La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Gli effetti della Riforma Fornero

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Survey Gi Group Academy: gli effetti della Riforma Fornero

L’Osservatorio permanente sulla riforma del mercato del lavoro, promosso da Gi Group Academy in collaborazione con Gi Group e OD&M Consulting, presenta la prima di una serie di rilevazioni online −a cadenza semestrale− per fotografare gli effetti prodotti dalla recente normativa dopo sei mesi dall’entrata in vigore.
Hanno partecipato Hr manager e imprenditori di 500 aziende, principalmente PMI (69%) nei settori più rappresentativi della realtà italiana −industria, commercio e servizi− su tutto il territorio nazionale. I dati sono stati raccolti tra la metà di dicembre 2012 e fine gennaio 2013. Ecco le principali evidenze della ricerca. Per il 54% delle aziende campione l’unico obiettivo raggiunto dalla riforma del lavoro è la riduzione degli abusi improprio delle forme contrattuali flessibili.
Per chi ritiene che la riforma sia stata ininfluente nelle scelte di gestione del personale, è diminuito il ricorso a collaborazioni
a progetto (51%), Partite Iva (45%), contratti di inserimento (45%), a tempo determinato (42%); mentre è aumentato il ricorso ai contratti di apprendistato (50%) e ai contratti di somministrazione a tempo determinato (36%). La legge Fornero non diminuisce il costo del lavoro per quasi tre imprese su quattro (73%) e non aumenta l’occupazione per due terzi (66%). Per il 59% degli intervistati
la legge non introduce competitività nel sistema, per il 54% non aumenta l’inserimento dei giovani nel lavoro e, per un rispondente su due, non favorisce l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili e, al contempo, non facilita i licenziamenti (52%).

Sempre a livello ‘sentiment’ la riforma non crea maggior inclusione delle donne né nuove opportunità per gli over 50 e, peggio, per il 46% tende a paralizzare le scelte di assunzione. In termini di impatto, invece, per sei su dieci, la riforma ha inciso sulla gestione della  flessibilità in ingresso peggiorandola per il 55% e in misura minore sull’uscita delle persone peggiorandola per il 45%; inoltre le ha rese più costose rispettivamente per il 58% e il 46%. I contratti che a seguito della riforma sono stati trasformati o abbandonati da circa metà delle aziende campione sono quelli di inserimento, associazione in partecipazione, lavoro intermittente e collaborazioni a progetto. Di questi il 76% è stato convertito in altra forma contrattuale flessibile (19% a tempo determinato, 17% in  somministrazione a tempo determinato, 14% Partite Iva e collaborazioni a progetto e 12% in apprendistato: solo il 24% in contratti a tempo indeterminato.

Nelle altre aree di indagine −contrattazione di secondo livello, politiche attive e ammortizzatori sociali−, non risultano per ora cambiamenti significativi né modifiche sui costi. Sul fronte delle politiche attive, non stupisce che il legislatore abbia inserito finora solo un ‘suggerimento’ alle parti, in sede di conciliazione, per concordare un progetto di supporto alla ricollocazione del lavoratore che ha perso il posto: l’outplacement è la scelta aziendale in cui la riforma ha esercitato minor influenza (26%) e, infatti, è ancora
utilizzato in modo molto limitato (16%).

“La riduzione delle forme improprie di flessibilità (Co.Co.Pro., Partite Iva, ecc.) è indubbiamente il principale risultato che va riconosciuto alla Riforma. L’altra faccia della medaglia è che la Riforma ha introdotto elementi di limitazione sull’utilizzo di determinati strumenti senza aver concretamente indicato gli elementi positivi e le alternative da utilizzare −commenta Stefano
Colli-Lanzi, CEO di Gi Group e Presidente di Gi Group Academy−. Per quanto riguarda la flessibilità in uscita, invece, c’è da dire che la Riforma è ‘incompiuta’. Si è fermata a metà del guado mentre avrebbe dovuto andare fino in fondo, scardinando il concetto di inamovibilità del posto di lavoro che oggi, di fatto, crea un mercato duale in cui chi ha il posto è intoccabile, ma chi è fuori dal
mercato non ha quasi nessuna speranza di entrarvi. Tutto ciò produce un sistema fortemente improduttivo e bloccato. Sbloccare la flessibilità in uscita è l’unico modo per ridare centralità al contratto a tempo indeterminato, che dovrebbe essere il modo ‘naturale’ per inserire nuove risorse. E, si badi bene, questa è la stessa linea che ci propone l’OCSE con il suo rapporto Going for Growth 2013.
Alla luce di queste evidenze, – continua Colli-Lanzi – pensiamo che sia necessario agire su leve strutturali, ovvero: fare investimenti produttivi che vadano a lavorare sugli asset del Paese e che siano in grado di far ripartire l’occupazione, creando valore nel breve ma con un’ottica anche di medio-lungo periodo; spostare la tassazione dal lavoro ad altre fonti di reddito con una riduzione, anche cospicua, del cuneo fiscale, consentendo di migliorare la retribuzione netta delle persone. Inoltre, a livello di mercato del lavoro, riteniamo si debba agire su tre aspetti: incentivare l’apprendistato come contratto di inserimento, rendere l’outplacement obbligatorio, o fortemente incentivato,  per tutte le aziende che licenziano, e ridare centralità al contratto a tempo indeterminato, limitando solo a casi autentici il ricorso a forme di lavoro autonomo (Partite Iva e Co.Co. Pro., ecc.) e demandando, invece, alle
agenzie per il lavoro la buona flessibilità.

Se è vero che le imprese di medio-grandi dimensioni segnalano, in oltre la metà dei casi, che la riforma incentiva il ricorso alle APL, è vero anche che tale ricorso dovrebbe essere incrementato ulteriormente, in quanto le agenzie possono e devono essere la giusta leva per gestire la flessibilità richiesta dalle aziende e la sicurezza richiesta dai lavoratori, in una prospettiva non più di posto fisso a vita,
ma di costante employability”. A questa prima rilevazione ne seguirà una seconda, a distanza di sei mesi, che si chiuderà con un evento annuale di dibattito e discussione delle evidenze emerse. Mentre nelle successive rilevazioni dell’Osservatorio Gi Group Academy la ricerca approfondirà anche i singoli effetti su politiche attive e ammortizzatori sociali –di cui per ora ha rilevato solo prime sensazioni di miglioramento/peggioramento− in base all’entrata in vigore dei singoli provvedimenti su queste aree.
www.gigroupacademy.it

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