La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Il cambiamento è un gioco di squadra

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Il cambiamento radicale, velocissimo e continuo, degli ultimi anni ha inciso profondamente sugli assetti socio economici e sui processi di innovazione tecnologica, con importanti ripercussioni sui modelli di business. Basti pensare a fenomeni come Airbnb o Uber, che hanno messo in discussione le tradizionali definizioni di cliente e fornitore, imponendo un ripensamento delle logiche di marketing. Oppure, ancora, agli impatti dirompenti relativi all’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni, figlie di un’epoca digitale e portatrici di tratti antropologicamente diversi dalle native Gutenberg.
Tale cambiamento ha richiesto alle organizzazioni di adattarsi o, in alcuni casi, di innovare il proprio modello organizzativo. È questa una delle principali sfide a cui stanno rispondendo oggi le aziende, la maggior parte delle quali si sta adeguando con una ridefinizione della propria mission e strategia, sviluppando all’interno processi di lavoro più efficaci ed efficienti, ma soprattutto trasformando la propria cultura organizzativa.
Se “nuovo è bello” non è detto che sia altrettanto semplice. Le resistenze al cambiamento sono tantissime e rischiano di inibire le spinte innovatrici. È soprattutto la paura del diverso a costituire il più pericoloso antagonista del cambiamento, poiché creatore di una sorta di ‘paralisi’ joyciana nelle persone.
Per ‘gestire’ il cambiamento – e non esserne travolti – occorre dunque coraggio ma anche metodo, e soprattutto lavoro di squadra. Il coinvolgimento delle persone, dal top management ai collaboratori, è fondamentale. Su questo tema ci siamo confrontati con alcune aziende al convegno ESTE dal titolo Il cambiamento organizzativo. Strategie, processi, cultura: gli strumenti per cambiare le organizzazioni, che si è tenuto lo scorso 4 giugno a Milano.

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Project management vs sviluppo organizzativo
Storicamente, il cambiamento nelle organizzazioni ha visto contrapporsi due concezioni diverse: un primo approccio, tecnico-ingegneristico, tipico del project management e un secondo approccio, umanistico psicologico, incentrato sulle teorie dello ‘sviluppo organizzativo’. E ancora, un metodo top-down contro un altro partecipativo.
Nel tempo, le due visioni contrapposte hanno cominciato a dialogare tra loro, per dare vita a nuovi ibridi. Oggi pare vincente la teoria di Hamel (2014), che propone di “costruire una piattaforma di cambiamento e non un programma”, dove per piattaforma si intende una serie di tool e metodologie condivise.
reboraStando però a una recente ricerca di Masino (2011), su 57 casi di importanti multinazionali operanti in Italia, “la retorica della decentralizzazione, partecipazione, impegno, responsabilità, competenza, valori umani non è il miglior descrittore dei cambiamenti più rilevanti introdotti dalle corporation. Invece, una logica di centralizzazione, standardizzazione, disumanizzazione sembra diffondersi progressivamente e ispirare la maggior parte dei cambiamenti organizzativi.” Non si tratta di vero e proprio approccio top-down, quanto di una “necessità di controllo da parte del vertice – sempre secondo Masino – che è realizzata non solo e non tanto con l’accentramento formale delle prerogative decisionali ma, ancora di più, con la riduzione di discrezionalità, per via tecnologica, dei livelli intermedi e operativi, e con l’omologazione delle conoscenze e, quindi, dei comportamenti.”
Sulla base di queste considerazioni iniziali, Gianfranco Rebora, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale presso l’Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza e direttore della rivista Sviluppo&Organizzazione, sostiene che: “Oggi è necessario: evitare approcci normativi, preferendo soluzioni ibride; riprendere i fondamenti del pensiero legato al cambiamento organizzativo e trovare delle vie di mezzo; ma soprattutto porsi tante domande, più che dare altrettante risposte. Per esempio, dobbiamo chiederci che cosa innesca il cambiamento (driver), quali sono le resistenze (inerzia organizzativa), quale il ruolo degli attori (leader e agenti del cambiamento), quali i processi e, infine, quali i risultati (performance).”

