La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Nonaka al lavoro: condizioni e azioni per lo sviluppo delle conoscenze nelle organizzazioni

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Autori:
Maria Luisa Farnese, Ricercatore in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, Dipartimento di Psicologia, Università di Roma La Sapienza
Antonella Centonze, Psicologa del lavoro e delle organizzazioni, consulente libero professionista

Il presente lavoro, a partire da una breve disamina sulle modalità attraverso cui le organizzazioni sviluppano le proprie conoscenze, si focalizza sul modello SECI di Nonaka come cornice concettuale utile ad analizzare e promuovere strategie di creazione di conoscenza. In particolare è evidenziata la relazione tra la proposta teorica del modello e alcune prassi in uso nelle organizzazioni per promuovere la generazione di conoscenza e sono forniti esempi attuali di possibili applicazioni. Il modello SECI costituisce, nell’ambito della letteratura sul Knowledge Management, una delle più sistematiche trattazioni sul tema della gestione e creazione delle conoscenze organizzative: partendo dalla distinzione tra conoscenze tacite ed esplicite come tipi differenti di conoscenze, individua quattro modalità di creazione di conoscenza nelle organizzazioni, date dalla combinazione dei due tipi. Le quattro modalità sono in interazione dinamica tra loro, creando una spirale, teoricamente senza fine, di creazione continua di saperi organizzativi. Nonaka mette in evidenza come queste quattro diverse modalità, spesso spontanee, sviluppino i saperi nelle organizzazioni aprendo la strada alla costruzione intenzionale e organizzata di azioni e strumenti di intervento. Il modello, tuttavia, pur costituendo un noto riferimento per la concettualizzazione del Knowledge Management, è spesso rimasto confinato nell’ambito teorico ed è stato prevalentemente utilizzato per fini descrittivi e studi di caso. Meno frequente è il suo utilizzo per lo sviluppo di strategie di apprendimento organizzativo e generazione di nuove conoscenze. Nell’articolo sono pertanto evidenziate una serie di implicazioni pratiche e operative, oltre a molti esempi che possono essere messi in campo sia dall’organizzazione sia dai consulenti organizzativi per far sì che il processo di creazione venga costruito e gestito efficacemente, anche nella direzione dell’innovazione.  

