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Mens sana in corpore sano

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INTERVISTA A LUCIANO GAMEZ, PERSONAL COACH

Di Daniela Rimicci

Sono le 9.00 di sabato mattina. Tra un’ora l’intervista con Luciano Gamez, conosciuto qualche settimana fa presso la palestra dove tiene il corso Fighting Concept System.

Luciano è un preparatore atletico, maestro di discipline marziali, tecniche di combattimento e difesa personale, individuali e di gruppo, e Life Coach. Il bell’accento non lascia spazio a dubbi: madrelingua spagnola. Il suo modo di esprimersi è quieto, consapevole e deciso. Ha occhi sinceri. Sono nella sua casa-studio: ambiente accogliente, colorato e profumato. Caffè, pasticcini, registratore acceso…

 

Luciano Gamez, Personal Coach
Luciano Gamez, Personal Coach

Da dove ha cominciato?
Ho cominciato a 13 anni, in Argentina, di nascosto dai miei genitori, pastori evangelici. Non amavano l’idea delle arti marziali, associavano il combattimento a ‘violenza tout court’ senza considerare le mie motivazioni e il senso più alto di queste discipline. Così fingevo di andare a calcetto mentre usavo la paghetta per praticare Kung Fu. Con il tempo si sono ricreduti.
Amavo le arti marziali. Mi ero concentrato sulla preparazione fisica per migliorare le prestazioni nelle discipline, nelle tecniche di difesa personale e sport da combattimento. Prima di tutto ho ritenuto fondamentale studiare il corpo umano e capire come potenziarlo. Mi dividevo tra fitness e body building. In seguito mi sono concentrato sulla ginnastica funzionale, che favorisce il potenziamento. Ho deciso poi di ampliare conoscenza e tecniche di altre discipline psicofisiche tra cui il Tai Chi, meditazione in movimento che lavora sul soggetto a livello esterno e interno. Con quest’ approccio completo ho ottenuto grandi risultati sulle prestazioni sia fisiche sia mentali.

Cosa l’ha spinta a intraprendere la strada delle discipline psico-fisiche? Qual è il loro valore per Lei?
Di certo non mi sono lasciato affascinare dai film. Sentivo che volevo farlo e basta.
A dare il ‘la’ è stato mio padre che, da sempre interessato alla psicologia e al coaching mentale, me ne parlava spesso. Poi chiaramente i maestri che mi hanno seguito negli anni.
Il valore di queste arti e del mestiere che faccio è per me impagabile. Raggiungere risultati personali di benessere, vittorie nelle competizioni ed ‘esserci’ nei traguardi dei miei allievi sono per me fonte di energia continua.

Quello che per Lei era un ‘semplice’ interesse è diventato uno stile di vita e poi una professione…
Avevo tutte le carte in regola: attestati e apprezzamento dei maestri. Ero un operaio generico, nel tempo libero mi dedicavo all’allenamento e allo studio, anche dell’italiano (la lingua era per me un altro ostacolo). Durante un corso di aggiornamento mi ruppi una costola. Mi licenziarono. La crisi era in corso, non riuscivo a trovare alcun lavoro. E avevo ancora una costola rotta. Decisi di dare un valore ai miei attestati e diventare preparatore atletico: sapevo che non sarebbe stato facile ma che ci avrei impiegato tutte le mie forze. Misi annunci online proponendo corsi di difesa personale e arti marziali e cominciai a lavorare con gruppi di ragazzi che, entusiasti del mio modo di insegnare, via via aumentavano. Era questa la strada da seguire e che non avevo osato prima.
Qualche anno fa la svolta: ho avviato la mia associazione sportiva per condividere tutto quello su cui ho lavorato una vita. Per vedere i dettagli dei miei progetti rimando al sito www.gamezpersonalcoach.it.
Da qui è iniziato il percorso di coaching. L’impulso verso questa carriera è ‘esploso’ vedendo i risultati di allievi e clienti. Essere parte del loro successo: questo è ciò che più mi gratifica.

