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Le nuove regole sul welfare aziendale: cosa cambia per imprese e lavoratori?

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di Franca Maino e Giulia Mallone

Lo scorso 15 ottobre, giorno in cui il Presidente del Consiglio Renzi e il Ministro dell’Economia Padoan hanno presentato in conferenza stampa i contenuti della Legge di stabilità 2016, è iniziato l’intenso iter parlamentare per l’approvazione della manovra. Dalla proposta originaria si è presto passati al maxi emendamento interamente sostitutivo del testo, su cui il Governo ha posto la fiducia il 20 novembre 2015. Approvato in Senato, il provvedimento è passato all’esame della Camera dei Deputati, dove ha atteso il 19 dicembre per il voto favorevole e il 22 dicembre per diventare, con il via libera del Senato, finalmente legge. La Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre 2015 e in vigore dal primo gennaio 2016, prevede importanti novità. Tra queste, le nuove regole in tema di welfare aziendale e produttività contenute nei commi dal 182 al 191, che illustriamo di seguito evidenziando le opportunità che si aprono per imprese e lavoratori.

Un incentivo alla contrattazione aziendale
In occasione della conferenza stampa di presentazione del provvedimento, Matteo Renzi aveva annunciato lo stanziamento di quasi 500 milioni di euro per sostenere la contrattazione di secondo livello e nuovi interventi in ambito di welfare aziendale. Uno degli elementi di novità della Legge di stabilità 2016 è proprio la volontà del Governo di promuovere lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e, al suo interno, il welfare azienda-le come sostituto totale o parziale della componente monetaria. La legge reintroduce la detassazione del premio di produttività, istituto previsto per la prima volta nel 2008 e mantenuto con caratteristiche diverse di anno in anno fino all’interruzione per l’anno 2015, e incentiva il ricorso al welfare aziendale – o, per meglio dire, contrattuale – nell’ambito dell’erogazione della parte variabile del salario legata alla produttività, favorendo fiscalmente i servizi di welfare rispetto all’equivalente in denaro1. Se il premio di produttività mantiene un’imposta sostitutiva del 10%, lo stesso erogato in welfare gode delle agevolazioni fiscali già previste dall’art. 51 del TUIR e non concorre, dunque, alla formazione del reddito da lavoro dipendente.
Entrambe le opzioni rimangono soggette alle limitazioni di 2.000 euro di importo e 50.000 euro di reddito, e ogni lavoratore avrà la facoltà di scegliere come ricevere l’importo del premio.
Mentre il welfare erogato in sostituzione del premio di risultato è vincolato ai tetti, il welfare ‘tradizionale’ – sia esso legato a obiettivi aziendali o previsto in aggiunta a un premio di risultato, senza naturalmente la possibilità di sostituzione con denaro – non è soggetto a limiti, eccetto quelli già previsti dall’articolo 51 del TUIR2. Il limite di importo potrà però essere aumentato fino a 2.500 euro se l’azienda introdurrà dei sistemi di coinvolgimento diretto dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, secondo modalità che verranno illustrate in un successivo decreto.

 

 

Meno limiti al welfare defiscalizzato
Secondo punto centrale del testo di legge è la riforma – a lungo auspicata dagli addetti ai lavori – dell’art. 51 del TUIR , il Testo Unico delle Imposte sui Redditi del 1986. Le modifiche introdotte costituiscono un cambiamento di enorme portata, poiché non si applicano solo ai beni e servizi erogati in sostituzione totale o parziale del premio di produttività, ma a tutti i benefit di welfare aziendale offerti ai lavoratori. Il comma 190 della Legge di stabilità modifica il testo dell’art. 51 del TUIR con tre finalità principali: superare il limite della volontarietà; aggiornare e ampliare il paniere di servizi; favorire lo sviluppo di strumenti che facilitino la fruizione dei servizi.
La modifica della lettera f consente ad aziende e sindacati di concordare interventi a favore dei dipendenti richiamando le finalità elencate nell’art. 100 del TUIR (educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto) senza ‘portarsi dietro’ anche il vincolo della volontarietà. L’articolo 100 prevede infatti che il welfare debba essere “volontariamente sostenuto” per essere deducibile dal reddito di impresa nel limite del 5 per 1.000 del costo del lavoro e non assoggettato a imposizione in capo al lavoratore. La nuova formulazione “volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamentoaziendale” esplicita infatti la possibilità di coinvolgere legittimamente i rappresentanti dei lavoratori nella definizione dei piani di welfare, equiparando i benefit previsti da accordi aziendali a quelli erogati unilateralmente dall’azienda. La lettera f-bis aggiorna e amplia il novero dei benefit soggetti ad agevolazioni fiscali e contributive in base all’art. 51, includendo tutti i servizi per l’infanzia e ricomprendendo persino quelli integrativi e di mensa collegati alla frequenza scolastica dei figli. La lettera f-ter apre la strada all’importante riconoscimento delle sfide connesse all’invecchiamento demografico: la non autosufficienza e i servizi di cura per i familiari anziani meritano finalmente di essere esplicitamente richiamati nel TUIR e considerati strumenti di sostegno al benessere delle famiglie e di conciliazione vita- lavoro al pari delle politiche per la cura dei figli.
Il nuovo comma 3-bis prevede infine che l’erogazione di beni e prestazioni possa avvenire anche mediante documenti di legittimazione, o voucher, in formato cartaceo ed elettronico. 

