La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

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La felicità non dipende solo dal Pil, il benessere richiede nuovi paradigmi

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La felicità, da sempre, è al centro dei pensieri dell’uomo. Come già indicava Aristotele, “tutti gli uomini aspirano alla felicità”. Ma che cos’è veramente la felicità? E soprattutto si può misurare?

Ne abbiamo parlato con due economisti: Luciano Canova, Professore di Economia comportamentale al Master Medea di Eni Corporate University e autore del libro Il metro della felicità, e Mauro Gallegati, Professore di Economia politica presso l’Università Politecnica delle Marche e autore del libro Acrescita. Per una nuova economia.

“Solitamente, in economia, il benessere si misura attraverso il reddito a livello micro, che a livello macro si traduce in Prodotto interno lordo (Pil)”, spiega Canova. C’è una letteratura decennale, però, che sottolinea ormai come la qualità della vita si debba misurare anche con altri parametri: proprio da qui nasce l’economia della felicità.

“Tutti gli economisti, di fatto, se vogliono capire quello che fa stare bene il maggior numero di persone all’interno della società, dovrebbero avere a cuore, usando la parola con la maggior delicatezza possibile, la ‘felicità’ di più persone possibili”.

Il metro della felicità ripercorre tutti i vari approcci economici per misurare il benessere, partendo proprio dal reddito (e dal Pil), che comunque rimane un indicatore importante. Il Pil infatti è un’approssimazione molto imperfetta di un’idea di benessere, ma ha dei vantaggi innegabili per gli studiosi: è un numero, consente di fare confronti, valorizza in moneta ogni tipo di attività, è di semplice intuizione anche per il cittadino per capire come stanno le cose.

Ci sono delle criticità però, da subito riconosciute: il Pil non è una misura diretta di benessere, ma una fotografia dello stato produttivo di un Paese. Nel tempo, quindi, sono state inserite nuove dimensioni per misurare il benessere, ormai approvate e usate anche dalle istituzioni.

L’Ocse, per esempio, ha istituito il Better Life Index che aggrega reddito, conciliazione tra vita privata e lavoro, qualità dell’ambiente, percezione di sicurezza, percezione del benessere soggettivo, percentuale della spesa statale in ricerca e sviluppo.

In Italia, dal 2013 è stato introdotto il Bes (Benessere equo e sostenibile), un insieme di indicatori su 12 dimensioni del benessere molto simili a quelli dell’Ocse che concorrono a definire una vita di qualità. La caratteristica fondamentale del Bes, rispetto al Pil, è che l’obiettivo non è quello di aggregare in unico numero un indicatore di benessere, ma tenere separate le varie dimensioni.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di ottobre 2019 di Persone&Conoscenze.
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