La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Lo stress lavoro correlato

, , , , , , , , , , ,

di Michele Ciceri
Il D.lgs 81/2008 (e le norme collegate), che dal 1° gennaio 2011 obbliga i datori di lavoro a valutare il rischio di stress lavoro-correlato, è un’opportunità di crescita per le organizzazioni a ogni livello.

In un ufficio dove si sta bene si vive meglio. Si lavora meglio. E si produce di più. Nei luoghi di lavoro passiamo una buona parte della nostra vita –come dimenticarsene?– e le malattie professionali gravano sulla spesa pubblica.
Il ben-essere nei luoghi di lavoro non è una questione privata impresa-lavoratore. È, piuttosto, un tema socialmente rilevante. Non per niente la legge dello Stato se ne occupa –colmando negli ultimi tre anni il ritardo accumulato– con una serie di norme abbastanza precise. Il punto di riferimento dal 2008 è il decreto legislativo 81 –Testo Unico sulla Sicurezza e sulla Salute delle Lavoratrici e dei Lavoratori– in base al quale (e alle successive modifiche apportate dal d.lgs 106/2009) la valutazione del rischio nei luoghi di lavoro è obbligatoria e lo è anche, come recita l’articolo 28 del decreto, la redazione del Documento Valutazione Rischi (DVR) da compilarsi a cura del datore di lavoro in collaborazione con il ‘medico competente’.
I rischi di cui parla la legge sono quelli ‘tradizionalmente’ legati all’ambiente fisico –indipendentemente dal fatto che l’oggetto dell’analisi sia un ufficio o un’officina– ma anche quelli più ‘moderni’ dello stress lavoro-correlato, che il Dlgs pone sullo stesso piano degli altri e che dal 1° gennaio 2011 è fatto obbligo di valutare. L’ambiente ufficio non è immune da rischi per la salute fisica e mentale dei lavoratori. Valutare questi rischi e porre rimedio agli eventuali problemi riscontrati è un obbligo ma anche un’occasione per le imprese. Il risultato sarà infatti un ufficio più efficiente, cosa non da poco in uno scenario dove le persone, con il proprio patrimonio di conoscenza, diventano sempre più importanti.

Il rischio di stress lavoro-correlato
Va innanzitutto chiarito che cos’è lo stress. Facciamo rispondere l’Inail: “Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle, o controllarle. Lo stress non è una malattia, ma può causare problemi di salute mentale e fisica se si manifesta con intensità e perdura per qualche tempo”.
A causare stress sul posto di lavoro sono i carichi di tensione, spesso all’ordine del giorno, più frequentemente dovuti a turni troppo lunghi, dissidi con i colleghi, ansia da prestazione; fattori che mettono a rischio il benessere dell’ufficio.
L’Unione Europea ha iniziato a occuparsi di questo aspetto del problema già alcuni anni fa con la stipula a Bruxelles (data 8 ottobre 2004) di un accordo europeo in tema di lavoro e stress. Tale accordo è stato recepito in Italia nel 2008 e dal 1° gennaio di quest’anno (2011) si è tradotto nell’obbligo per tutti i datori di lavoro di incominciare a misurare lo stress dei propri dipendenti, provvedendo, qualora esista, a eliminarlo o almeno a ridurlo. I rischi di stress lavoro-correlato devono essere inseriti –è un obbligo passibile di sanzioni– nel Documento Valutazione Rischi.

Mario Fusani
Mario Fusani, Avvocato

Le due fasi della valutazione
Le indicazioni metodologiche per la valutazione dei rischi –compreso quello da stress lavoro-correlato– sono contenute nella circolare del 18 novembre 2010 seguita alla riunione della Commissione (ministeriale) consultiva per la salute e la sicurezza sul lavoro.
“Nella sostanza la valutazione si articola in due fasi distinte –spiega l’avvocato giuslavorista milanese Mario Fusani– di cui la prima, sempre necessaria, consiste nell’analisi delle condizioni oggettive di rischio, dei fattori sostanziali di lavoro e di altri fattori legati al contesto lavorativo, come i ruoli all’interno dell’organizzazione. Nel caso siano rilevati rischi di stress lavorativo, scatta la seconda fase, eventuale, che prende in considerazione le condizioni soggettive, ascrivibili cioè alle singole persone, attraverso strumenti come i focus group, le interviste semistrutturate o i questionari che permettono ai lavoratori di esprimere la loro personale percezione di se stessi e del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Il passaggio dalla prima alla seconda fase –prosegue Fusani– dipende molto dai cosiddetti eventi sentinella, casi di infortunio, assenze, che evidenziano di per sé l’esistenza di una situazione di rischio. Una cosa certa è che le indicazioni valgono per tutte le aziende, pubbliche e private, di qualsiasi dimensione, e che anche nel caso in cui non vengano rilevati segnali negativi, il datore di lavoro è tenuto a indicarlo nel documento di valutazione del rischio e a prevedere un piano di monitoraggio. Nelle grandi aziende la valutazione può essere fatta su un campione rappresentativo di lavoratori. Altra cosa certa è che la valutazione dello stress lavoro-correlato presenta molti più elementi di complessità rispetto a una ricognizione generica sui rischi perché attiene da una parte agli aspetti soggettivi della persona e dall’altra al suo inquadramento funzionale all’interno dell’organizzazione. Distinguere lo stress lavoro-correlato da quello riconducibile a fattori caratteriali della singola persona non è sempre facile”.