Insomma nessuno si è seduto accanto a Lei per motivarla. Si è auto-motivato e ha ‘incontrato’ la sua strada…
Esatto. Creare motivazione per se stessi e trasmettere agli altri il ‘trucco’: questo porta al risultato finale.
Quando ero un lavoratore dipendente ero inappagato e faticavo a vedere una via d’uscita. Sognavo in grande, senza però il coraggio di dare una svolta alla mia vita. Ora mi sveglio con la voglia di fare, felice del lavoro che aumenta costantemente. Non bisogna restare paralizzati davanti alle difficoltà o a una vita che non si vuole, ma cogliere le possibilità per un’evoluzione personale. Restare in ‘prigione’ porta con sé conseguenze dannose, anche a chi ci è accanto e si muore poco alla volta.
La ‘chiave’ è darsi fiducia e trovare motivazione in noi stessi, per noi stessi. La presenza del coach è rilevante se offre alla persona un punto di vista diverso, un impulso per far emergere le criticità su cui lavorare. Tentare. Rischiare ‘tutto’ per trovare benessere e felicità con se stessi, nella comunità.
Confucio diceva: fai della tua passione il tuo lavoro e non dovrai lavorare neanche un giorno. È uno stile di vita, per me. Ed è ciò che cerco di trasmettere a chi ha scelto di seguirmi.

Certo: artefici del nostro destino. Accadono delle cose, a volte impercettibili, che possono portare a una svolta radicale…
Il coach è un aiuto. Non può però compiere scelte per conto dell’allievo. Ognuno ha il proprio ‘carico’ sulle spalle da analizzare, su cui lavorare e da valorizzare con fatica e impegno costanti. Ma deve volerlo davvero: è imprescindibile. I risultati si riscontrano sul piano fisico e mentale.

È abituato a raggiungere obiettivi sfidanti. Quali le chiavi della sua auto-motivazione e delle sue vittorie?
La vittoria come atleta è sostenere un buon allenamento, con dedizione e volontà, e raggiungere la preparazione adeguata ad affrontare le competizioni al massimo delle potenzialità. Come coach la vittoria più grande è vedere i miei allievi conquistare i loro piccoli grandi traguardi. Cerco di trasmettere ai miei studenti che l’allenamento e la gara non devono portare a una ‘medaglietta’ ma a una vittoria interiore, dal valore inestimabile. Bisogna volere l’eccellenza, ma anche accettare i propri limiti…
Gli elementi su cui lavoro: costanza; formazione e preparazione tecnica; consapevolezza di ciò che si fa e del perché si fa; pretendere dal formatore l’eccellenza, ricercare sempre cose e persone nuove con spirito critico.

Nella sua carriera avrà vinto molte sfide…
Diverse. Un esempio: ho partecipato ai mondiali di Kung Fu a Perugia. Su 60 atleti della mia categoria mi sono classificato decimo. Niente podio, ma è un buon risultato. La sfida più grande è arrivare in gara con un’ottima preparazione. E poi vinca il migliore. Vincere non è solo conquistare medaglie. Vincere è tutto quello che sta prima della gara: è dare il massimo, a prescindere. È dire ogni volta ‘Sono qui, mi sono preparato bene e ci provo’. La competizione può andare bene o no e spesso non dipende solo da noi.
L’importante è la consapevolezza di aver dato il meglio di sé e, se così non fosse, lavorare ancora e ancora.