Come si cambia? Quali le condizioni per il successo?
portaSono queste le domande che si è posta anche OD&M Consulting in una recente ricerca volta a indagare l’attuale approccio al cambiamento delle aziende e delle persone che vi operano. La survey si è data l’obiettivo di individuare i fattori critici di successo e insuccesso dei progetti di cambiamento. “Dai risultati della ricerca – ha fatto sapere Stefano Porta, Senior Consultant di OD&M Consulting – emerge che la maggior parte delle aziende (42%) agisce il cambiamento in fase di stallo o durante la crescita (30%). Molto meno sono quelle che avviano azioni di cambiamento durante fasi di crisi (27%). Questo probabilmente perché cambiare, se si è già in difficoltà, presuppone energie professionali ed economiche difficilmente accessibili. Un dato che fa riflettere è che nel 70% dei casi il cambiamento si focalizza prevalentemente su processi e strutture, mentre solo nel 18% viene guidato da competenze e cultura e ancora meno (5,9%) dalle tecnologie.” In termini di percezione è invece interessante notare come il cambiamento viene vissuto come processo di successo nel 70% dei casi, ma solo nel 30% porta effettivamente al raggiungimento degli obiettivi prefissati. “L’elemento indicato dalla quasi totalità degli intervistati come maggiormente determinante rispetto al successo o all’insuccesso del cambiamento sono le persone. Ciò che invece tendenzialmente meno viene preso in considerazione sono i vincoli e le variabili esterne. Altri motivi di insuccesso riguardano: la mancata comunicazione del senso e la condivisione degli obiettivi del cambiamento, l’utilizzo di un approccio esclusivamente top-down – dunque, il fallito coinvolgimento delle persone –, l’assenza di ruoli e strutture dedicati. Da sottolineare infine come uno degli elementi di insuccesso nei processi di cambiamento risieda nel fatto che non si cambi abbastanza.”

Essere canoa, per seguire la corrente
de toniChe il cambiamento – e non la stasi – sia la nostra condizione abituale, la costante della nostra vita è opinione anche di Alberto Felice De Toni, Magnifico Rettore e Professore Ordinario di Organizzazione della Produzione e Gestione dei sistemi complessi dell’Università degli Studi di Udine. Ecco allora la necessità di predisporre di strumenti in grado di permettere alle organizzazioni di convivere con il cambiamento e di navigare nella complessità. “Predire il futuro non è possibile e impossibile è anche conoscere la velocità con la quale i cambiamenti ci investiranno. Viviamo oggi in tempi ‘esponenziali’, con una complessità crescente. Il passato è perciò sempre più lontano, il presente sempre più sfuggente e il futuro sempre più vicino. Tutto oggi è interconnesso e interdipendente. Ciò che, in siffatto contesto, possiamo fare per sopravvivere non è di certo metterci a navigare contro corrente in un battello a vapore. La metafora corretta da adottare , invece, quella della canoa che asseconda lo scorrere tortuoso del fiume. A tal proposito, per potersi orientare in questo incedere discontinuo, viene in aiuto la teoria dei sistemi complessi. Capire che non c’è un’unica via da percorrere, ma tanti percorsi tra cui scegliere; comprendere che niente è lampante e immediatamente interpretabile, ma che esistono tanti piccoli segnali deboli da dover cogliere giorno dopo giorno; infine, rendersi conto che non serve arroccarsi su posizioni predefinite, ma adottare resilienza, flessibilità e tempestività nel cambiare rotta: sono questi gli unici punti fermi che abbiamo per reagire al cambiamento. Oltre, ovviamente, alle reti di conoscenza.”

