La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Dal welfare state alla ‘welfare society’: le imprese possono fare la differenza

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La crisi fiscale dello Stato e l’allargarsi della forbice tra risorse disponibili e ampliamento della gamma dei bisogni sociali hanno palesato il carattere entropico della crisi del welfare state tradizionale, di tipo redistributivo e occupazionale. Un sistema che è sempre più minato da squilibri riguardanti i diversi capitoli di welfare e le differenti situazioni occupazionali, tanto da non riuscire più a svolgere quel ruolo di sostegno per cui era nato.
Sempre più spesso si sviluppano programmi di protezione e investimenti sociali a finanziamento non pubblico. Tali esperienze – di ‘secondo welfare’coinvolgono una vasta gamma di attori economici e sociali – imprese, sindacati, enti locali, organizzazioni del terzo settore –, che si affiancano agli enti pubblici nel rispondere agli emergenti bisogni sociali dei cittadini.

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Il welfare aziendale, che nasce dalla presa di coscienza della responsabilità sociale delle aziende nei confronti dei territori in cui operano, si inserisce appieno nel concetto di secondo welfare integrativo. Non si tratta tanto di sostituire la spesa pubblica con quella privata, quanto di mettere a disposizione risorse aggiuntive per rispondere all’aumentare dei cosiddetti ‘rischi sociali’. In questo, le aziende possono fare la differenza.
Le esperienze maturate nel nostro Paese sono tante: dalle iniziative di conciliazione vita-lavoro ai piani strutturati di flexible benefit fino al welfare ‘di rete’, volto a sostenere lo sviluppo del territorio come insieme di risorse naturali e di capitale umano. Tuttavia rimangono aperti alcuni interrogativi. Come diffondere una cultura del welfare nelle aziende? Come rispondere alle esigenze di una popolazione aziendale vasta, dunque portatrice di bisogni differenti? Come sviluppare un piano di welfare competitivo e innovativo rispetto ai servizi offerti e in linea con il benessere delle persone nelle organizzazioni? Come, infine, si può fare welfare anche nelle PMI?
Con l’aiuto di accademici ed esperti, aziende e alcuni principali attori del mercato, abbiamo cercato di rispondere a queste domande all’evento bolognese dello scorso 24 giugno Welfare Aziendale: ottimizzare il costo del lavoro migliorando il clima aziendale, promosso dalla rivista Sviluppo&Organizzazione.

Il welfare nel territorio: l’unione fa la forza

prandini“Viviamo in una società dell’accelerazione – apre Riccardo Prandini, Professore Ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi dell’Università di Bologna –; per poter cogliere tutte le opportunità che questo assetto ci offre è necessario saper essere locali e porre attenzione al territorio. Ma del territorio non può occuparsi una sola agenzia (che sia lo Stato, la Regione o l’Ente locale). Perché sia reso accogliente, così che tutti ne possano beneficiare, serve la collaborazione di più attori sociali; pubblici e privati. Ecco allora che non parliamo più di welfare state, ma di ‘welfare society’, all’interno della quale a giocare un ruolo importante sono proprio le nostre aziende. Si conia, a tal proposito, il concetto di corporate citizenship e si comincia a concepire l’azienda come ‘erogatore di benessere’.”
Ad agevolare la generazione di un territorio come frutto della sommatoria di più addendi è la condivisione del valore, che si può ottenere mediante lo strumento della rete.

scansani“Le reti – approfondisce Giovanni Scansani, Direttore Generale di Welfare Company – sono, da sempre, un modo per mettere in comune idee, saperi e risorse; molto utili, dunque, per portare il welfare nel territorio ed estenderlo anche alle piccole e medie imprese, che spesso faticano ad attuare questo tipo di politiche.”
Dati recenti parlano di 2.000 contratti di rete stipulati a oggi, 10.000 aziende e 81.000 dipendenti coinvolti, con ben 581 reti nate dall’inizio del 2015 nel territorio nazionale.
“Il format della rete – continua Scansani –, come dimostrano il caso di Giunca nella provincia di Varese e il progetto WelfareNet a Padova, è solo uno dei possibili. Altra esperienza è quella che si realizza grazie all’intervento di un provider – come Welfare Company per il progetto MyCard –, capace di aggregare la domanda e di coordinare l’offerta dei beni e dei servizi di welfare aziendale, all’interno di una rete cosiddetta ‘informale’. In altri casi, è la stessa associazione datoriale a incarnare il ruolo di provider, concependo un programma per le imprese associate e offrendolo alle stesse, in presenza o meno di accordi territoriali con le Organizzazioni Sindacali. La cabina di regia è l’esempio massimo di rete, come dimostra il progetto di Confindustria Prato insieme ai sindacati confederali CGIL, CISL e UIL, per la realizzazione di un welfare ‘distrettuale’, che coinvolge anche i lavoratori in mobilità e i disoccupati. Tale iniziativa, riducendo la forbice tra insider e outsider, svolge davvero una funzione integrativa del welfare pubblico.”

