La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

La regolazione dell’orario di lavoro Confronto Italia-Usa sulla flessibilità

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Di Andrea Signoretti

Negli States nessun limite alle ore straordinarie richieste ai dipendenti per raggiungere gli obiettivi aziendali.
Nel nostro Paese, invece, si preferisce conservare le regole a tutela del personale. La conseguenza?
La flessibilità è difficile da ottenere. Ecco le differenze con il modello organizzativo al di là dell’Oceano Atlantico.


Le dichiarazioni del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti sull’orario di lavoro come strumento superato per misurare la prestazione lavorativa hanno dato luogo a pareri discordanti. Sul piano generale, si può osservare come la trasformazione dell’attività lavorativa riguardante diverse figure professionali altamente qualificate potrebbe effettivamente richiedere una diversa regolazione dei rapporti d’impiego. Una regolazione che implicherebbe anche la progettazione di sistemi retributivi sempre più centrati sul risultato effettivamente raggiunto dal lavoro prestato più che sulla sua durata e/o sulle relative modalità di svolgimento. Infatti, diverse attività lavorative possono essere oggi eseguite da postazioni remote, esterne al luogo fisico dell’impresa o dell’organizzazione per la quale si opera, senza che ciò comprometta la produttività individuale. Tuttavia, l’orario di lavoro come misurazione della prestazione continua a rivestire un ruolo di fondamentale importanza per le figure professionali più direttamente impegnate nella produzione di un determinato bene o servizio, incluse quelle più qualificate e/o con responsabilità di coordinamento/supervisione. In un Paese come il nostro, che fortunatamente conserva una quota significativa di attività manifatturiera, la riflessione può essere quindi utilmente posta anche sulla diversa definizione e articolazione dell’orario di lavoro. Su questo tema concentro la mia attenzione.

Flessibilità e regolazione condivisa dell’orario di lavoro
Non c’è dubbio che la definizione dell’orario di lavoro sia chiamata a diventare più flessibile, ma nel contempo più concertata –soprattutto a livello micro– al fine di rispondere alle esigenze sempre più dinamiche espresse dalle aziende e dal personale. Le imprese devono confrontarsi con un mercato di riferimento globalizzato e spesso imprevedibile, con periodi di forte richiesta dei prodotti che si alternano a fasi di stagnazione. Pertanto, il management necessità di personale disposto ad adattare il proprio orario di lavoro alle fluttuanti necessità produttive.
Questa situazione di elevata flessibilità è resa ancora piùmarcata dal fatto che molte imprese adottano una strategia volta a ridurre le scorte di magazzino e a produrre in tempo tendenzialmente reale quanto richiesto dal mercato. Le persone, dal canto loro, sono spesso in difficoltà nel coniugare efficacemente il proprio tempo di lavoro con quello da dedicare alla cura dei familiari, poiché sono sempre più numerose le famiglie in cui entrambi i coniugi/conviventi lavorano fuori casa, a fronte degli impegni dentro le mura domestiche rimasti invariati rispetto al passato.
In ogni caso, la combinazione tra responsabilità lavorative e familiari è ancora un’esigenza soprattutto femminile in Italia. La loro mancata soddisfazione ha quindi ripercussioni negative soprattutto per le donne, costrette spesso a lasciare il mercato del lavoro retribuito perdendo così reddito (anche previdenziale) e opportunità di valorizzazione personale. Per tali motivi, l’uscita delle donne dal lavoro ha conseguenze negative anche per le famiglie e la società in generale. Riassumendo, le esigenze di flessibilità espresse dalle aziende e dal personale richiedono una regolazione condivisa dell’orario di lavoro diversa rispetto al passato. Nei due paragrafi seguenti concentro l’attenzione dapprima sul settore automobilistico in Italia e Stati Uniti e, successivamente, su alcuni territori italiani. I dati illustrati non hanno rappresentatività statistica e non sono pertanto generalizzabili, ma si riferiscono a diversi studi di caso condotti in profondità e in aziende rappresentative delle realtà studiate, per cui forniscono utili spunti di riflessione.

Torino-Detroit, la negoziazione del lavoro straordinario
Le informazioni riportate in questo paragrafo sono tratte da una ricerca comparata che ho svolto negli anni 2010-11 in una fabbrica italiana e in una americana del settore della fornitura auto, rispettivamente operanti a Torino e Detroit e appartenenti alla medesima multinazionale americana. In entrambi gli stabilimenti la negoziazione tra le parti riguardava soprattutto il ricorso al lavoro straordinario, per cui concentro l’analisi prevalentemente su tale aspetto.
Nello stabilimento italiano, in base a quanto disposto dal contratto nazionale vigente nel 2010, la percentuale di maggiorazione per il lavoro straordinario, il cui limite annuale era fissato in 250 ore, era pari al 25% per le prime due ore durante la settimana e al 50% al sabato (queste informazioni sono utili per la successiva comparazione con la fabbrica americana). Rispetto ai sabati lavorativi, il contratto nazionale prevedeva 40 ore di lavoro extra dalle quali il personale non si poteva esimere (le cosiddette “quote esenti”) ma, superato tale numero, l’azienda doveva contrattare ulteriori giornate con le rappresentanze sindacali: questa procedura conferiva a queste ultime un’importante occasione per ottenere qualcosa in più della maggiorazione prevista dal contratto nazionale. Non a caso, quando la Direzione chiese al personale un’adesione volontaria per i sabati lavorativi, le rappresentanze sindacali contestarono la richiesta e costrinsero l’azienda a ‘comandare’ lo straordinario per esaurire le 40 ore di quote esenti, terminate le quali avrebbe avuto luogo la negoziazione tra le parti.
Altro aspetto di regolazione, il management era tenuto a comunicare ai rappresentanti sindacali, con ragionevole anticipo, il numero delle ore di lavoro straordinario richieste, a meno che la prestazione non fosse dovuta a eventi inattesi o a situazioni urgenti. Complessivamente, lo stabilimento faceva comunque un discreto ricorso al lavoro straordinario per quanto non nella misura e con le modalità auspicate dal management.
Negli Stati Uniti il sistema è completamente diverso. Il Fair labor standard act (Flsa), la legge che regola l’orario di lavoro seppur in modo minimale, non prevede alcun limite al lavoro straordinario per cui le imprese, non esistendo contratti nazionali, potrebbero teoricamente richiedere un numero illimitato di ore, a meno che il contratto collettivo aziendale non intervenga in proposito. Ciò non avveniva nella fabbrica studiata, un aspetto comune nel settore degli Independent part suppliers, ovvero tra i fornitori senza legami di proprietà con le case automobilistiche.
Alla linea che riforniva la Ford, in particolare, il turno durava mediamente 11 ore poiché il prodotto si trovava in fase di lancio, cui si aggiungeva un sabato lavorativo al mese. Facendo un calcolo indicativo e prendendo in riferimento un mese con 22 giorni lavorativi, ne derivava che il personale dello stabilimento americano addetto a tale linea, nell’arco di sei mesi, aveva accumulato 450 ore di lavoro straordinario, ovvero quasi il doppio della soglia massima fissata dal contratto nazionale italiano per l’intero anno. Nel contempo, le ore di lavoro straordinario venivano richieste in tempo reale e ciò significava che il personale conosceva il proprio orario di ingresso in stabilimento, ma non quello di uscita. La percentuale di maggiorazione del lavoro straordinario era sempre pari al 50% della paga base. 

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 20000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

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