La concezione di ciò che rappresenti una risorsa di valore per le organizzazioni è mutata nel tempo, evidenziandone il carattere via via sempre più immateriale: si è infatti passati dalla centralità delle risorse materiali come input del processo trasformativo pre-industriale, al valore della capacità progettuale e organizzativa del processo produttivo in epoca tayloristica, al valore relazionale e di posizione dell’organizzazione come parte di un network, fino alla centralità delle conoscenze e del capitale intellettuale (Lipparini, 2002) che caratterizza l’epoca attuale, chiamata appunto “l’era della conoscenza” (Drucker, 1986; Foray, 2000; Rullani, 2004). Le conoscenze sono, infatti, la principale qualità delle risorse umane, che diventano appunto capitale intellettuale (Lipparini, 2002), e anche il principale contenuto di valore che i beni-servizi incorporano (Gherardi e Nicolini, 2004). È sulla conoscenza, dunque, che si fonda il vantaggio competitivo di un’impresa.
Ma come possono le organizzazioni implementare il loro capitale di conoscenza? La letteratura sul Knowledge Management, la disciplina che si occupa di sistemi e processi per la gestione dei saperi organizzativi, evidenzia la necessità di superare l’equazione tra informazione e conoscenza e la concezione di quest’ultima come un ‘oggetto’ che, al pari di altri beni, può essere accumulato e trasferito, sottolineandone le specificità e problematicizzando questa visione del processo. Per esempio alcuni autori evidenziano come le conoscenzesiano legate, anzi ‘appiccicate’ alle persone (Von Hippel, 1994; Zsulanski, 2000) e dunque necessitino di una interazione sociale per essere diffuse. Altri che siano contesto-specifiche e che solo la parte più superficiale di esse possa essere trasferita tout court (Argote et al., 2000; Feldman, 2004). Altri autori, infine, analizzano le loro caratteristiche specifiche: in quanto intangible asset, le conoscenze non sono osservabili e non si consumano con l’uso; sono cioè un bene illimitato che si potenzia con la circolazione e l’utilizzo (Lipparini, 2002), richiedendo pertanto altrettante specifiche modalità di trasmissione, sviluppo e generazione.
Porre l’attenzione su tali modalità di creazione delle conoscenze assolve ad alcuni scopi pragmaticamente rilevanti per le organizzazioni, mettendo in evidenza le azioni concrete in chiave gestionale di cui una organizzazione può disporre per rendere sistematico e strategico il management system della conoscenza organizzativa.
Alcune finalità concrete attengono a funzioni ‘propulsive’ svolte dal processo di creazione della conoscenza. Per esempio le conoscenze, se messe in relazione agli altri e al contesto, si moltiplicano, si accrescono e si approfondiscono. La loro condivisione permette inoltre di ancorarle ai problemi che il contesto presenta, facilitando la creazione di sinergie e l’incremento di efficacia ed efficienza operativa. O ancora, una gestione strategicamente intesa del processo di creazione della conoscenza può contribuire a ridurre lo scollamento percepito tra teoria (conoscenze dichiarative) e pratica (problemi concreti nel quotidiano) di cui spesso i dipendenti si lamentano quando acquisiscono nuove conoscenze (per esempio durante i corsi di formazione). Altre finalità possono assolvere a funzioni di tipo ‘riparativo’: contenere le ‘vie di fuga’ dei saperi individuali (vedi pensionamenti, drop out, burn out) che si perdono inesorabilmente in assenza di investimento sulla conoscenza collettiva; ovvero nel superare l’idea – riduttiva – della formazione come esperienza di apprendimento individuale, quando rimane appunto patrimonio del singolo, non speso nel contesto organizzativo.
La letteratura sul Knowledge Management e sull’innovazione suggerisce innumerevoli modalità e pratiche attraverso cui sviluppare conoscenze, dalla loro importazione (per esempio acquisto di brevetti, spill over, buone pratiche), al loro sviluppo (knowledge sharing, job rotation), alla loro creazione (centri R&S, formazione, ascolto dei clienti), (Schilling, 2005).
Alcuni autori individuano inoltre numerosi fattori che ne promuovono la creazione, quali per esempio la visione condivisa, la fiducia, i sistemi informativi e di stoccaggio, le tecnologie, e così via (Nonaka e Peltokorpi, 2006), o anche le caratteristiche delle unità operative e della relazione tra esse (Argote, McEvily e Reagans, 2003). Sono pochi tuttavia i modelli che sistematizzano entro un frame teorico l’intero processo, offrendo una visione complessiva e una chiave di lettura concettuale. Inoltre molti modelli propongono una visione lineare ed evolutiva del processo di generazione di conoscenza (per esempio da tacito a esplicito, Polanyi 1966; dall’accumulazione allo sviluppo di competenze dinamiche, Zollo e Winter, 2002) piuttosto che articolata, complessa e ricorsiva, come il modello descritto di seguito.
Il più noto e sistematico modello di generazione di conoscenza è quello proposto da Ikujiro Nonaka (Nonaka, 1994; Nonaka e Takeuchi, 1994) e denominato SECI. L’idea centrale dell’autore è che la creazione di conoscenza sia un processo dinamico e continuo che ha luogo attraverso le interazioni sociali (quando cioè viene trasferita tra gli attori e nei diversi contesti sociali) e nel momento in cui la conoscenza cambia status (divenendo, da esplicita, sempre più incorporata, cioè tacita o viceversa).
L’articolo si propone di evidenziare la valenza strategica del modello di Nonaka affinché le organizzazioni possano implementare e integrare interventi finalizzati alla generazione di conoscenza e dunque aumentare la propria competitività. In particolare, attraverso la presentazione della struttura concettuale del modello SECI e delle sue caratteristiche, sono illustrate possibili tipologie di azioni (e relative esemplificazioni pratiche) che le organizzazioni possono mettere in atto per promuovere la generazione di conoscenza sulla base delle quattro modalità di conversione della conoscenza individuate. Sono inoltre evidenziate le condizioni di contesto che maggiormente possono influire sulla loro attuazione.

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 60000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

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