La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Lavoratori nomadi e aziende smart

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Chiamiamolo “lavoratore nomade”, perché smart worker è un’etichetta alla moda che non gli conferisce valore umano, un termine che lo connette più alle macchine informatizzate e intelligenti che non ai colleghi di lavoro e all’organizzazione.

“Non importa dove sei, ma quello che fai” potrebbe essere il suo slogan, che contiene al contempo tutte le ansie di una persona sola al lavoro e le aspettative che l’organizzazione vi ripone. Quanto al primo aspetto, può sembrare che il lavoro da remoto, abilitato dalle straordinarie potenzialità della Rete combinate con la enorme capacità di contenere dati del cloud, liberi dalle ataviche catene del badge marcatempo e apra nuovi straordinari spazi di libertà alle risorse umane.

Ma non libera dalla trappola dell’ansia, anzi. Quando “il lavoro non avviene al lavoro”, il tempo scandito dagli orari, dagli straordinari, dalle pause e dalle ferie, si annulla, e il malessere del lunedì si confonde con quello del venerdì in un indistinto fluire dei giorni. La gestione personale del tempo rischia di diventare una fonte di ansia sconosciuta ai dipendenti dell’azienda fordista e post fordista a cui il tempo invece viene imposto.

Gestione dei tempi e delle consegne

Il lavoratore nomade si libera dalle ritualità aziendali e dalle pratiche consuetudinarie dell’ufficio, per concentrarsi in un rapporto intimo con il suo progetto. È però esposto alla doppia sfida dell’autogestione di un tempo dilatato tra ufficio, casa e qualunque altro luogo, e del rispetto inappellabile della consegna, la deadline con la quale si gioca, con tutto il tempo che si è speso, il suo stesso valore professionale.

Fattori potenzialmente generatori di un’ansia che si fa rumore di fondo che accompagna senza tregua la prestazione. Rumore che invade la mente e si amplifica nel supplemento d’ansia dato dalla consapevolezza di svolgere un lavoro meno visibile in un contesto da sempre preoccupato a curare di più quelli che si fanno vedere, il ‘presenteismo’ più del risultato.

Goya lo ha rappresentato con la mostruosa immagine di Kronos che, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca grondante di sangue, divora il figlio bambino: è il tempo che divora le sue creature, le opere dell’uomo. A lui è soggetto non solo il lavoratore nomade, ma anche il suo manager.

All’oggettiva difficoltà del lavoratore a gestire le sue giornate liquide, prive della fissità degli orari ed esposte alle continue interruzioni dei familiari come del mondo esterno, corrisponde infatti l’ansia del manager di sapere ciò che sta facendo il collaboratore e di controllare il flusso e l’avanzamento del lavoro.

Una nuova organizzazione

Qui entra in gioco il secondo aspetto, quello relativo alle aspettative dell’organizzazione aperta allo Smart working: un’organizzazione che postula necessariamente un nuovo e diverso management, generato dal passaggio da un’organizzazione-macchina a una professionale. Perché se è vero che ai collaboratori da remoto è richiesto di rispondere sui risultati e non su singoli compiti assegnati e controllabili, all’azienda è richiesta una smart organisation, basata sulla delega e sulla gestione distribuita.

Un’azienda-alveare, proprio come, molto tempo prima, l’aveva vista Henry Mintzberg: le api operaie che sciamano fuori dell’alveare e con il loro lavoro esterno portano risorse e decidono finanche dove trasferire l’alveare stesso, mentre l’ape regina è intenta a occuparsi della riproduzione e a custodire lo spirito dell’organizzazione. C’è molto da imparare dal mondo degli insetti per costruire le condizioni di un nuovo habitat manageriale che accolga il lavoro nomade.

Non è questione di connessione o di strumenti informatici, ma di stile gestionale. Se il lavoro nomade modifica il rapporto del lavoro con il tempo e induce un cambiamento dei luoghi, impone anche uno stile manageriale improntato al servizio, all’ascolto, all’accoglienza del “collaboratore nomade”.

Il capo deve farsi network manager, capace di tenere in connessione la rete di uomini e di macchine intelligenti. All’orizzonte dell’impresa a rete si profila per lui e per il Direttore del Personale lo scenario di una sfida ancora più vasta: la gestione di un numero crescente di smart freelance ingaggiati on demand su piattaforme professionali. Saranno tutti smart worker, forse senz’anima, mossi solo dalla reputazione ai fini della retribuzione. Bisognerà motivarli.

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