La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

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Il giusto equilibrio tra lavoro e riposo nell’azienda dematerializzata

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Nella nuova azienda dematerializzata i tempi di alternanza tra lavoro e riposo sono destinati a rappresentare un problema sempre più rilevante e le loro soluzioni tecniche saranno debitrici di un’oscillazione del ‘pendolo’ filosofico-sociologico-psicologico tra le opposte posizioni sul rapporto tra lavoro e riposo sintetizzate dalle citazioni riportate qui accanto.

Si sogna il riposo perché “lavorare stanca”, come Cesare Pavese intitolò un suo libro, o si sogna il lavoro perché “il riposo in fondo è un po’ noioso”.

Una delle caratteristiche principali della cosiddetta azienda dematerializzata è stata icasticamente indicata, nell’ambito della Sociologia del lavoro, con le definizioni “imprenditori organizzati” e “lavoratori frammentati”, poiché nella società post industriale parrebbe incrementarsi in misura crescente uno spostamento del singolo lavoratore da componente di una classe sociale coesa e aggregata a ‘singolo attore’ di una prestazione soggettivizzata e scomposta, alienata da un contesto più complessivo di “classe sociale”.

Tale riposizionamento renderebbe di fatto impossibile affrontare, appunto collettivamente, le numerose problematiche poste dall’atomizzazione e dall’esternalizzazione del vecchio lavoro manifatturiero, favorite altresì da una sorta di ‘assenza sociale’ della funzione pedagogico-formativa di una coscienza collettiva tradizionalmente demandata a istituzioni-corpi intermedi dotati di forte identità che, invece, proprio sotto questo particolare profilo di comune e condivisa riconoscibilità in valori unificanti di ciascuno dei suoi membri, si stanno parzialmente sgretolando.

Da ciò conseguirebbe, secondo alcuni commentatori di questo processo storico-politico, l’ineludibile trasformazione dell’azienda dematerializzata in un’impresa policentrica (all’interno di un sistema sociale globale analogamente indirizzato).

Nella pratica significa che una fitta rete di attività-interazioni-processi si identifica unicamente nella fornitura di un servizio o di un prodotto finale soddisfacente per il cliente in termini di quantità o di prezzo, o comunque di accettabile rapporto tra questi due fattori, attraverso un puzzle di prestazioni manuali o intellettuali molto più isolate e scomposte rispetto ai canoni novecenteschi di impresa industriale.

A tale scopo va inoltre ricordato che la struttura “giuridica” dell’impresa, secondo il nostro Codice Civile del 1942, è l’esatto opposto di un sistema di questo tipo, essendo tuttora vigenti l’art. 2086, che definisce senza mezzi termini l’imprenditore come “il capo” dell’impresa, e l’art. 2094, che definisce i suoi lavoratori come coloro che “collaborano nell’attività alle sue dipendenze e sotto la sua direzione”.

Insomma, una concezione militaresca di impronta prussiana con il generale che comanda e gli ufficiali superiori (dirigenti), inferiori (quadri), sottoufficiali (impiegati, operai specializzati, responsabili di funzione) e soldati (operai generici o impiegati esecutivi) che obbediscono.

È quindi evidente che, parlando per metafore, dematerializzare un’azienda che per il nostro Diritto Civile era stata pensata come una caserma e che invece, sotto il profilo organizzativo, tendenzialmente dovrebbe sempre più atomizzarsi e parcellizzarsi, non è un percorso proprio rapido e agevole.

In sostanza si tratta di disconnettere fisicamente (e, prima ancora, concettualmente) ciò che in precedenza era strettamente connesso e rigorosamente inquadrato in un unicum ben visibile e percepibile dal punto di vista sia sensoriale sia psicologico.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di maggio-giugno 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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