Imprese d’altri tempi
attitudine imprenditoriale, cultura d'impresa, essere imprenditore, storia delle imprese
Non faccio parte di quella schiera di autorevoli opinionisti e giornalisti che, in capo a 24 ore, hanno innalzato i loro peana per celebrare, insieme con il fior fiore della consulenza internazionale –sempre attenta a intercettare succulente business opportunity– la rinascita di un nuovo capitalismo, dal volto umano.
Sarò chiaro: la paginetta, partorita dalle menti dei 200 CEO riunitisi intorno alla Business round table nell’estate 2019, rischia di essere semplicemente l’ultima enunciazione di principi di common sense dettati, in primis, dalla paura che le ondate populiste minaccino il loro suprematismo finanziario.
Ho la sensazione che gli scettici prevalgano sui favorevoli: Francesco Varanini ha già avuto modo di esprimere, con dovizia di argomentazioni, i suoi dubbi. Deluso da anni di ipocrisia, mascherata da una certa retorica, mi calo provocatoriamente nei panni del ragionier Fantozzi, che non esitò a esprimere, tout court, ciò che pensava della Corazzata Potëmkin, dopo la centesima proiezione cui era stato costretto ad assistere.
Come farsi convincere da un documento sottoscritto da persone i cui stipendi del 2018 –secondo la società di rilevazione Pearl Meyer– hanno superato di 300 volte, in 24 casi, il salario medio di un loro dipendente? Come continuare a commuoversi per certe prediche provenienti da corporation, alcune delle quali diventate oggetto di sanzioni miliardarie per pratiche concorrenziali scorrette, inquinamento ambientale e danni ai consumatori di tutto il mondo?
Restiamo con i piedi per terra e non perdiamo tempo a cercare la ricetta miracolosa. Il capitalismo privato, pur non essendo un modello perfetto, in due secoli ha fatto crescere le economie e le società più di qualunque alternativa. Da sempre, infatti, chi affida i propri soldi esige, giustamente, che il capitale investito venga adeguatamente remunerato.
Ora, con i dovuti e necessari aggiustamenti, sarebbe già un successo riuscire a costruire una vera crescita, più attenta alla sostenibilità nel tempo. Ma sarebbe da ingenui pensare che si possa riportare, con poche mosse, la finanziarizzazione dell’economia al livello di qualche decennio fa.
Non basta un decalogo di buoni principi a disegnare l’identikit dell’imprenditore virtuoso, costretto a conciliare crescita e riduzione dei costi. Da navigato ex dipendente di multinazionali americane, ho ancora in mente quei documenti di poche parole che campeggiavano su ogni scrivania, come la foto del Presidente nell’ufficio di Montalbano.
Ricordo le visite pastorali che, ogni anno, il CEO mondiale effettuava nella periferia dell’impero, divertendosi a interrogare, in modo del tutto improvvisato, i dipendenti per verificare se la mission fosse rispettata da tutti. Salvo poi, dopo il management committee di rito, sentire arrivare come una sciabolata la puntuale richiesta di headcount reduction o di chiusura di un sito produttivo, considerato anti-economico.
Se, da un lato, il titolo festeggiava in borsa –e con lui gli azionisti– dall’altro, la sacralità del business prevaleva in assoluto sulle aspettative dei dipendenti e della local community, forse considerati stakeholder di serie B. Quanti stabilimenti, testimoni di un passato prosperoso, e successivamente rilocalizzati in Europa dell’Est o in Asia ci appaiono come spettrali cimiteri di guerra?
Nella migliore delle ipotesi, una veloce tinteggiatura di facciata e un’insegna luminosa annunciano pomposamente la presenza di un polo distributivo, spesso costituito da quattro autocarri: non più Ricerca, non più Produzione, ma Logistica, nuova frontiera del futuro, panacea di ogni problema, soluzione miracolosa per ricollocare qualche esubero, tra le migliaia di lavoratori appiedati dal mantra del profitto perduto.
Se tutto ciò è frutto di un progressivo degrado, non illudiamoci che in futuro la globalizzazione dei mercati –e la lotta per la leadership dell’Intelligenza Artificiale– possano riservarci sorprese positive. La categoria degli imprenditori illuminati è sempre esistita e non ha mai avuto bisogno di sponsor, frasi fatte o articoli pubblicati su una stampa, spesso controllata dalle stesse imprese.
Già nel 1500 i Fugger, grandi banchieri di Augsburg, crearono il primo esempio di edilizia popolare per i più bisognosi, modello in cui un euro all’anno e tre preghiere al giorno rappresentano ancora oggi l’equo canone pagato dai beneficiari alla comunità.
Molti altri, a partire dalla Bundesbank, criticano oggi il Quantitative easing di Mario Draghi: molto più importante difendere un profitto miliardario che un interesse comune europeo, in epoca di recessione. Altri tempi, altri uomini!