Nessuno è escluso dall’analisi
Si stimano in 40 milioni in Europa le persone che in qualche modo accusano sintomi da stress lavoro-correlato, il 22% circa dei lavoratori (ci riferiamo ai dati pubblicati nei mesi scorsi dai maggiori quotidiani). In Italia, i lavoratori toccati dal problema sembra siano 4 milioni, molti di più quelli che percepiscono lo stress sul posto di lavoro come un rischio per la propria salute. I soggetti più a rischio sono quelli tra i 35 e i 44 anni, le donne e i precari. Proprio sul fronte precari –intesi come la popolazione dei lavoratori non inquadrata in modo tradizionale– la nuova normativa presenta uno dei maggiori elementi di novità.
“La valutazione del rischio specifico di stress lavoro-correlato riguarda tutta l’azienda, non questa o quella singola unità produttiva,

Danilo Vitali
Danilo Vitali, Avvocato

quindi taglia orizzontalmente tutta l’organizzazione” –ci spiega un altro avvocato giuslavorista di Milano, Danilo Vitali–, ciò inserisce una differenza non da poco rispetto ai rischi tradizionali di cui la legge si occupava in precedenza e che venivano apprezzati in relazione esclusivamente alla possibilità di infortuni o di malattie professionali, di conseguenza con una focalizzazione su singoli reparti o unità produttive e l’esclusione di altri non particolarmente significativi sotto questo aspetto. Tutta l’organizzazione significa tutte le categorie di lavoratori, dai quadri ai dirigenti, dagli impiegati agli operai, compresi i lavoratori flessibili e somministrati intesi come coloro che non rientrano nelle tipologie contrattuali classiche. La valutazione nella fase oggettiva, ed eventualmente nella seconda fase soggettiva, dovrà tenere conto delle situazioni specifiche, come per esempio una maggiore e diversa esposizione allo stress della parte più precaria e meno tutelata dell’organizzazione”.
Per sua fortuna il datore di lavoro non è da solo nel compito di determinare lo stress dei suoi dipendenti. “La valutazione del rischio coinvolge il medico competente, il servizio di prevenzione e protezione dell’azienda, e anche i rappresentanti dei lavoratori” aggiunge Vitali. È possibile richiedere la consulenza di personale esterno specializzato (articolo 31 comma 3 del decreto) ed esiste una procedura semplificata per le micro-imprese che occupano fino a cinque lavoratori: qualora emergano elementi positivi di rischio, basteranno riunioni intese a trovare soluzioni migliorative nell’organizzazione del lavoro. Se ne deve comunque parlare nel documento di valutazione dei rischi, con l’indicazione dell’avvio della procedura di valutazione e i tempi previsti per la sua conclusione.

Un’opportunità per le aziende
Pensare allo stress lavoro-correlato come a un problema solo del lavoratore è sbagliato. Il tema coinvolge indirettamente la collettività (costi sociali) e direttamente le aziende, perché impatta sulla produttività aziendale (si pensi alle assenze per malattia), sulla qualità e sull’immagine.

Luca Failla
Luca Failla, Avvocato

“È la prima volta che le imprese si trovano a doversi occupare della salute dei propri dipendenti in un senso più ampio rispetto alla tradizionale idea che la legava solo alla prevenzione degli incidenti sul lavoro –sottolinea l’avvocato Luca Failla dello studio LabLaw di Milano– ora però sta a loro interpretare la cosa come un’opportunità e non come un mero obbligo di legge. Da questo atteggiamento iniziale dei datori di lavoro dipenderanno i risultati attesi dal legislatore, compresa un’azione preventiva nei confronti di fenomeni come il mobbing. È infatti innegabile che la rilevazione di situazioni di malessere in azienda permette di individuare e affrontare alla radice e in tempo utile fenomeni degenerativi che possono sfociare in situazioni anche molto gravi e dall’impatto pesante per l’organizzazione. Ciò va ad aggiungersi ai vantaggi in termini di competitività e produttività che il benessere psicofisico dei propri dipendenti può portare all’azienda; specie in un periodo economico difficile in cui sono sempre più le persone a fare la differenza”.
Lo stress causa disattenzione e di conseguenza errori. Il rimedio richiede un ulteriore impiego di tempo e risorse. La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, oltre a essere un obbligo, è una vera e propria opportunità per le aziende. Alcuni casi illustri sembrano dimostrare l’esistenza di una correlazione tra il benessere dei lavoratori e il risultato aziendale. Uno di questi è SAS, società americana di software e servizi, la maggiore azienda indipendente del mondo nel mercato della Business Intelligence, che ha chiuso il 2010 con il fatturato in crescita del 5,2% (in tempo di crisi!) e contemporaneamente si è collocata al primo posto nella speciale classifica “100 Best Companies to work for” di Fortune.