Per raggiungere obiettivi è importante avere consapevolezza delle proprie capacità, essere allenati e avere buoni allenatori. Qual è il segreto di un buon coach? Che impatto ha sulla preparazione e sulla performance?
Seguo persone spesso pigre e incostanti nello sport, e a volte nella vita: il primo successo è quando bussano alla mia porta… poi cominciamo a lavorare. Faccio del mio meglio per preparare la persona affinché si auto-motivi e trovi la sua strada. Ogni obiettivo che l’allievo raggiunge è, anche, un mio traguardo e stimolo per nuove sfide da vincere insieme.
Alcuni arrivano da me con la ‘fame del primo posto’ da raggiungere a tutti i costi. Pericoloso: un ‘gioco’ insano che rischia di far commettere cose sgradevoli, scorrette, verso se stessi e gli avversari. In questi casi il ruolo del coach è determinante per aiutare la persona a incanalare le energie positive a favore di una competizione sana per il corpo e la mente. E, quindi, essere vincenti. Con o senza medaglia.
Per gli allievi è importante avere accanto un coach, il cui ruolo è di supporto nella ricerca della propria motivazione, uno sprone, un ‘consigliere’. Ma poi ognuno deve ‘giocare la sua partita’.
L’impatto di un coach sulla vita di una persona, soprattutto nell’allenamento individuale, è rilevante. Se l’attività è ben gestita e lo ‘spirito’ della persona è ricettivo, i risultati sulle performance arrivano.
Coach e allievo/i sono concentrati su obiettivi ben chiari e lavorano insieme per raggiungerli. Si può anche ‘invertire la rotta’ insieme, io sono sempre ‘in ascolto’…

Luciano Gamez, Personal CoachL’allenamento è un appuntamento costante con se stessi per raggiungere i propri obiettivi, allo stesso modo la realizzazione professionale richiede dedizione. In che modo il ruolo del coach può fare la differenza?
Un maestro aiuta la persona a trovare fiducia in se stessa e renderla consapevole dei propri punti di forza e debolezza su cui lavorare e da valorizzare. Con impegno e dedizione, e il supporto di un coach, la persona è incoraggiata a conservare una disciplina per raggiungere i propri obiettivi.
Il ‘segreto’ è coinvolgerla. Il coach può fare la differenza dopo un risultato negativo: a quel punto si può lavorare per capovolgere il risultato, con un allenamento programmato.

Allenamento di un team: lo sforzo del singolo ha valore se inserito nel contesto di squadra con un obiettivo condiviso. Cosa può fare un coach per valorizzare il lavoro di gruppo?
Il lavoro di gruppo si valorizza intanto partendo da un contagio inconsapevole tra gli allievi: questo aumenta il rendimento di ognuno. Come coach cerco di portarli tutti allo stesso livello. Un occhio attento al gruppo, un occhio attento al singolo: cerco gli allievi ‘trainanti’ per carattere o potenza e creo gruppi bilanciati rispetto alla forza di ciascuno. Si crea empatia tra le persone, che comporta una reazione a catena: ogni allievo è spronato a dare il massimo. Il mio lavoro è quindi mettere i ragazzi nelle condizioni di influenzarsi a vicenda in chiave positiva. In secondo luogo: disciplina. Ci sono delle regole e pretendo che siano rispettate.

Come vive i rapporti con le persone che allena?
Con empatia. L’approccio iniziale di entrambi, ma soprattutto mio, può fare la differenza. Di alcune persone sono allenatore fisico, di altri il maestro − e coach ‘mentale’− di arti marziali. Il coach deve essere un buon allenatore prima di tutto con se stesso per poter poi trasferire alle persone energia positiva. Poi sta all’allievo fidarsi, mettersi in gioco, crederci. I risultati solitamente arrivano ‘a valanga’. E l’allievo è sempre più motivato e rende molto più delle previsioni stabilite insieme.
Durante l’allenamento a volte ‘interferisco’ nella sfera psicologica o emotiva. Sta a me capire ‘che giorno è’. Senza essere pedante, il coachee si apre nei miei confronti ed esprime i suoi ‘segreti’ da solo al momento giusto. Con soggetti ‘difficili’ sono particolarmente motivato…

Si sa, le migliori sfide da vincere nascono sempre da circostanze ‘particolari’ o difficili. Mi sembra di capire che il rapporto con i suoi allievi è anche personale o sbaglio?
Sì, di conoscenza o amicizia in certi casi. Questo per me è essere in empatia con l’altro, pur mantenendo comunque il mio ruolo di coach con l’autorevolezza e la fiducia che cerco di conquistare.
Faccio il mio mestiere come un ‘compagno di allenamento’: questo è il mio ‘essere maestro’.
Il cliente privato spesso è un manager d’azienda che si pone come se fossi un suo sottoposto. Nel mio studio, però, non ci sono dipendenti. Qui si viene per ascoltare il mio punto di vista, se si vuole. Non mi piace guadagnare senza fare nulla o allenare come dice qualcun altro. La disciplina è il primo fondamento delle arti marziali, le regole sono chiare per tutti. Cerco di far capire come stanno le cose in modo rispettoso. Anche questo deve caratterizzare un buon coach.