spezialeAltro esempio è il progetto Welfa-Re di Unindustria Reggio Emilia, rivolto alle 1.000 aziende associate, per lo più piccole e medie. “Il progetto è nato nel 2014 – racconta Giusi Speziale, Referente dell’Area Relazioni Industriali e Welfare di Unindustria Reggio Emiliacon l’intento di creare una serie di opportunità per le aziende associate e il territorio: per esempio, soluzioni che sappiano conciliare i tempi di cura e di lavoro, al fine di migliorare la presenza in azienda e la serenità sul lavoro; o soluzioni che sappiano tradursi in un abbattimento dei costi per l’azienda e nella valorizzazione degli importi da questa erogati verso i propri dipendenti. Inoltre, la rete lavora per promuovere la cultura del welfare presso le aziende; per sensibilizzare, tramite le buone pratiche, il sindacato e le istituzioni locali affinché alle azioni di welfare siano riconosciute più ampie agevolazioni contributive e fiscali; infine, per favorire nuove attività di piccolo artigianato locale, anche in collaborazione con cooperative per soggetti svantaggiati.”

Buone pratiche di rete

rizziSegue l’impostazione del welfare condiviso anche Jointly. “Il welfare non è solo fiscalità, ma soprattutto people caring, benessere delle persone e dell’organizzazione”, spiega Francesca Rizzi, Amministratore Delegato di Jointly. “Le politiche di welfare creano valore quando riescono ad attivare soluzioni di qualità a problemi complessi. E il valore percepito dai collaboratori è alto quando, al di là di un contributo economico, si interviene con profondità e qualità sui bisogni delle persone. Poiché le risorse e il tempo da dedicare al welfare sono scarsi e sussiste un’innegabile difficoltà gestionale, la soluzione è condividere il welfare con altre aziende, invece che occuparsene da soli. Fare rete tra imprese permette di mettere in comune il know how esistente, con effetti benefici in termini di risparmio di tempo e costi ed evitando di incorrere nei temutissimi ‘rischi fiscali’.”

bertazzoniIn terra bolognese ad aver avviato uno scambio proficuo con Rete Industria per lo sviluppo del welfare nel territorio è Day Ristoservice. “Day nasce dall’unione di due cooperative che hanno la RSI come valore fondante”, fa sapere Alessandra Bertazzoni, Responsabile Welfare di Day Ristoservice. “Il nostro scopo è quello di favorire il progresso sociale e facilitare la creazione di una società solidale e democratica. Come provider di servizi di welfare aziendale, portiamo valore nelle aziende e diffondiamo una cultura delle buone pratiche. Con Rete Industria abbiamo dato vita a una convenzione che permette agli associati di godere di importanti sconti sui nostri servizi (buoni pasto, buoni regalo e welfare). Inoltre, insieme alla Fondazione Alma Mater, abbiamo partecipato a un tavolo di lavoro per condividere con le PMI le esperienze della grande azienda e aiutarle a fare welfare per il benessere dei loro dipendenti.”

giordanoMa l’attenzione al territorio non si manifesta solo nella creazione di reti. Tanto si gioca sul tipo di servizi che le aziende offrono ai propri dipendenti. “Se il welfare integrativo ha come scopo quello di sostenere civitas e cittadini, in un contesto come quello attuale – caratterizzato da un mercato occupazionale in forte crisi –, all’interno del paniere di benefit le aziende devono poter prevedere anche percorsi mirati che guidino le persone nel loro sviluppo, personale e professionale. Dare ai dipendenti la possibilità di mantenere aggiornate le loro competenze per essere employable sul mercato del lavoro è oggi una responsabilità non solo dell’individuo ma anche delle aziende”, conclude Alessandra Giordano, Direttore Delivery di Intoo.

