La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Il welfare aziendale nel sistema del total reward

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Come ricompensare il lavoro in modo più efficace ed efficiente

Per welfare aziendale si intende genericamente il sistema di prestazioni non monetarie finalizzate a incrementare il benessere individuale e familiare dei lavoratori dipendenti sotto il profilo economico e sociale. Rientrano in questa definizione sia i benefit, che rappresentano risorse destinate dal datore di lavoro a soddisfare bisogni previdenziali e assistenziali dei dipendenti (ad esempio il contributo a piano di assistenza sanitaria), sia i perquisite, che consistono invece in beni o servizi messi a disposizione dei dipendenti stessi (es. auto aziendale). Sotto la spinta di una crescente domanda di servizi da parte dei lavoratori e alla luce delle significative agevolazioni fiscali riconosciute dalla normativa vigente, un numero crescente di imprese sta arricchendo il sistema di welfare aziendale a disposizione dei propri dipendenti, adottando sempre di più una politica di total reward, nell’ambito della quale strumenti di tipo monetario (salario e retribuzione variabile) sono affiancati da strumenti non monetari (benefit e perquisite) per perseguire obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva, di fidelizzazione, motivazione e attrazione delle risorse umane e di costruzione di una solida e duratura corporate identity. In quest’ottica il total reward si configura come il corrispettivo per una serie di aspettative che le persone riversano nel rapporto di lavoro e che vanno oltre la semplice componente monetaria. Nel corso del presente lavoro saranno approfonditi gli obiettivi e le esigenze alla base della crescente diffusione di piani di welfare aziendale, per poi passare ad analizzare le possibili prestazioni e soffermarsi sulle modalità più efficaci di progettazione e comunicazione di tali piani.

A cura di:
Fabio Carniol, Country Leader e Amministratore Delegato, Towers Watson Italia

Perché cresce l’importanza del welfare aziendale
In Italia le politiche di contenimento del welfare pubblico avviate negli ultimi due decenni per conseguire gli obiettivi di riduzione del deficit hanno generato un crescente bisogno di prestazioni integrative, non solo nel campo della previdenza e dell’assistenza sanitaria, ma anche e soprattutto in quello dei servizi a favore della famiglia.
Se, infatti, l’Italia destina alla spesa sociale circa il 25% del proprio Prodotto Interno Lordo, in linea con i principali Paesi europei, in realtà il peso delle prestazioni pensionistiche per vecchiaia rappresenta da sola il 51,4% di tale spesa (contro una media europea del 39,6%), mentre, come mostra il grafico n.1, l’Italia si colloca peraltro al penultimo posto fra i Paesi OECD in materia di politiche sociali per l’infanzia e per la famiglia.

Grafico 1 - Percentuale della spesa sociale destinata a politiche per infanzia e famiglia
Grafico 1 – Percentuale della spesa sociale destinata a politiche per infanzia e famiglia

Vi è quindi una forte domanda di welfare integrativo nei lavoratori dipendenti italiani, che sarebbero lieti di ricevere dall’azienda le prestazioni che il welfare pubblico non è più in grado di garantire.
Una prima area di esigenze riguarda la famiglia e, in particolare, la popolazione aziendale di genere femminile. Recenti indagini hanno dimostrato che il 50% delle donne occupate a tempo pieno ha difficoltà a conciliare lavoro e vita privata, tanto che il 30% delle madri lavoratrici con meno di 30 anni di età si licenzia perché tale conciliazione non è possibile. D’altronde, solo il 27,8% di donne occupate si avvale di un asilo nido (il 13,5% di asili pubblici e il 14,3% di asili privati), mentre il 28,3% vorrebbe avvalersene ma non lo fa perché mancano asili o perché sono troppo distanti o perché mancano posti o perché la retta è troppo cara.
Il costo medio mensile di un nido comunale full-time è di euro 290 per bambino (circa 400 euro in Lombardia) ma, poiché mediamente 1 bambino su 3 non riesce a entrare (con punte di 3 su 4 nelle grandi città), le famiglie sono costrette a rivolgersi ai nidi privati con un’esplosione dei costi.
Il grafico n.2 mostra i risultati di questa situazione: nel nostro Paese il tasso di occupazione delle donne con figli sotto i 16 anni di età è tra i più bassi a livello OECD.

