
La conciliazione tra vita privata e lavoro, il caso delle imprenditrici italiane
conciliazione, donne imprenditrici, famiglia e lavoro, work family conflict
Il ricco filone di studi sull’imprenditoria ha spesso considerato la propensione delle donne ad aprire un’impresa come in parte dovuta alla necessità, in primo luogo, di aggirare le barriere e gli ostacoli all’ingresso nel mercato del lavoro e in seconda battuta come tentativo, attraverso la scelta di un lavoro che consentisse di gestire in autonomia e con maggiore elasticità i propri orari di lavoro, di conciliare la vita professionale con quella familiare.
Molta letteratura ha quindi attribuito la vocazione imprenditoriale femminile a una scelta obbligata – cioè di necessità – e meno a una spinta legata, invece, alla possibilità di realizzare una propria idea imprenditoriale o di raggiungere una maggiore realizzazione personale (Manolova et al., 2007; Roomi, 2009).
Queste analisi, valide in generale per spiegare la crescente partecipazione femminile al mondo imprenditoriale, sono ovviamente ancora più convincenti quando il riferimento è all’Italia.
Nel nostro Paese, infatti, ai forti squilibri in termini di partecipazione al mercato del lavoro e progressione di carriera si sommano le forti asimmetrie nella divisione dei ruoli domestici e familiari e le storiche carenze del welfare, soprattutto per quel che riguarda la cura dell’infanzia e degli anziani non autosufficienti. Anche le statistiche sulle imprese femminili hanno per lungo tempo sostenuto queste spiegazioni; se da un punto di vista teorico si dimostrava che le imprese avviate per necessità spingevano le donne a essere meno legate alla propria attività, a optare per settori più femminilizzati e ad avere una minore propensione al rischio, i dati statistici dimostravano come le imprese femminili fossero per lo più di piccole dimensioni, collocate in settori tradizionali prevalentemente legati ai servizi alla persona e con poche possibilità di espansione o di sviluppo.
I dati più recenti sembrano però delineare importanti cambiamenti nell’universo delle imprese femminili italiane. Come dimostrato da molte ricerche (Bertolini e Goglio, 2011; De Vita et al., 2014; Mari et al., 2016), le imprenditrici italiane sono in prevalenza donne giovani e istruite, hanno aspirazioni e motivazioni sempre più sbilanciate sul versante della realizzazione personale e professionale e sempre meno sul versante della necessità.
Queste trasformazioni suggeriscono quindi la necessità di ripensare le acquisizioni consolidate e di porre al centro dell’analisi una serie di nodi critici spesso trascurati sia nelle ricerche scientifiche sia nelle azioni di policy, primo tra tutti il problema della conciliazione.
I problemi legati al bilanciamento tra i carichi domestici e la vita professionale, ampiamente indagati e approfonditi rispetto al lavoro dipendente, sono infatti ancora poco presenti negli studi più specificamente dedicati alle imprenditrici.
Sebbene oramai molta letteratura concordi sul fatto che le esperienze e le difficoltà che le donne incontrano nel fare impresa siano molto diverse da quelle maschili e che quindi i classici modelli interpretativi basati sugli imprenditori maschi siano assolutamente inadeguati a comprendere le problematiche e le potenzialità dell’imprenditoria femminile (Bird e Brush, 2002; Minniti, 2009; Hughes e Jennings, 2012; Haus et al., 2013), il problema della conciliazione è spesso del tutto marginale nelle analisi sul tema.
La possibilità di conciliare i carichi domestici con il lavoro d’impresa rappresenta però uno degli elementi di maggiore interesse per la ricerca non solo perché è una delle condizioni maggiormente in grado di determinare il successo dell’impresa, ma anche perché è una problematica che assume delle caratteristiche del tutto peculiari rispetto a quelle ampiamente studiate in riferimento al lavoro dipendente.
Nel tentativo di colmare questo gap, il presente lavoro, attraverso i risultati di un’indagine condotta su un campione di 387 imprenditrici italiane, intende interrogarsi sul dibattuto tema del WFC (work-family conflict), analizzando, in particolare, come le specificità connesse alla sfera lavorativa e quelle connesse alla sfera familiare possano avere un impatto sull’interferenza del lavoro sulla vita familiare (ILF) e sull’interferenza della vita familiare sul lavoro (IFL), nonché il livello di mediazione svolto dagli aiuti – formali e non – a disposizione delle imprenditrici.
Attraverso tale indagine si vuole andare oltre lo studio delle performance delle imprese femminili focalizzandosi sulla complessità dell’intreccio famiglia-lavoro che le imprenditrici devono affrontare quotidianamente.
Adottando come modello di riferimento quello del WFC (Bellavia e Frone, 2005; Byron, 2005; Eby et al., 2005; Grzywacz e Butler, 2008), i risultati evidenziano come sia le imprenditrici che hanno un alto coinvolgimento nel lavoro sia quelle che hanno un alto coinvolgimento familiare sperimentano un conflitto in entrambi i costrutti identificati, confermando i risultati della letteratura più recente che evidenziano come non sia possibile distinguere praticamente le due sfere, essendo entrambe parimenti importanti.
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L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio di Sviluppo&Organizzazione.
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