La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Benessere; Spazi di lavoro; Smart working

Habitat che promuovono il benessere

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Tutto è morbido, ovattato, colorato e giocoso. Piccoli animaletti appesi alle pareti, cuscini appoggiati a terra dove sdraiarsi gioiosamente, amache appese alle pareti ed enormi scivoli. Non è la nuova estetica da asilo nido o nursery da ospedale. ‘Bambinizzare’ gli spazi di rappresentanza è diventata l’ultima tendenza del design di interni di grandi sedi bancarie e multinazionali.

E per quanto fatichiamo davvero a immaginare seriosi manager in giacca e cravatta perdere ogni compostezza per rotolarsi tra i cuscini tra una delibera e l’altra, oggi lo Smart workplace va proprio in questa direzione. Ha certamente fatto scuola l’esempio delle sedi internazionali di Google e Facebook che, tra i primi, hanno voluto trasformare i propri spazi in manifesti di una ritrovata creatività e innovazione nel luogo di lavoro.

Se tutti giocano, chi lavora?

Archiviati da tempo tavoli riunioni e uffici patinati, vengono proposti spazi in cui liberare la dimensione giocosa delle persone. In Italia questa moda è stata raccolta da aziende e grandi banche che nei nuovi uffici propongono ai dipendenti spazi fluidi e interscambiabili, dove lavorare in qualsiasi spazio senza postazioni rigide.

Questa tendenza si fonda su un presupposto: cambiando la natura degli spazi si possono modificare comportamenti e attitudini delle persone, improntandole a una maggiore informalità e creatività. È quello che, con efficace espressione linguistica, Carlo Ratti chiama il progetto della “terza pelle” (quella vera, i vestiti che indossiamo, lo spazio che ci avvolge).

Lo spazio deve conformarsi alle esigenze delle persone e determinare il loro benessere, suggerendo emozioni, stati d’animo, comportamenti. Come tuttavia sa chi si occupa di relazione tra spazi e comportamenti, la questione non è però così lineare.

Cosa ci induce a pensare che spazi destrutturati siano di per sé determinati nel modificare le relazioni umane e giovare alla governance dell’impresa? Se tanto spazio viene dato alle relazioni informali dove viene nascosto–o si potrebbe dire relegato– il lavoro ordinario (fare una telefonata, scrivere una email, fare due conti)? Se giocosa è la scena –o la messinscena– tutto appare diverso nel retro dove le persone comuni lavorano.

dominano spazi piccoli, serrati, angusti, a portata di voce. Stupisce vedere aziende con migliaia di dipendenti costretti a condividere spazi ordinari minimi. L’attenzione alla persona umana è ridotta a metri quadri di sopravvivenza, come se lo spazio reale, quello delle ore che si ripetono tutte uguali ogni giorno, non avesse valore.

Alcune considerazioni sembrano rilevanti. Sempre più spesso ci troviamo a riflettere e discutere di benessere e in particolare di benessere legato agli spazi e all’organizzazione del lavoro, eppure mai come negli ultimi anni è il malessere nei luoghi di lavoro a condizionare la vita di tanti lavoratori.

L’incertezza e la paura di perdere il lavoro portano a comportamenti difensivi, per cui le persone non si espongono, non decidono e si rendono invisibili; talvolta si ammalano. Lo stress, infatti, riduce la performance lavorativa sia manuale sia intellettuale e aumenta il rischio di errori e di infortuni.

Insicurezza, difesa dagli altri, scarsa affezione al posto di lavoro, poco coinvolgimento in attività comune, sono temi ricorrenti nelle storie di lavoro. Una sofferenza spesso indicibile, reiterata nel tempo, poco condivisa persino con le proprie reti familiari e amicali. Perché la vita lavorativa sconta ancora molti tabù collettivi, insuccessi e frustrazioni, licenziamenti e mortificazioni trovano raramente forme di elaborazione collettiva.

 

Per approfondire l’argomento “spazi di lavoro e benessere”, leggi il libro La dimensione etica del benessere organizzativo disponibile sul sito ESTE.
Per informazioni sull’acquisto di copie scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

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