Grafico 2 - Tasso di occupazione di donne con figli di eta' inferiore a 16 anni
Grafico 2 – Tasso di occupazione di donne con figli di eta’ inferiore a 16 anni

Una seconda area di esigenze riguarda l’assistenza sanitaria integrativa. La spesa sanitaria privata in Italia ammonta a circa 480 euro pro capite (30 miliardi di euro) e rappresenta circa il 2% del PIL. Tale spesa è quasi esclusivamente out-of-pocket, cioè sostenuta direttamente dalle famiglie senza alcuna forma di mutualità. Di conseguenza, la sua incidenza nel bilancio familiare è superiore nelle famiglie meno abbienti.
Secondo i dati ISTAT, le famiglie con figli o in cui sono presenti persone anziane sono le più esposte al rischio di impoverimento a causa di spese sanitarie. La spesa per forme sanitarie integrative in Italia (polizze, fondi e mutue) rappresenta peraltro solo il 4% della spesa sanitaria privata ed è largamente inferiore a quella degli altri Paesi industrializzati. La tendenza delle famiglie italiane a ricorrere alle spese out-of-pocket a costo di impoverirsi è dovuta quindi anche alla mancanza di forme sanitarie integrative che consentano soprattutto di ridurre l’impatto delle spese sul bilancio familiare grazie a meccanismi mutualistici.

Towers Watson, avvalendosi della collaborazione di GfK-Eurisko, società leader nelle ricerche sul consumatore e sulle imprese, ha realizzato una ricerca sulla percezione dei benefit da parte dei dipendenti, che si è svolta tra settembre e ottobre 2009 e si è focalizzata sui dipendenti di aziende private italiane al di sopra dei 20 addetti. L’indagine si è composta di una prima fase qualitativa basata su 18 colloqui individuali con keypeople (dirigenti e quadri) e di una seconda fase quantitativa, completata attraverso 500 interviste telefoniche condotte a dirigenti e dipendenti su tutto il territorio nazionale.
Lo studio ha disegnato una gerarchia ideale di benefit dal punto di vista dei dipendenti, che danno priorità ai servizi personalizzati in grado di rispondere alle reali esigenze degli individui e dei loro nuclei familiari (people care). Seguono i benefit di tipo funzionale, che coprono bisogni reali o potenziali, come il rimborso spese mediche o altre coperture assicurative. In fondo alla scala troviamo i benefit strumentali, le dotazioni per attività lavorativa come cellulare e laptop, considerati un must dell’offerta ma sminuiti sul piano valoriale.
Tali risultati sembrano confermare l’efficacia di un sistema di total reward costruito in modo da dare concrete risposte alle reali esigenze delle persone. Incrementando il benessere dei propri dipendenti su vari fronti le aziende si pongono pertanto nelle migliori condizioni per incrementare la produttività della propria forza lavoro.
Il grafico n.3 pone in evidenza proprio gli obiettivi e i vantaggi associati ai vari strumenti disponibili.

Grafico 3 - Obiettivi e vantaggi dei vari strumenti nel campo dei benefit
Grafico 3 – Obiettivi e vantaggi dei vari strumenti nel campo dei benefit

D’altronde, la normativa fiscale vigente offre importanti opportunità per le aziende che intendono destinare risorse al finanziamento dei sistemi di welfare aziendale.
Si prenda in considerazione, a titolo esemplificativo, il contenuto della tabella n.1, che mostra i vantaggi fiscali e contributivi collegati ad alcuni benefit (contributo a fondo pensione, contributo a piano di assistenza sanitaria, premio per copertura assicurativa contro il rischio di morte e invalidità permanente, contributo per asilo nido).
A parità di costo per il datore di lavoro, il beneficio netto per il lavoratore derivante dall’erogazione di prestazioni sotto forma di benefit è largamente superiore a quello generato dall’erogazione dell’importo corrispondente in busta paga. In taluni casi, poi, a tale vantaggio si aggiunge quello per l’azienda, che si vede ridurre o annullare gli oneri contributivi a proprio carico.