Il cambiamento: da progetto a processo
aymon“Il fatto è – ha chiarito Paolo Aymon, Amministratore Delegato di Bluechange che le aziende non possono esimersi dal cambiare. Quello che una società di consulenza può fare è accompagnarle passo passo, aiutandole a coniugare la strategia e l’azione con la messa a punto di nuovi modelli organizzativi, processi e piani di miglioramento che siano coerenti con le esigenze aziendali e soddisfino l’obiettivo di ottenere valore, ottimizzare le risorse, ossia ridare competitività all’impresa. Il primo passo, per un’azienda che vuole cambiare, è di individuare, tramite Swot analysis, i gap tra punti di debolezza e obiettivi strategici (per esempio, posizionamento sul mercato, adeguatezza tecnologica e del modello organizzativo). Poi occorre ‘spacchettare’ i processi e cogliere i problemi per trasformarli in opportunità. Infine, è necessario esportare le competenze per permettere a ognuno di continuare in autonomia. Per citare il professor Paleari: ‘Il diamante e il carbone appartengono allo stesso elemento; la differenza la fa l’organizzazione degli atomi’.”

Partire dalle persone
perrone“La persona, la sua proprietà intellettuale, è l’unico asset che si può rivalutare nel tempo e che permette di distinguersi.” Questa la convinzione in base alla quale Sirti ha messo in atto un processo di cambiamento incentrato sulle risorse umane e le competenze. “Le aziende – ha dichiarato Clemente Perrone, Direttore Organizzazione, Sviluppo, Selezione, Formazione e Chief Transformation Officer di Sirti – per prosperare, devono accompagnare le persone in un percorso di trasformazione professionale. Oggi Sirti è un laboratorio esperienziale che fa della conoscenza un elemento strategico. Perché si cambi davvero è necessario che il movimento parta dalle persone in modo spontaneo, in una sorta di onda perpetua. Per fare questo abbiamo messo a punto un sistema integrato di change management con ruoli definiti – il chief transformation officer, per esempio – e un performance journey, ossia un programma di sviluppo delle competenze munito di metriche di misurazione e monitoraggio per capire dove stiamo andando.”
francoStessa importanza attribuita al fattore umano anche nel progetto di rivalutazione della regione brasiliana Pernambuco a cura di Magneti Marelli. “Non solo abbiamo messo al centro la persona – ha spiegato Andrea Franco, Task Force Mercosur Vice President HR di Magneti Marelli – ma anche la sua famiglia e l’intero territorio. Dopo aver individuato, nella prima fase, gli obiettivi, abbiamo dovuto fare un grande bagno di realtà, accorgendoci della scarsità di competenze tecniche nel territorio. Anziché scoraggiarci, abbiamo deciso di puntare proprio sullo sviluppo delle risorse umane. E, per farlo, abbiamo creato una funzione HR ad hoc, divenuta un riferimento all’interno del manufacturing di MM. L’utilizzo di leve come il welfare aziendale e la comunicazione interna ha fatto il resto.”

 

Parlare la stessa lingua
calonghiDatalogic è una multinazionale italiana con sede a Bologna che negli ultimi anni si è resa protagonista di 11 acquisizioni, con tutto ciò che questo comporta: integrare lingue e culture diverse sotto uno stesso tetto. “Il progetto verso la One Datalogic – ha fatto sapere Sergio Calonghi, Change Management Leader – ha seguito l’approccio del miglioramento continuo: dalla ‘Formula di Volta’ – le linee guida dettate da Romano Volta, colui che ha dato il via all’impresa negli anni ’70 (ndr) – alla pratica, passando per la creazione di un team di change management, la condivisione di valori, il ridisegno dei processi organizzativi, la gestione operativa del cambiamento e il consolidamento della trasformazione. Certamente è stato fondamentale parlare tutti la stessa lingua, il che si è concretizzato in una armonizzazione dei ruoli operativi, in una standardizzazione dell’IT e in una definizione di standard di sviluppo comuni.”
pizziniAnche il sistema delle cooperative del nord-ovest ha seguito lo stesso procedimento. Per rispondere alle sfide del mercato, nel 2003 è nato Coop Consorzio Nord Ovest, come unica struttura per gestire il patrimonio di conoscenza comune di Coop Lombardia, Coop Liguria e NovaCoop (Piemonte). “Nel 2009 è stato avviato il progetto sulle categorie merceologiche dei Freschissimi, che ha avuto in sé, fin dagli albori, il germe del cambiamento – ha sottolineato Ilaria Pizzini, Responsabile Risorse Umane e Affari Generali –, e ha compreso una serie di iniziative di riorganizzazione dell’intera filiera per aumentare margine e vendite, insistendo sui tratti di distintività. I pilastri che, nel corso degli anni, hanno garantito il buon esito del progetto sono stati: sponsorship, persone, organizzazione, comunicazione e KPI: in una parola, SPOCK!”