Lo stato del welfare privato in Italia

Nonostante alcune buone pratiche già ricordate, l’attuale situazione del welfare privato nel nostro Paese non sembra essere delle più rosee. Da una recente ricerca OCSE si osserva un’Europa divisa in due. In questo assetto, l’Italia è nettamente indietro rispetto al Nord Ovest e in buona compagnia di altri Paesi del Sud Est. A essere causa del forte ritardo è una normativa sul welfare obsoleta, non incentivante e poco chiara.
pavoliniC’è però un dato che desta speranza. Si registra, infatti, una forte dinamicità rispetto a una decina di anni fa. “Nei primi 2000 il welfare privato era diffuso per lo più presso i grandi gruppi – spiega Emmanuele Pavolini, Professore Associato di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro dell’Università di Macerata –; mentre negli ultimi 10 anni è cresciuto in modo esponenziale. Nel 2013 il 22,5% delle 400 grandi imprese intervistate nel corso di una survey dichiara di fare welfare (contro l’8% del 2005), prediligendo i fondi pensione e quelli sanitari, nonché il sostegno al reddito. Crescono, inoltre, i servizi di cura e di assistenza; questo per effetto della riforma Fornero e della crisi economica. Sempre più centrale è anche il tema della conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, che dà vita a nuove forme di flessibilità e introduce in azienda soluzioni di smart working. Ma un trend più di tutti emerge: l’importanza di diversificare e di rendere unica la relazione tra azienda e dipendenti, calibrata in base ai bisogni del singolo. Solo così il welfare aziendale può davvero costituire un asset strategico nella gestione delle persone.”

Le ‘emiliane responsabili’ si raccontano…

nanniPresente all’evento, Paola Nanni, in qualità di Responsabile Comunicazione del Gruppo CMS, fa sapere che il welfare aziendale ha fatto la sua comparsa in azienda all’interno di un più ampio programma di Corporate Social Responsibility. “Abbiamo iniziato nel 2008 a realizzare annualmente un bilancio di sostenibilità, con l’obiettivo di incentivare il dialogo e il confronto tra i dipendenti e l’azienda. Abbiamo poi definito un progetto che ha preso il nome di Better factory, better life, il quale comprende 4 ambiti: ‘work life balance’ su conciliazione vita-lavoro, ‘work in progress’ su aspetti come la formazione, ‘work together’ sul lavoro in team, e ‘communication@work’ per ottenere trasparenza mediante la creazione di un house organ, una intranet, una newsletter e altri strumenti di dialogo diretto. Alle prime iniziative rivolte ai nostri dipendenti, hanno fatto seguito alcune proposte per il sostegno al territorio, che si sono concretizzate nella costruzione di un asilo nido da condividere con la comunità e in un progetto di volontariato d’impresa durante l’orario lavorativo.”

curtiCome il gruppo CMS, che si considera “un’azienda a servizio del territorio”, anche Cir Food lavora per rispondere ai bisogni delle persone. “Il progetto NOIxNOI – racconta Giordano Curti, Direttore Risorse Umane di Cir Food – è volto a creare un ambiente di lavoro sano e positivo, al fine di generare performance elevate. La persona e lo sviluppo delle sue energie creative sono pertanto al centro della nostra mission che, per essere raggiunta, abbisogna di coerenza valoriale, equità sociale, pensiero innovativo, condivisione di buone pratiche e orientamento ai risultati. Il nostro è un welfare contrattato ma anche unilaterale, aziendale ma anche di territorio, avendo come prima finalità la sostenibilità delle generazioni e del capitale umano.” Ma, attenzione… “perché partendo dai bisogni del singolo, si introduce un elemento di complessità, legato alla diversificazione dei servizi offerti pur nell’ottica delle pari opportunità. Tale complessità viene però ampiamente ridotta grazie all’instaurarsi di un nuovo tipo di rapporto tra azienda e dipendenti, volto a evitare il muro contro muro. Alla base della relazione abbiamo posto un indicatore, quello ‘della felicità’, che si misura rispondendo a una semplice domanda: ‘quante volte sorridono al giorno le nostre persone?’.”