Tabella 1
Tabella 1

Le interpretazioni estensive confermate dall’Agenzia delle Entrate con riferimento alle somme erogate per frequenza di asili nido e colonie climatiche da parte dei familiari dei dipendenti, nonché per borse di studio, e agli oneri di utilità sociale hanno ulteriormente ampliato le opportunità a disposizione delle imprese e dei lavoratori. In conclusione, l’introduzione di un ampio sistema di welfare aziendale sembra generare vantaggi sia per l’azienda sia per il lavoratore attraverso un’allocazione più efficiente ed efficace delle risorse disponibili. Vi è da chiedersi se ciò sia sempre vero o se debbano essere rispettate alcune condizioni necessarie.

Cosa può offrire il welfare aziendale
Una prima condizione necessaria affinché il piano di welfare aziendale abbia un impatto efficace sulla motivazione dei dipendenti è la sua idoneità a soddisfare esigenze realmente sentite dai lavoratori, non solamente ipotizzate a tavolino dal datore di lavoro.
L’indagine realizzata da Towers Watson e Gfk-Eurisko ha posto in evidenza le differenze significative che esistono fra i vari segmenti di popolazione aziendale in termini di priorità. Queste infatti variano in funzione della fase del ciclo di vita in cui si trova il singolo dipendente, del suo genere, del suo reddito e della composizione del suo nucleo familiare. A titolo esemplificativo si veda il grafico n.4, che mostra le differenze fra uomini e donne all’interno del campione intervistato.

Grafico 4 - Le differenze in termini di possesso (istogrammi) e interesse (linee) per le varie prestazioni da parte di uomini (sopra) e donne (sotto)
Grafico 4 – Le differenze in termini di possesso (istogrammi) e interesse (linee) per le varie prestazioni da parte di uomini (sopra) e donne (sotto)

Fra i benefit più diffusi fra le donne vi sono oggi i corsi di formazione (56 per cento), i buoni pasto (34 per cento) e i fondi pensione (33 per cento), ma non gli asili nido (5 per cento) e i campus estivi per i figli, particolarmente utili durante le vacanze scolastiche.
Non vi è un’elevata differenziazione nel possesso dei benefit tra la popolazione femminile e quella maschile, ma vi è un interesse molto diverso per i vari servizi. Come mostra il grafico n.4, le donne mostrano un interesse molto maggiore per l’area di supporto alla famiglia, ma le esigenze personali o familiari non sembrano essere soddisfatte, nonostante la buona diffusione di politiche quali l’orario flessibile, goduto dal 43 per cento delle intervistate.
In particolare, le donne mostrano mediamente un tasso di interesse per gli asili nido superiore al 20%, ma tale dato è ancora più accentuato nella fascia di età fra i 35 e i 44 anni, nonché fra impiegate e operaie. L’incapacità del piano di welfare aziendale di soddisfare le esigenze dei destinatari ne vanifica in modo sostanziale l’efficacia, perché un’offerta definita in modo unilaterale dal datore di lavoro viene percepita come meramente funzionale alle necessità dettate dal modello lavorativo in essere (ad esempio la reperibilità costante, la mobilità, o altro) o all’adempimento di obblighi derivanti dalla contrattazione collettiva.
Le aziende, poi, non sembrano comunicare in maniera sufficientemente efficace in materia di benefit, vanificando una buona parte dei propri sforzi economici. Solo il 28 per cento degli intervistati afferma di aver ricevuto una comunicazione personalizzata, ma ben nel 22 per cento dei casi non vi è stata alcuna comunicazione. Negli altri casi ci si trova di fronte a un approccio burocratico, finalizzato solo a informare i lavoratori per sbrigare una formalità più che per annunciare qualcosa di utile e positivo. Emerge quindi con chiarezza la criticità legata alla comunicazione del contenuto dei piani di welfare aziendale. Di qui l’importanza di progettare in modo opportuno il piano non solo in termini di prestazioni, ma anche di comunicazione.