Il ruolo dell’Inail
L’Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro ha partecipato attivamente alla stesura del testo del decreto 81/2008. Esperti dell’Istituto, tra cui due medici della sovraintendenza, hanno fatto parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, che ha elaborato le indicazioni secondo i contenuti dell’accordo europeo del 2004. Per l’Inail, infatti, queste patologie non sono una novità. Da tempo vengono compresi nella tutela assicurativa anche quei casi di patologie psichiche e psicosomatiche dovuti all’ esposizione a un evento ‘stressogeno’ acuto.
“Negli ultimi anni la problematica si è estesa alle situazioni patologiche che alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro possono avere su alcuni individui, che non sono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro” spiega Marta Clemente, dirigente della Sovraintendenza medica dell’Istituto. Le denunce che arrivano all’INAIL per questo tipo di disturbi sono circa 500 l’anno. Solo nel 10-15% dei casi, però, sono state ritenute malattie di origine professionale.
“Trattandosi di patologie a origine multifattoriale, il percorso metodologico per l’accertamento del nesso causale tra condizione-rischio e malattia denunciata segue lo stesso iter accertativo previsto per le altre malattie professionali –continua Clemente– e necessita di un atteggiamento rigoroso e obiettivo, che riguarda non solo l’inquadramento clinico della malattia, ma soprattutto l’identificazione oggettiva dell’esistenza di un’efficiente causa lavorativa psicostressante.
“L’Inail partecipa attivamente alla costruzione di una cultura della sicurezza al fine di migliorare la tutela della salute dei lavoratori principalmente attraverso l’attività di formazione e informazione ai lavoratori, ai datori di lavoro e alle altre figure coinvolte nel sistema. Inoltre finanzia progetti di ricerca scientifica e mette a disposizione per le piccole e medie imprese fondi per la prevenzione”.

Incentivi per la prevenzione dei rischi
Le aziende sono molto interessate agli incentivi governativi che coprono una parte degli investimenti nella prevenzione dei rischi in ambiente di lavoro. Lo dimostra il fatto che le richieste presentate dalle aziende per investimenti in prevenzione attraverso il portale dell’Inail hanno raggiunto i 778 milioni di euro a fronte dei 60 disponibili.
La gara telematica a tempo svoltasi il 13 gennaio 2011 ha visto esaurirsi il budget in meno di mezz’ora: 22 minuti di click per consumare i 10,46 milioni di euro a disposizione della Lombardia, 16 minuti per i 4,7 milioni del Veneto, 18 minuti per i 4,5 milioni dell’Emilia Romagna. Nel merito, i progetti risultati destinatari dei fondi Inail hanno interessato per il 74% investimenti di rinnovo di attrezzature e impianti, per il 20% l’adozione di nuovi modelli organizzativi e per il 6% la formazione. Rilevante è dunque la parte destinata a innovazioni di tipo organizzativo, tra le quali rientra la valutazione dei rischi correlati al benessere ambientale e allo stress.
Questo dato sembra far emergere la consapevolezza anche da parte datoriale dell’importanza di una buona organizzazione del lavoro e della consapevolezza dei rischi. Vuol dire in sostanza che le aziende stanno realmente introiettando la cultura della sicurezza. È un aspetto importante.
“Se si esclude lo stress collegato all’ambiente fisico di lavoro, che rientra tra i rischi tradizionali legati alla sicurezza, la matrice dello stress lavoro-correlato è quasi sempre organizzativa” aggiunge l’avvocato Mario Fusani. “Un caso che per noi ha fatto scuola ha riguardato le conseguenze di incidente automobilistico causato da un dipendente stressato dal numero abnorme di trasferte che l’azienda gli chiedeva di fare e che, necessariamente, dovevano svolgersi in automobile. Un classico esempio di logorio psico-fisico che poteva essere evidenziato attraverso un’opportuna analisi organizzativa e prevenuto nelle conseguenze con gli opportuni interventi correttivi”.
A beneficiare delle agevolazioni messe a disposizione da Inail sono state prevalentemente le micro-imprese: il 49% dei progetti finanziati –pari a 711 domande su 1438– è stato attribuito ad aziende con dimensioni oscillanti tra una e dieci unità e le Pmi –imprese fino a 250 dipendenti– rappresentano il 98% delle domande totali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cookie Policy | Privacy Policy

© 2019 ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - Milano - TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24 - segreteria@este.it - P.I. 00729910158
logo sernicola sviluppo web milano

Trovi interessanti i nostri articoli?

Seguici e resta informato!