
Flessibilizzarsi per non soccombere al digitale
change management, flessibilità, trasformazione digitale
Oggi più che mai occorre flessibilizzarsi. Non eravamo abituati ad avere al tavolo un interlocutore fastidioso che non si accontentava di negoziare qualcosa per ritenersi soddisfatto e continuare a servire. Il fatto è che, pur rendendoci conto che i tempi sono cambiati, ci si ostinava ancora nella vecchia abitudine di considerare – e utilizzare – la tecnologia come un mezzo, utile e, talora, persino indispensabile, ma pur sempre uno strumento da maneggiare con attenzione, avendo cura di seguirne gli sviluppi e preoccupati della sua crescente pervasività.
Quando abbiamo cominciato ad aver i primi dubbi che le cose stessero semplicemente così, ci si è presentata una verità parecchio scomoda: quelli che avevamo considerato per tanto tempo solo strumenti per accelerare il lavoro e renderlo più efficiente avevano di colpo assunto il tono e l’andamento di veri e propri attori all’interno del processo di cambiamento che stava stravolgendo le imprese. Attori, per altro, molto poco rispettosi dei canoni classici che codificavano organizzazioni, processi e sistemi procedurali.
E così, ora, siamo qui a cercare di capire che tipo di rapporto si instauri, anche non volendo, con interlocutori costruiti per imporre autonomamente relazioni nuove, pratiche meno burocratiche, e una diversità quasi sostanziale nelle modalità di concepire il tempo, le funzioni organizzative, le logiche di distribuzione gerarchica, le stesse priorità nel definire valori, valutazioni di merito, orientamenti al risultato.
Riflettere per resistere all’urto del digitale
Ci sono conseguenze che discendono dalle potenzialità incrementali delle macchine e dei dispositivi digitali che hanno invaso l’intera filiera della nostra vita, lavoro compreso, e ci sono conseguenze che attengono alla cultura che si è venuta sviluppando attorno all’uso ormai inevitabile di tutto quanto questa nuova tecnologia ci mette a disposizione, orientandoci verso ‘comunità di pratiche’ in cui è facile condividere informazioni, emozioni, saperi, competenze tecniche, aspettative e giudizi.
Sotto il primo profilo, è indubbio che i due grandi totem organizzativi che la tecnologia digitale riesce ad abbattere sono quelli che codificano l’uso del tempo e l’utilizzo dei confini delle funzioni.
La Rete, non avendo rispetto per la verticalità tradizionale delle strutture e potendo funzionare in tempo reale da qualsiasi posizione uno occupi nella trama delle connessioni, abilita a scambi che non sono regolamentabili secondo logiche tradizionali, consentendo una diffusione a raggiera attorno ai nodi di connessione, e rendendo facilmente intrecciabili messaggi asettici, emozioni connesse a valutazioni o a decisioni, conversazioni, appuntamenti, richieste di conferma o di adesione, ecc.
Come è facile rendersi conto, quello che va in crisi è la sacralità dei confini delle funzioni e una concezione della gerarchia ancora fondata, per gran parte, sulla segmentazione dei poteri di accesso alle informazioni e della loro distribuzione secondo criteri ‘posizionali’.
La permeabilità, sostenuta dalla Rete, delle strutture deputate all’esercizio dei diversi compiti organizzativi rende impraticabili le vecchie forme di chiusura verticale degli spazi funzionali, quelli, per intenderci, che regolavano ruoli, carriere, e contributi in solide architetture a canne d’organo. La Rete non ha rispetti spaziali, come non ne ha per le liturgie temporali così care alle aziende in tempi meno compromettenti.
Ma come sempre avviene quando i confini cedono, si fanno incerti, fino a diventare mobili e persino plurimi, non può non cambiare anche l’antropologia degli uomini che le aziende dislocano su questa geografia in perenne movimento.
E qui interviene, per completare il ragionamento sulle conseguenze della presa di potere del digitale, la riflessione più impegnativa: quella sulla cultura che impegna le persone, a tutti i livelli, a rapportarsi con modalità di pensiero, di comportamento e con logiche relazionali, in grado di reggere l’urto di un vero cambio di paradigma.
Confronto e condivisione, le parole chiave della Rete

Ci sono almeno due fenomeni che la Rete, in generale, rende diffusivi, anche a prescindere dall’uso specifico che ne può venire fatto. Il primo è l’abilitazione di ognuno a esprimersi, a confrontarsi, a entrare in contatto come identità personale non semplicemente legata a un ruolo o a una posizione, con chiunque altro. Il secondo fa riferimento alla spinta alla condivisione che, nascendo da una comunanza di obiettivi, di interessi, di sentimenti, o dalla ricerca di situazioni in cui ritrovarsi, ingenera una propensione sociale che sembrava essersi offuscata nella realtà, e qui invece appare possibile secondo aggregazioni in vere e proprie community di condivisione.
Questa cultura di apertura alla pluralità, alla disponibilità di risposte e interlocuzioni multiple non vincolate da schemi preconfezionati, crea inevitabilmente attori esigenti su un terreno di gioco più sociale, abituati a trasferire da un palcoscenico all’altro uno stile di comportamento ed esigenze ormai legittimate dalle pratiche quotidiane che la tecnologia abilita e spinge a utilizzare.
L’impresa, che pensava di poter disporre della nuova tecnologia come un mezzo potente per raggiungere meglio i suoi fini, si trova ora a fare i conti con l’abilitazione, che la tecnologia consente alle persone, di potersi sentire ben diversamente degne di valorizzazione e in grado di occupare un peso significativo all’interno dello scacchiere organizzativo.
L’assetto verticale dei poteri legati alla gerarchia, posizioni e ruoli connessi, viene ormai messo in discussione all’interno di conversazioni che straripano per ogni dove, costruendo canali senza obbedienze gerarchiche nel loro intrecciarsi, e trovando contesti di cooperazione soddisfacenti nella composizione e scomposizione variegata dei gruppi intorno a temi, obiettivi e progetti comuni.
La tecnologia eminentemente sociale, e facilmente socializzabile, del digitale aiuta a costruire persone coscienti del proprio valore e della propria spendibilità sociale. L’abitudine al confronto in Rete, che richiede riconoscimenti non formali, consente di sperimentare la propensione a entrare in un gioco in cui le responsabilità si misurano sulle abilità nell’intercettare i segnali, sulla tenuta dei rapporti nelle difficoltà, sulla generosità dei contributi e sulla capacità di solidarizzare costruendo gruppo.
Per proseguire nella lettura della rubrica “Di tanti palpiti, di tante pene”, leggi il numero di Maggio-Giugno-Luglio di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)