Come gestire il welfare aziendale
La progettazione di un efficace piano di welfare aziendale implica la realizzazione di una serie di attività nell’ambito di un processo strutturato.
Il grafico n.5 sintetizza tali attività. La conoscenza dell’esistente è il primo fondamentale passo.
Spesso le aziende dispongono già di benefit e/o perquisite per i propri dirigenti e dipendenti oltre a quanto imposto dal contratto collettivo di lavoro, ma raramente sono consce del reale valore di tali prestazioni agli occhi dei beneficiari. In molti casi, poi, non sono state adottate le configurazioni più efficienti sotto il profilo fiscale o si evidenziano problemi di compliance rispetto a norme o contratti collettivi.

Grafico 5 - Il processo di progettazione di un piano di welfare aziendale
Grafico 5 – Il processo di progettazione di un piano di welfare aziendale

Partendo dall’analisi dei punti di criticità dell’offerta esistente, l’avvio di un’indagine sulle caratteristiche demografiche della popolazione aziendale consente di disporre di una prima importante fonte di informazioni per valutare possibili modifiche o integrazioni.
L’esame della distribuzione per fascia di età dei lavoratori e della composizione dei rispettivi nuclei familiari consente di identificare segmenti omogenei in quanto a esigenze e aspettative, ma può (e forse dovrebbe) essere utilmente integrato da un’indagine sui punti di forza e di debolezza del piano attuale agli occhi dei destinatari da realizzarsi tramite una survey interna (ad esempio tramite intranet) e/o alcuni focus group opportunamente allestiti.
L’attribuzione ai dipendenti di una voice all’interno del processo genera di per sé un impatto positivo sulla motivazione dei medesimi, che si sentono protagonisti attivi (e non meri destinatari passivi) del piano di welfare aziendale.
A dispetto di quanto si potrebbe pensare, i dipendenti non chiedono alle aziende di esaudire un’improbabile lista dei desideri, ma semplicemente di poter essere interpellati, a prescindere dall’eventuale presenza di rappresentanze sindacali. L’output dell’analisi condotta rappresenta il punto di partenza per il disegno del nuovo piano, che va sviluppato tenendo conto del trattamento fiscale e contributivo riconosciuto alle varie prestazioni, delle risorse disponibili, del possibile impatto amministrativo e, soprattutto, del livello di flessibilità che l’azienda è disposta a concedere. È innegabile, infatti, che l’introduzione di meccanismi tali da consentire l’esercizio di un potere di scelta da parte dei dipendenti ha un impatto straordinariamente significativo sull’efficacia del piano.
La possibilità di personalizzare almeno in parte tale piano attraverso una selezione delle prestazioni disponibili, seppur a parità di costo per l’azienda, consente al dipendente di sentirsi protagonista e all’impresa di massimizzare l’utilità generata dalle risorse messe a disposizione, cioè il return on investment (ROI) dell’operazione. Tale flessibilità va calibrata in funzione dell’impatto amministrativo e dell’effettiva disomogeneità della popolazione aziendale in termini di esigenze e aspettative e può essere limitata ad alcune prestazioni.
D’altro canto, l’azienda può destinare risorse addizionali al finanziamento del piano di welfare aziendale, eventualmente con forme di compartecipazione alla spesa da parte dei lavoratori (ad esempio il contributo per il piano di assistenza sanitaria), e può consentire a questi ultimi di rivedere la composizione del proprio total reward, riallocando risorse dal cash al welfare mediante il sacrificio di una parte del bonus (il cosiddetto bonus sacrifice) o addirittura di una parte dell’incremento salariale (il salary sacrifice).
La comunicazione ha un ruolo chiave. Poiché l’approccio descritto rappresenta una sostanziale trasposizione nella gestione delle risorse umane di tecniche e metodologie già ampiamente utilizzate nel campo del marketing, occorre definire in modo appropriato i contenuti e gli strumenti per attuare efficaci politiche di comunicazione del piano di welfare aziendale.
Il grafico n. 6 riassume i punti chiave, ma è il caso di sottolineare l’importanza dell’ultima fase, relativa alla rappresentazione del profilo retributivo complessivo nell’ambito del total reward statement, cioè di un rendiconto personalizzato atto a valorizzare non solo la componente monetaria (fissa e variabile), ma anche quella non monetaria (benefit e perquisite) del sistema di ricompensa. In tal modo l’azienda è in grado di massimizzare il ritorno dell’investimento effettuato, poiché il dipendente è pienamente consapevole dei benefici di cui è fruitore, a condizione che tali benefici generino una effettiva utilità, come ampiamente descritto nei punti precedenti.

