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L’etica in azienda

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Mi occupo di progettazione formativa. A ogni avviso di Fondimpresa sulla competitività mi suona un campanello. Vengo sollecitato da una miriade di domande su che cosa s’intenda per competitività. La prima immagine è sportiva. Vedo atleti che corrono per giungere primi al traguardo del business, in questo caso. Mi chiedo che cosa succeda in un mondo così complesso in cui non tutti hanno gambe della medesima lunghezza o la stessa età anagrafica.

Competere con altre nazioni, anche solo con i cugini europei, porta allo scoperto differenze di condizione, fin dalla partenza. Senza scomodare l’economia globale, guardo alle nostre aziende italiane –tra loro e al loro interno– e mi chiedo che cosa succeda, alla fine della competizione, non al secondo classificato, ma all’ultimo e al penultimo.

La domanda non è retorica, perché ritengo che, tramontati ormai modelli indifendibili che separano la dimensione etica dal business, rimane la questione di come far quadrare le cose in un’epoca pluralistica in cui non è semplice appellarsi a codici etici di riferimento assoluti, chiari e univoci per evitare, alla fine, di ‘ritrovarsi a giocare a tennis da soli’, una volta annientato ogni competitor.

Peraltro vorrei evitare di sembrare una persona che loda i tempi passati, altrettanto caratterizzati da contraddizioni quanto quelli odierni. Ciò che vorrei portare in evidenza sono alcuni nodi problematici che potrebbero occupare chi si interessa alla relazione tra etica e business.

Il rispetto dell’etica, quella con la “e” maiuscola, appare vantaggioso anche in una prospettiva di ‘convenienza’, andando oltre la sola ottemperanza ai vincoli normativi, perché è piuttosto evidente che atteggiamenti non etici, che separano il business dall’ethos, basati su prospettive poco illuminate di breve periodo, portano al dissesto delle relazioni sociali, a squilibri economici, al deterioramento dell’ambiente e a ulteriori conseguenze negative, che già Socrate avrebbe letto come un boomerang.

La domanda che sorge spontanea è: basta fare riferimento alla convenienza per affrontare le contraddizioni che possono generarsi in un mercato competitivo come il nostro, per evitare di considerare le scelte etiche come un ripiego e come un costo?

I Project Manager insegnano quanto sia indispensabile tenere conto di tutti i portatori d’interesse. Se si dimentica quello che si attende uno stakeholder, si genereranno conseguenze che metteranno un granellino di sabbia nell’ingranaggio del progetto. Qualcosa di simile è immaginabile per l’impresa. Quest’ultima è un reticolo formato da portatori d’interesse e vive nell’equilibrio delicato, a volte instabile, tra diverse attese. Per fare scelte etiche corrette si potrebbe, forse, concepire un’impresa in grado di mantenere questo equilibrio.

Tuttavia, subito, il ‘genio maligno’ del dubbio fa sorgere nuove domande. Tutti i portatori d’interesse hanno lo stesso peso? Agli occhi dei decisori, la pressione di potere esercitata da chi ha in mano le leve economiche più forti ha lo stesso valore di chi occupa posizioni di minore rilievo o di chi abita in regioni di confine, lontane dal centro del potere? Come facciamo a rilevare i veri interessi di tutti i soggetti coinvolti in questo sistema di relazioni?

L’impresa, lo sappiamo, non è un’organizzazione democratica e chi decide si assume la responsabilità di discriminare cosa sia importante e cosa no. Gli strumenti che si utilizzano per rilevare gli interessi dei vari attori traccia una scala di grigi che va dal ‘non saper quasi nulla’ di loro, fino al coinvolgerli nelle decisioni strategiche. A queste domande, onestamente, non so dare una risposta soddisfacente.

Tuttavia mi arrischierei a suggerire un’idea. La proposta nasce dal fatto che l’impresa è un soggetto tra altri soggetti. Si sviluppa in un mondo complesso che vive in perpetuo cambiamento, con interessi convergenti e divergenti, sempre mutevoli. In questo contesto, non è immaginabile affrontare un tema come l’etica nel business prescindendo dall’etica in quanto tale e dall’etica individuale di ciascun manager, impiegato o operaio, fondandola esclusivamente sulla prospettiva della convenienza per singola impresa.

È necessario assicurare una continuità tra decisione individuale e congruenza con fondamenti etici generali, che non possono e non devono entrare nell’arena della competizione. Per fare ciò è indispensabile garantire, non solo il diritto al dubbio, ma soprattutto il dovere della domanda, della disamina e della pratica di ciascuno, affinché siano assicurati: flessibilità, dialogo, attenzione agli interessi e al coinvolgimento di tutti i soggetti appartenenti al sistema.

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