La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Diversity Management: un impegno concreto

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Ivan Scalfarotto
Fondatore e Direttore Esecutivo
Parks

Ivan ScalfarottoL’espressione diversity management nei miei interlocutori spesso genera un’espressione assente o quando sono fortunato interrogativa.
Il che è molto meglio dell’accorgersi che chi mi sta di fronte ha un’idea precostituita e assai limitata del ‘diversity management’.
È quindi opportuno precisare cosa si intende con questa espressione oggi piuttosto in voga, non prima, però, di aver ricordato un episodio della mia vita che – forse – vale più di molte spiegazioni.

Il mio primo incontro, o per meglio dire ‘scontro’ con il concetto di ‘diversity’ avvenne poco meno di una decina di anni fa, in occasione del mio trasferimento dall’Italia all’estero per una grande banca americana.
Nel momento in cui l’ufficio del personale mi chiese quali fossero le mie esigenze per il mio nuovo ruolo a Londra, non esitai a dire che era necessario organizzare un viaggio e un alloggio per due persone.
E fin qui nulla di particolare.

Il punto è che quando precisai che la persona con cui condividevo il mio progetto di vita era il mio compagno, nessuno si scompose. Mi sono trovato a lavorare in un Paese in cui una diversità, visibile o invisibile che sia, non generava alcun trattamento deteriore.
Per non parlare delle norme in ambito giulavoristico: in poche parole una realtà che appariva quasi agli antipodi rispetto a quella italiana. Eppure mi trovavo sempre in Europa, a un paio di ore di volo dall’Italia.
In un contesto simile e rivestendo il ruolo di direttore del personale non potevo non interessarmi concretamente di ‘diversity management’.
Dunque, chiariamoci sul significato di questa espressione: il ‘diversity management’ è l’impegno nel creare ambienti rispettosi di tutte le differenze e capaci di assicurare a tutti la possibilità di realizzare il proprio potenziale di crescita personale e professionale.
È possibile realizzare tale obiettivo vivendo una quotidiana tensione, positiva e costante, verso l’inclusione dei lavoratori nella cultura aziendale.
La precondizione di tutto ciò è favorire la costruzione di un ambiente nel quale ci si senta al sicuro in ogni circostanza, anche se portatori di una differenza. È, ancora di più, costruire una cultura aziendale in cui la differenza di punti di vista non sia considerata un problema ma un’opportunità per costruire un business più capace di innovare, di incontrare diversi segmenti di clientela e quindi di crescere e prosperare in un’ottica ‘win-win’ (per l’azienda e per i collaboratori).
In questo senso assumono particolare rilievo le ‘differenze invisibili’.
Si tratta di quegli aspetti della persona che non sono percepibili immediatamente dagli altri, ma che portiamo ogni giorno con noi.

Riflettiamoci: nel caso di portatori di una disabilità fisica la percezione immediata di tale condizione ci induce a riconoscere la necessità di assicurare loro strutture adeguate (e non solo perché così è previsto dalla legge); nel caso di persone con un fenotipo diverso da quello della maggioranza dei lavoratori di una certa azienda, la possibilità di vederli ci fa immediatamente reagire dinanzi a espressioni razziste pronunciate in ambiti aziendali.
Ma se una diversità non è visibile, senza una cultura del rispetto e dell’accoglienza, si rischia di non attivare nessun meccanismo organizzativo e culturale volto a comprendere finanche la rilevanza stessa di quelle differenze sul luogo di lavoro.
E proprio a differenze di questo tipo mi sono maggiormente dedicato, in particolare all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Tale impegno, nasce da una consapevolezza: l’essere gay o lesbica o transessuale è un elemento rilevante non tanto nella vita intima, come si tende istintivamente a pensare, delle persone ma in modo assolutamente preponderante nella loro vita sociale, e quindi anche nella loro vita lavorativa, che appunto fa tutt’uno con la propria vita sociale.
Quanto tutto ciò sia rilevante dal punto di vista della qualità delle relazioni, sul benessere e sulla capacità di costruire sui propri punti di forza è facilmente intuibile.

Al mio ritorno in Italia, dopo aver lavorato sette anni tra Londra e Mosca per Citi, un datore di lavoro all’avanguardia in questo settore, ho deciso che le esperienze che avevo fatto all’estero potevano essere utilmente condivise e generare atteggiamenti virtuosi da parte dei datori di lavoro anche nel mio Paese.
È questo che mi ha portato a fondare Parks, un’associazione senza scopo di lucro che ha tra i suoi soci esclusivamente datori di lavoro e che si pone come obiettivo quello di aiutare le aziende socie a comprendere appieno e realizzare al massimo le opportunità di business legate allo sviluppo di strategie rispettose della diversità.
Al momento, Parks conta quattordici soci tra cui: Johnson&Johnson, IKEA , Citi, Lilly, Telecom, IBM, Roche, State Street e gli studi legali Linklaters e Clifford Chance. Con i nostri soci collaboriamo in particolare sotto tre profili: comunicazione interna (affinché tutti i materiali aziendali siano ‘diversity friendly’) ed esterna, formazione manageriale e benefit equalization.
Non sempre infatti, nei luoghi di lavoro si presta sufficiente attenzione al fatto che la vita familiare di un dipendente conta non solo sul piano umano ma anche per ciò che attiene ad aspetti costitutivi (e, talvolta, contrattuali, del rapporto di lavoro) come i benefits – si pensi alle polizze mediche estese al nucleo familiare –, all’uso della macchina aziendale o i permessi per ragioni familiari.
Ovviamente, tutto ciò risulta ben integrato se contestuale a un piano di formazione che a partire dal top management dell’azienda, per proseguire poi a cascata, riesca a trasmettere l’importanza di parlare di ‘diversity’ nelle aziende, utilizzando un approccio a 360 gradi in cui è vitale avere l’ambizione di parlare di tutte le differenze di cui siamo portatori e non solo di quelle più accessibili e intuitive.

L’esperienza di Parks è la dimostrazione che si possono realizzare concretamente azioni per un ambiente di lavoro più rispettoso delle persone.
Il benessere del lavoratore passa anche attraverso il rispetto della sua dignità e il benessere del lavoratore è una parte preziosa del capitale di credibilità e del potenziale di successo dell’azienda.

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