Determinato e autorevole, non v’è dubbio. A quali modelli sportivi si è ‘ispirato’?
Il mio primo maestro è stato un grande esempio. Arrivava in bici, come una persona qualunque. Era l’uomo più pacato del mondo. Di mestiere faceva il matematico. Poi cambiava i vestiti per cominciare l’allenamento e diventava un guerriero… Una trasformazione così evidente che ogni volta ne restavo affascinato.
Un altro insegnante con cui ho lavorato, quasi il contrario del primo maestro, mi aveva colpito per il suo stile ‘ricercatore’. Adesso, con Sandro Celauro, ho trovato un maestro al 100%: un esempio sia a livello tecnico sia sotto il profilo caratteriale, mentale e di interazione con gli allievi.

Sono forse questi i segreti del buon coach?
Sono un punto di riferimento. Spesso si attribuisce al maestro, o lui attribuisce a se stesso, un valore oltremodo superiore a quello di ‘semplice’ allenatore. A mio avviso è importante mantenere spirito critico costruttivo. E il maestro stesso non deve mai perdere di vista una cosa semplice: è, prima di tutto, un uomo.

Come ha vissuto la sua vita sportiva e il conquistato ruolo di coach?
Il mio percorso sportivo è stato un flusso tra preoccupazioni e gioie. In questo momento le soddisfazioni sono davvero molte. E più sono soddisfatto più nascono idee per nuovi progetti: mai fermarsi.
Per quanto riguarda il coaching con i ragazzi l’obiettivo è di mettersi in gioco in prima persona con loro, un do ut des vicendevole per crescere sempre di più. È, per me, un circolo virtuoso.
La soddisfazione più grande è sentirmi un formatore: essere in grado di capire e valorizzare le potenzialità di chi non crede di averle, conquistando la sua fiducia e dandone a mia volta. La cosa bella è costatare risultati spesso più elevati del previsto: ci sorprendiamo a vicenda. Non cambierei il mio mestiere con nessun altro.

Viviamo in un momento di crisi, soprattutto sociale, un po’ vera un po’ ‘alibi’. I giovani sono il ‘futuro’ del Paese, potrebbero azionare il ‘motore di rivoluzione’ e capovolgere la situazione. Quale messaggio può lasciare ai ragazzi?
La crisi è l’alibi del non-fare: sono questi, invece, i momenti in cui dare il massimo!
Per prima cosa dico ai ragazzi: senza sacrificio non c’è risultato. Rimanere calmi davanti alle difficoltà, analizzare gli elementi a proprio favore e puntare ‘tutto’ senza paura di rischiare. I sacrifici, presto o tardi, danno grandi gioie. I ragazzi devono diventare consapevoli di ‘cosa voglio dalla mia vita, veramente’, fare di tutto per ottenerlo, coltivarlo e perfezionarsi. Anche accentando compromessi temporanei per arrivare alla meta. Nel buio non si vede nulla, la luce deve venire da dentro. Vedere percorsi alternativi, possibilità. Tentare. E non una volta sola. La propria strada, quella ‘giusta’, s’incontra cammin facendo…

Cosa si può imparare dal valore enorme, modus vivendi, che l’allenamento porta con sé?
Costanza, determinazione, sacrificio. In una parola: disciplina.
“Ogni guerriero deve curare la sua via” scriveva Sun Tzu ne L’arte della guerra del 1913. Eppure è sempre così attuale.

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