Grafico 6 - Il processo di comunicazione del piano di welfare aziendale
Grafico 6 – Il processo di comunicazione del piano di welfare aziendale

Da ultimo, occorre sottolineare l’importanza dell’ultima fase, quella del monitoraggio dei risultati. È fondamentale che le aziende introducano stabilmente i benefit e i perquisite fra i temi oggetto di indagine nelle proprie periodiche opinion survey interne. Come le politiche di offerta nei confronti dei clienti esterni, anche i piani di welfare aziendale vanno continuamente rivisti e aggiornati alla luce dell’evoluzione della popolazione di destinatari e di fattori esogeni (ad esempio cambiamenti nella normativa fiscale). Occorre pertanto che il processo diventi circolare, in un’ottica di continuo miglioramento dell’offerta aziendale in materia di welfare.

Conclusioni
I piani di welfare aziendale stanno acquisendo una crescente importanza nelle politiche retributive delle aziende, che sembrano sempre più interessate ad adottare sistemi di total reward atti a rispondere a un’ampia gamma di aspettative dei lavoratori che vanno oltre la semplice remunerazione in forma monetaria.
Secondo l’indagine Global Workforce Study condotta da Towers Watson nel 2010, il 46% dei lavoratori italiani intervistati vorrebbe avere una completa libertà di scelta nell’allocare i vari elementi del total reward, mentre il 40% di essi vorrebbe almeno poter decidere l’allocazione all’interno di linee-guida9. Il 70% degli intervistati ha dichiarato di non conoscere il valore dei benefit all’interno del proprio total reward.
Questi dati sono pienamente coerenti con i risultati dell’indagine condotta da Towers Watson nel 2009, in collaborazione con Gfk-Eurisko, secondo la quale: • solo il 23% dei lavoratori ritiene già oggi di poter personalizzare o comunque scegliere i benefit; • solo il 28% di essi riceve una comunicazione personalizzata dal datore di lavoro sulle caratteristiche del piano di welfare aziendale a cui ha diritto; • solo nel 42% dei casi gli impiegati sono soddisfatti dei loro benefit; • il livello di interesse per le varie prestazioni cambia fortemente in base al genere, alla categoria professionale e alla fascia di età. Il quadro tracciato dalle indagini descritte in questo testo suggerisce l’adozione di nuovi approcci nella progettazione dei piani di welfare aziendale.
Le persone vorrebbero disporre di un pacchetto più personalizzato, in grado di incidere positivamente sulla loro qualità della vita. Non si tratta di destinare ai benefit più risorse, ma di spenderle in modo più oculato e, soprattutto, più efficace, facendo sentire i dipendenti non semplici destinatari, ma veri protagonisti dei piani.
La soddisfazione per quelli già esistenti, infatti, è generalmente contenuta proprio a causa di una mancanza di flessibilità e, quindi, di personalizzazione. Tutto questo induce a ripensare completamente l’approccio nei confronti dei programmi di welfare aziendale, che non possono più essere definiti ‘a tavolino’ dalle aziende, ma dovrebbero essere il frutto di un processo strutturato e continuo. Occorre mettere le persone al centro di tali piani, considerandole come veri e propri ‘clienti interni’ all’organizzazione e adottare metodologie innovative, concentrando l’attenzione sulle modalità con cui il piano di welfare aziendale è progettato, realizzato e, soprattutto, comunicato ai destinatari. D’altronde, vi sono alcune tendenze incoraggianti.
Oltre il 4% delle imprese partecipanti all’indagine retributiva generale annuale di Towers Watson 2010 ha dichiarato di aver implementato piani di benefit flessibili (contro l’1% del 2009). In tempi difficili, le aziende sembrano iniziare a cogliere i vantaggi derivanti dall’adozione di politiche di total reward, basate su un sistema di welfare aziendale flessibile, in cui le risorse sono allocate in modo da generare la massima utilità per i lavoratori, con un impatto particolarmente positivo sulla loro motivazione

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