. Da anni siamo impegnati in una vera e propria battaglia per promuovere questa diversa impostazione nelle relazioni tra impresa e lavoratori. Anche in Italia c’è grande spazio per le soluzioni di flexible benefits, che realizzano una positiva congiuntura tra interessi dell’azienda e del lavoratore. Con una logica che non è semplice etica del business, ma piuttosto etica finalizzata alla crescita in un contesto che permetta di premiare i migliori”.

 

Anche per il welfare serve una progettualità
La sensibilità verso questo tipo di soluzioni è sempre maggiore e, mentre fino a qualche anno fa si percepiva un distacco più marcato, ora le distanze sembrano accorciarsi. E, come in tutte le cose, serve una progettualità.
Le aziende vanno aiutate a capire come identificare le soluzioni migliori. “Il percorso si costruisce e parte dalla mappatura dell’esistente –racconta Boni– dall’analisi dei fabbisogni e dei potenziali, dalle survey sui dipendenti per avere chiaro chi sono e di cosa hanno bisogno, quale la loro età e quali carichi famigliari hanno. Le diverse fasce d’età avranno naturalmente esigenze diverse e sarebbe miope non tenerne conto. L’allineamento tra le aspettative dei dipendenti e quello che l’azienda concretamente pensa di realizzare è importante. Il caso eclatante degli ultimi anni è rappresentato dall’asilo nido aziendale, che non è sempre percepito come rilevante. Spesso sono più apprezzati incentivi differenti. Ecco perché il tema dell’allineamento è fondamentale, perché a quel punto è possibile fare una progettazione del piano di welfare che è il tuo e sarà quello che serve all’azienda in quel momento. Perché anche le aziende evolvono e mutano le esigenze, la popolazione aziendale cambia. Le aziende hanno percorsi che vanno considerati”.

Incidere sulla cultura aziendale
Il lavoro che Edenred sta portando avanti porta con sé un grande valore, perché va a incidere sulla cultura aziendale. Supportata dall’apporto culturale di centri di ricerca che contribuiscono a fornire elementi qualitativi per portare avanti un dibattito a livello istituzionale, l’azienda lavora in modo proattivo per far sì che anche l’Italia possa percorrere strade che abbiamo visto percorrere da altri Paesi.

“Il nostro Osservatorio Welfare su LinkedIn, che ha già reclutato diverse centinaia di aderenti, –illustra Boni– ci dice che tante aziende stanno approcciando questa tematica. C’è grande attenzione e sensibilità anche indipendentemente dalla dimensione aziendale. Abbiamo però creato due equipe distinte, sulle Pmi e sulle grandi aziende e in questo momento sono le aziende medio- grandi che si stanno muovendo con azioni concrete. La Pmi ha già intrinsecamente forme di flessibilità che aiutano. È meno strutturata e meno rigida, quindi è più versatile”.
Edenred ha in portafoglio un ventaglio di soluzioni che si amplia sempre di più. Abbiamo accennato ai flexible benefits. Da tempo esiste anche un nuovo servizio, il Ticket Compliments, un buono acquisto interpretato nella logica del ‘carrello della spesa’ che ha già raccolto molti apprezzamenti. I servizi per conciliare lavoro, famiglia e tempo libero sono personalizzabili, modificabili nel tempo e differenziabili per target di lavoratori, in funzione del peso attribuito, nel corso della vita, a ognuno dei quattro pilastri della conciliazione: lavoro, famiglia, retribuzione e tempo libero. Naturalmente il Ticket Family pensato per i servizi di cura alla famiglia ha molto seguito ma è bene segnalare che anche Ticket Cultura è molto apprezzato, soprattutto in quelle aziende che hanno una popolazione aziendale giovane, non ancora gravata dai problemi di cura. Ma in azienda, chi ha la responsabilità di questi temi?
“Le aziende più strutturate –racconta Boni– possono contare sui compensation&benefit manager, risorse dedicate a valutare questi piani. Ma anche il responsabile delle risorse umane, sempre più in ottica di ripensamento del suo ruolo come business partner, cioè come componente progettuale e di appoggio sostanziale all’innovazione aziendale, sta vedendo il welfare come una grande opportunità per liberare energie e motivare le persone. Questi tempi duri portano un certo distacco e disamore. Liberare energie e risorse aziendali è fondamentale”.
È vero che in tempi difficili il rischio che le persone vivano con distacco la loro dimensione lavorativa c’è. È vero anche che far sentire le persone coinvolte in un progetto più grande è possibile. E dimostrare attenzione verso la sfera personale dei propri dipendenti può essere un buon trampolino di lancio per traghettare le aziende fuori da un periodo che non si può certo definire prospero. Chiara l’opinione di Boni in questo senso: “Il rischio in questo momento è quello di fare operazioni di pura immagine, mentre è importante che le persone percepiscano un approccio aziendale concreto e trasparente: magari piccoli passi, ma onesti negli intendimenti. La crisi secondo me mette in circolo energie positive e sto percependo una innovazione sociale diffusa sul territorio, promossa e spinta proprio da questo contesto. In particolare, le nuove metodologie di networking aiutano a mettere a fattor comune esperienze individuali, perché diventino esperienze collettive. Ci sono casi molto costruttivi di un nuovo modo di intendere la società. E il cambiamento culturale parte da qui. Si vedono fiorire forme di innovazione sociale sul territorio e se l’Italia saprà innescare meccanismi virtuosi di interazione pubblico-privato si potrà avere un effetto moltiplicatore, che farà uscire da quella dimensione ‘micro’ che resta episodica e non produce quella massa critica che consente il salto culturale”.

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