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Divide et impera, l’arte del comando di monsieur Napoleone

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Intervista a Napoleone Bonaparte

La sua figura ha ispirato artisti di ogni genere, dai letterati fino ai musicisti. È continuamente studiato dagli storici ed è diventato un esempio per i politici di ogni tempo. Il mito di Napoleone Bonaparte resiste immutato da quando il generale corso conquistò il potere con il colpo di stato del 18 brumaio anno VIII (9 novembre 1799), ritagliandosi di diritto il posto di protagonista della storia mondiale.

Considerato dallo storico militare Basil Liddell Hart come il “più grande stratega della storia”, definito come “l’incomparabile maestro dell’arte della guerra” e “il più grande dei grandi” dallo storico Evgenij Tàrle, Napoleone incarna una particolare tipologia di leadership che ancora oggi non è inusuale ritrovare in numerosi imprenditori e manager: straordinaria lucidità e rapidità nelle decisioni, grande ascendente sui collaboratori e sui soldati in grado di ottenere da loro una assoluta fedeltà, capacità di analizzare gli eventi e di orientare le proprie decisioni in una prospettiva di lungo periodo, volontà di andare subito al cuore dei problemi per scioglierne senza esitazione i nodi.

Ecco perché Napoleone è di certo uno dei più grandi fra i leader che hanno attraversato la storia. Abile stratega capace di conquistare e governare buona parte dell’Europa continentale, Bonaparte è stato un condottiero in grado di affascinare per il suo carisma, ma pure per le sue qualità di statista: imponendo nei territori occupati il Codice civile che da lui prese nome gettò in Europa le basi della società contemporanea.

Lo stile che caratterizzò la sua leadership offre uno spunto di riflessione utile anche per i manager delle nostre aziende. L’intervista – un divertissement, ma basato su affermazioni reali del protagonista o sulle testimonianze della memorialistica contemporanea – è stata realizzata immaginando di poter dialogare oggi con Napoleone, magari all’interno della Chiesa di Saint Louis des Invalides a Parigi dove si trova la tomba dell’Imperatore.

A dare la voce a Napoleone è Vittorio Criscuolo, Professore Ordinario di Storia Moderna e di Storia dell’Età dell’Illuminismo presso l’Università degli Studi di Milano. Tra le sue opere: Napoleone (Il Mulino, 2009), Il Congresso di Vienna (Il Mulino, 2015), e Storia Moderna (Pearson, 2019).

Napoleone si considera un leader politico o un capo militare?

La mia carriera è iniziata sui campi di battaglia e sono sempre stato costretto a combattere, prima per affermare il mio potere e poi per difendere quello che avevo conquistato. Nonostante il mio ‘mito’ sia nato a livello militare, il mio potere si è affermato in politica: ho governato la Francia non come generale, ma come capo della nazione e non ho mai dovuto usare l’esercito per mantenere l’ordine interno.

Nel 1799, dopo 10 anni di rivoluzione, il Paese invocava ordine e pace e io ho dato al popolo ciò che desiderava. E poi ho donato alla Francia anche la gloria. Sono stato riconosciuto come il capo della nazione perché avevo le qualità civili per governarla e questo è stato confermato dai plebisciti con i quali il popolo ha legittimato la mia scalata al potere, vedendo in me il solo in grado di rappresentare e difendere gli ideali e gli interessi della nazione.

 

Quali sono le “qualità civili” di cui parla che le hanno permesso di diventare il capo della nazione?

La capacità di dare alla Francia stabilità consolidando e garantendo le principali conquiste della rivoluzione. Durante la Rivoluzione, la Francia aveva assistito allo scisma della Chiesa: da una parte la Chiesa Costituzionale che aveva accettato i principi del 1789, dall’altra il clero refrattario che aveva respinto e combattuto i valori rivoluzionari; inoltre molti controrivoluzionari avevano lasciato il suolo francese.

Ho ristabilito la pace religiosa con il concordato stipulato nel 1801 con Pio VII e ho chiuso la rivoluzione favorendo il ritorno degli emigrati. Inoltre ho creato un’amministrazione finanziaria solida ed efficiente e ho posto le premesse per lo sviluppo dell’economia, confermando l’abbattimento del regime feudale avvenuto nel 1789 e liberando il diritto di proprietà da ogni peso o vincolo.

Molti mi hanno accusato di avere cancellato la libertà politica, di avere dato voce al popolo solo nei plebisciti, di avere colpito con la censura ogni manifestazione culturale o artistica non allineata al regime, di avere ridotto i giornali a meri bollettini dell’autorità. Ma i francesi erano stanchi di continui conflitti politici e di sterili discussioni parlamentari; da tempo attendevano qualcuno che guidasse con mano ferma lo Stato e riconobbero in me l’incarnazione della nazione.

 

Veramente i suoi avversari l’accusavano di avere combattuto non per gli interessi della Francia, ma per soddisfare la sua sete di potere e di gloria, oltre che la sua smisurata ambizione…

Ancora oggi la grandeur, la gloria della Francia è legata al mio nome e al mio esempio. Dopo la chiusura con il trattato di Amiens del 1802, la guerra iniziata 10 anni prima, avrei voluto vivere tranquillo nei miei confini e mantenere la pace in Europa, ma l’odio dei mei nemici, le monarchie assolute e soprattutto l’Inghilterra, mi hanno costretto a riprendere la guerra.

E poi, a guardare le cose da lontano, la mia Francia, che si ispirava pur sempre ai principi del 1789, era incompatibile con l’Europa dell’antico regime. Per questo l’Austria, la Prussia, la Russia e l’Inghilterra hanno stipulato con me trattati di pace solo perché costrette con la forza; appena possibile hanno ripreso la lotta finché non sono stato definitivamente sconfitto.

Il lungo conflitto durato dal 1792 al 1815 vedeva contrapposti due mondi inconciliabili: la Francia del 1789, che aveva proclamato una volta per tutte l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, cancellando i privilegi dei nobili e del clero, e l’Europa di antico regime. Questa è la verità!

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di settembre-ottobre 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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