La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Il catastrofismo del cambiamento

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Purtroppo è una verità: nella società post industriale le parole ‘cambiamento’ e ‘riforma’ sono state sovente vis­sute dall’opinione comune come sinonimo di fregatura e di disgrazie in arrivo. Eppure siamo tutti sopravvissuti indenni, negli ultimi 60 anni, alle varie rivoluzioni che hanno inciso profondamente il modo di lavorare.

Pensiamo a cosa sarebbero le organizzazioni senza l’ap­porto dell’informatica, entrata timidamente nei grandi gruppi negli Anni 60 e ormai sviluppatasi in modo espo­nenziale e capillare anche nella sfera quotidiana. O alla robotica nelle fabbriche. O alle banche online. E pensia­mo a quella marea di operai generici, impiegati d’ordine, segretarie, che ancora negli Anni 70 e in parte degli Anni 80 pullulavano ovunque. Chi se ne ricorda più?

Torniamo con la mente a quelle aziende, sovente ap­partenenti a gruppi multinazionali, vere e proprie ‘navi scuola’, all’interno delle quali alcuni mestieri venivano appresi, e soprattutto perfezionati, a livelli di eccellenza parallelamente a stili direzionali che si riflettevano ad­dirittura sul modo di abbigliarsi e di esprimersi, e che costituivano la garanzia di un solido sapere e di un in­dubbio spessore professionale.

Oggi è più probabile che si venga assunti solo se ‘impa­rati’, sempre più orientati al fare o al saper fare, dimen­ticandosi troppo in fretta che il sapere è anche frutto di un continuo processo di strutturazione cognitiva fatta di creatività e di immaginazione con una spolverata di sano anticonformismo, il tutto accompagnato da un so­lido processo di formazione e aggiornamento.

Guardiamo al sistema tedesco, molto imperniato sulle scuole professionali e comunque con un focus predo­minante sul sapere tecnico e riconosciuto come uno dei modelli vincenti in Europa: i risultati si riflettono in un tasso di disoccupazione quasi nullo, mano d’opera me­diamente molto qualificata, burocrazia snella: un siste­ma Paese integrato e animato da una visione lungimi­rante del futuro.

L’Italia, da sempre anello debole in Europa quanto a sapere tecnico-scientifico, pur potendo vantare nume­rose eccellenze e pur avendo sviluppato una diligente attenzione sul tema dell’Industria.4.0, difetta ancora di un sistema scolastico e produttivo con una prospettiva a lungo termine: lo stesso Parlamento, che dovrebbe inter­cettare bisogni e tendenze trasformandoli in provvedi­menti legislativi efficaci, è scarsamente rappresentato da esponenti provenienti dal mondo aziendale. Il futuro è temuto, si preferisce guardare al passato e al periodo d’o­ro delle risorse illimitate auspicandone un impossibile ri­torno, nell’attesa della ‘tempesta perfetta’ rappresentata dai sistemi di intelligenza artificiale che, in pochi anni, entreranno prepotentemente nelle nostre vite. Un argo­mento che viene presentato come un Moloch destinato a divorare buona parte di quel poco lavoro che ancora c’è!

La recente campagna elettorale, in modo assai colpevo­le, non ha praticamente mai fatto accenno a questi temi e al percorso da intraprendere fin da subito per cavalcare, una volta tanto in anticipo, il vento del cambiamento.

Essendo poi probabile che anche nel breve-medio ter­mine ci si concentrerà su temi maggiormente legati al quotidiano, tanto vale sperare che gli attori del mondo del lavoro e della scuola si attivino, e in fretta, per trova­re un’intesa in grado di costruire un percorso credibile ed efficace di orientamento scolastico e di formazione professionale, accompagnato da un massiccio piano di comunicazione che illustri con la massima chiarezza come sarà il mondo che verrà.

C’è già una letteratura estremamente interessante che occorrerebbe fin da subito divulgare nelle scuole: per esempio Il robot filosofo di Pascal Chabot, Intelli­genza artificiale di Jerry Kaplan o il saggio sul capita­lismo digitale, L’inevitabile di Kevin Kelly.

E poi una politica intelligente e responsabile potrebbe dirottare maggiori risorse a chi privilegia studi scientifi­ci, per esempio con sconti fiscali sulle tasse universitarie per chi abbraccia discipline innovative, rimodulando, in parallelo, parte dei programmi scolastici onde incenti­vare una cross fertilization altamente qualificata.

In tal modo la scuola potrebbe fregiarsi del titolo di ‘buona’ non a seguito di un semplice slogan coniato dal legislatore, bensì grazie a un suo rinnovato slancio orientato al futuro. Non permettiamo che l’Europa ci lasci ancora una volta indietro. La nostra responsabilità ci impone, ora più che mai, di far tacere le Cassandre del catastrofismo prendendo per mano un’intera generazio­ne destinata altrimenti a un precariato perenne nell’inu­tile ricerca del ‘posto’ che non c’è più!


Antonio Rinetti

Ex Direttore del Personale di un importante istituto bancario e attualmente Consulente HR. Cura la rubrica 'Essere o non essere' sulla rivista Persone&Conoscenze

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