Ascoltare la voce del cliente
bertiSe il cliente chiede un’esperienza di acquisto userfriendly, le aziende devono dargliela. Ciò presuppone una metamorfosi nelle logiche relazionali tra brand e consumatori: dal proporre un’offerta al soddisfacimento di bisogni. Siamo di fronte a un vero e proprio salto culturale, che costringe le organizzazioni a riprogettarsi mettendo al centro il cliente. È ciò che è accaduto a Obi che ha reagito, per esempio, ripensando alcune attività e processi ed eliminando quelli a basso valore aggiunto. “Per andare incontro alle esigenze del cliente – ha raccontato Mirko Berti, Responsabile dell’Area Selezione e Sviluppo di Obi –, centrale diventa il processo di selezione delle competenze e il coordinamento della funzione HR. Il tutto in una logica integrata di cambiamento organizzativo.”
panzeriLa metamorfosi del processo di selezione ha riguardato anche un’altra azienda, che negli ultimi anni sta vivendo un “passaggio epocale dal km al passeggero”, secondo l’espressione utilizzata da Andrea Panzeri, Responsabile Risorse Umane e Organizzazione di Autoguidovie. “La sfida – ha continuato Panzeri – è convincere le persone a cambiare mettendo il cliente finale, il passeggero, al centro del nostro impegno. Quando l’incidenza sui ricavi del cliente in un settore a oggi ancora fortemente contribuito prenderà il soppravvento, e succederà presto, il settore cambierà radicalmente. Ci aspettiamo una rivoluzione. Per farci trovare pronti, dobbiamo ripensare ora i nostri processi e il ruolo del nostro conducente. Come? Insistendo sulla formazione, ma soprattutto adottando un sistema di premialità focalizzato sul risultato.”

 

Condividere la conoscenza
specchiaMolte aziende hanno già compreso l’importanza di ripensare l’organizzazione in termini collaborativi e, dunque, colto l’opportunità che logiche social e strumenti digital possono aprire per la diffusione della conoscenza. “Con l’obiettivo di estendere, semplificare e arricchire il processo di gestione delle informazioni all’interno di Saipem – ha riferito Antonio Specchia, HR Performance e Change Management Manager – è stata avviata un’iniziativa di knowledge management, basata su logiche ‘social’. Creando un luogo virtuale, K Hub, in cui le persone, le loro competenze, idee ed esperienze possono convergere, si crea un’identità comune e si supporta la collaborazione e l’engagement, con effetti dirompenti sullo sviluppo dell’impresa.”

Mettere una virgola tra presente e futuro
merandoIl tema del cambiamento pare essere oggi sempre più sentito. È ciò che dimostra una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Assochange. “Crescono le buone pratiche – ha aggiunto a conclusione dei lavori il Presidente di Assochange Salvatore Merando –; tuttavia, l’Italia è ancora ben lungi dall’accogliere una cultura del cambiamento diffusa. Lavorare per singolo progetto è controproducente. Quello che manca oggi è un patrimonio di conoscenze comuni sul change management, che permetta di rendere certe pratiche replicabili e porti le organizzazioni a non aver paura di cambiare.”
Non possiamo che essere d’accordo e augurarci che lo scambio di belle esperienze avvenga, in futuro, in modo sempre più frequente e strutturato.

 

 

 

 

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