evangelistiDall’indicatore della felicità come strumento per misurare il ROI del welfare aziendale alla composizione di un piano sulla base della valorizzazione di iniziative già presenti ma ma non organizzate in un’ottica di sistema: sono diversi i modi in cui le aziende si avvicinano al tema. “Mappare le iniziative esistenti e farne tesoro è stato il primo passo che abbiamo realizzato in azienda”, riferisce Alessia Evangelisti, Responsabile Sviluppo HR del Gruppo Hera. “Lo studio e l’ascolto dei bisogni delle persone – con interviste, focus group, questionari – ci hanno restituito un quadro più definito del welfare nel gruppo, e suggerito dove migliorare. Riteniamo quindi che, prima di partire con un piano strutturato, occorra generare una cultura del welfare in azienda. E qui entra in gioco la comunicazione. Ci siamo infatti accorti che alcune iniziative o non erano note oppure lo erano ma non venivano sfruttate. Ecco allora che dotarsi di spazi di comunicazione – come una intranet aziendale in cui organizzare le informazioni e rendere disponibili tutte le opportunità – diventa non solo importante ma anche strategico.”

biagiD’accordo è anche Marco Biagi, Direttore del Personale Organizzazione e Sistemi di BolognaFiere. “Negli ultimi anni abbiamo deciso di improntare alla trasparenza le relazioni industriali. Prevenire l’insorgere di conflittualità, ascoltando la voce delle persone e coinvolgendole sempre di più nelle decisioni; mettere a punto un piano di comunicazione interna con l’obiettivo di portare il welfare all’attenzione dei dipendenti, a partire dal management: sono questi i passaggi fondamentali di un progetto nato addirittura nel ’98 con la firma di un integrativo sanitario. Un’iniziativa che ancora oggi stupisce coloro che ne vengono a conoscenza, proprio perché fatta in una regione come l’Emilia Romagna in cui la sanità pubblica funziona bene. Il motivo? Perché riconosciamo il valore del welfare aziendale come integrativo di quello pubblico, per migliorare la vita delle persone e sostenere il territorio in cui operiamo.”

L’importanza della comunicazione

bonfiglioComunicare adeguatamente il piano e diffondere una cultura del welfare aziendale è, dunque, importante tanto quanto ascoltare i bisogni dei dipendenti. Si tratta di informare le persone affinché percepiscano il reale valore delle iniziative di welfare e perché capiscano che la finalità dell’azienda è quella di prendersi cura di loro, non una mera riduzione dei costi. “Ma è anche una questione di semplificazione gestionale e agilità nell’accedere ai servizi da parte delle persone. Esistono oggi diverse piattaforme per la fruizione userfriendly dei benefit. Easy Welfare – riporta Nelly Bonfiglio, Account Director di Muoversi – è una piattaforma adattabile a tutte le aziende, che permette di customizzare e gestire il piano di welfare aziendale. Con questo tool, il singolo dipendente, avendo a disposizione una cifra definita dall’azienda e spendibile in welfare, può navigare online scegliendo tra flexible benefit, servizi, convenzioni, cassa sanitaria e fondi previdenziali, avendo sempre chiara la situazione del proprio ‘portafoglio welfare’ e potendo approfondire nel dettaglio i servizi e le convenzioni messi a disposizione.”

Prospettive future

Dalle esperienze ascoltate al convegno traiamo la considerazione che oggi fare welfare aziendale si può e si deve; non solo nei grandi gruppi, ma sempre di più anche nelle piccole e medie imprese, che occupano l’80% del tessuto economico del nostro Paese. Certo, sarebbe auspicabile un intervento sulla normativa fiscale e sulla disciplina giuridica, nonché l’arrivo di incentivi da parte del pubblico, in quella logica tripartita che lega Stato, mercato e società civile, come condizione sufficiente e necessaria al prosperare di un welfare capace di generare valore, per aziende e territorio.

 

 

 

 

 

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