Prospettive di conciliazione vita-lavoro
La legge prevede ulteriori novità in materia di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa. In tema di tutela della maternità dispone che il periodo obbligatorio di congedo di maternità sia computato aifini della determinazione dei premi di produttività. Il comma 191 stabilisce inoltre l’ammontare delle risorse dedicate alle misure di conciliazione vita-lavoro, uno dei ‘pilastri’ del Jobs Act. Il decreto legislativo del 15 giugno 2015 attuativo del Jobs Act e contenente le misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro aveva destinato – all’articolo 25 – una quota pari al 10% delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata. Queste risorse, finalmente quantificate nella Legge di stabilità, ammontano a 38,3 milioni di euro per l’anno 2016, 36,2 milioni di euro per il 2017 e 35,6 milioni per il 2018, a fronte della riduzione dello stesso Fondo per la contrattazione di secondo livello a 344,7 milioni nel 2016, nonché 325,8 milioni e 320,4 milioni rispettivamente per gli anni 2017 e 2018. La quantificazione delle risorse non è tuttavia stata accompagnata dalla definizione delle regole di utilizzo dei fondi dedicati alla conciliazione, che rimane quindi una delle questioni da affrontare nei primi mesi del 2016.

Le novità per il mondo produttivo
Guardando agli elementi distintivi dell’intervento sul welfare aziendale contenuto nella Legge di stabilitàin un’ottica di secondo welfare, sono identificabili – in aggiunta alla disciplina del premio di produttività – tre fronti più rilevanti. Il primo riguarda la volontà da parte del Governo di eliminare il requisito della volontarietà per i beni e servizi erogati per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, consentendo alle parti sociali di entrare a pieno titolo nella negoziazione di questi benefit, prima riservati all’iniziativa unilaterale del management aziendale. La norma segna un passaggio epocale dall’idea di welfare come ‘dono’ di stampo paternalistico a quella del welfare come parte costitutiva del rapporto di lavoro e meritevole di condivisione paritetica tra le parti, aprendo a una visione più moderna dei benefit ormai considerati strategicamente rilevanti sia per il management aziendale sia per le rappresentanze sindacali.
Il secondo aspetto concerne l’ampliamento dei servizi considerati nell’ambito del welfare aziendale. I servizi a supporto della conciliazione vita-lavoro e dei compiti di cura dei minori sono estesi per ricomprendere non solo tutte le strutture per l’infanzia e l’educazione, ma anche i servizi integrativi a essi collegati, come le mense e i doposcuola. Il punto più rilevante riguarda l’introduzione di un esplicito riferimento al tema della non autosufficienza, con riferimento ai drammatici carichi dicura che le famiglie oggi sostengono a causa dell’allungamento della vita e del contestuale aumento della disabilità. Aziende e sindacati sono, dunque, chiamati ad ampliare il loro raggio di azione oltre le questioni legate ai rapporti di lavoro, per condividere una nuova responsabilità sociale allargata all’intero nucleo familiare e, di conseguenza, al sistema di servizi del territorio in cui operano. Un allargamento alla comunità locale che presuppone l’instaurazione di una stretta collaborazione con le amministrazioni pubbliche e con gli altri stakeholder che a vario titolo operano sui territori, attraverso un sistema di secondo welfare che favorisca sussidiarietà e compartecipazione.
Il terzo elemento di innovazione è costituito dalla possibilità di utilizzare i voucher per erogare servizi di welfare, al fine di facilitare l’introduzione di piani di welfare nelle piccole e medie imprese attraverso l’adozione di uno strumento acquistabile e immediatamente spendibile. Un sistema di voucher potrebbe agire da ‘leva’ per favorire la diffusione del welfare anche nelle aziende di piccole dimensioni e tra gli enti bilaterali, incentivare l’effettivo utilizzo dei servizi e produrre indirettamente nuova occupazione e l’infrastrutturazione dell’offerta sui territori.
In linea con l’orientamento della Commissione Europea – che ha più volte invitato negli ultimi anni gli Stati membri a sfruttare il potenziale di occupazione offerto dai servizi alla persona e alla famiglia – il ricorso al voucher può favorire la costruzione di un sistema di servizi più efficiente, di qualità e con costi sostenibili, in grado di facilitare la conciliazione fra vita privata e attività professionale e contribuire alla crescita dell’occupazione femminile e all’aumento dell’occupazione regolare, particolarmente nel comparto dei white jobs. Un sistema di voucher per l’acquisto di servizi di natura socio-sanitaria e per il disbrigo delle incombenze quotidiane favorirebbe infatti l’emergeredel lavoro nero così diffuso fra i collaboratori domestici e gli assistenti personali, con il vantaggio di migliorare le condizioni di lavoro e incrementare il gettito contributivo determinato dall’aumento dell’occupazione regolare.

 

 

I nodi ancora da sciogliere
In futuro il welfare aziendale sarà oggetto senza limitazioni della negoziazione tra azienda e sindacati, avrà a disposizione un menù più ampio di possibili interventi – erogabili anche attraverso voucher – e potrà essere legittimamente inserito all’interno della disciplina del premio di produttività. Il Governo sembra così aver mantenuto le promesse, rispondendo alle attese di quanti da tempo auspicavano un ammodernamento della normativa sul welfare aziendale (in particolare il TUIR) e chiedevano chiarimenti circa la questione della volontarietà e lo ‘spazio’ da dedicare al welfare all’interno delle relazioni industriali.
Rimangono tuttavia ancora molte questioni aperte e alcuni nodi da sciogliere. La portata del provvedimento dipenderà in ultima istanza dall’emanazione del decreto che, in base al comma 188 della Legge, dovrà stabilire i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione che regoleranno l’erogazione del premio di produttività, nonché le modalità attuative di tutte le previsioni contenute nei commi dal 182 al 191. Si tratta di questioni cruciali per la corretta applicazione e il buon funzionamento delle novità previste dalla Legge, come l’utilizzo dei voucher per il welfare, l’effettiva partecipazione all’organizzazione del lavoro da parte dei dipendenti e l’efficacia del monitoraggio dei contratti aziendali e territoriali. 

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