La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

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Nuove forme organizzative digitali, da infosfera a infrastruttura

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Come quasi sempre accade, i cambiamenti storici, economici e culturali, nel loro affermarsi e consolidarsi, si appoggiano su parole alle quali è affidato il compito di esprimere la novità. Nella seconda metà del Settecento, si è affermato un modo di pensare che oggi ci è consueto: in tedesco la parola è “Aufklärung”, “delucidazione”, “chiarimento”. Ma contribuiscono significativamente a definirne il senso anche le diverse traduzioni: “Enlightenment”, “Lumières”, “Ilustración”, “Illuminismo”.

Negli Anni 20 e 30 del XX secolo, Henry Ford è la figura simbolica. Ma la parola “fordismo” si afferma, prima che in inglese, in tedesco, in russo e in italiano: è il titolo, nel 1924, di un pamphlet del barone Gottl-Ottlilienfeld; è oggetto di attenzione in Unione sovietica agli albori dello stalinismo; Antonio Gramsci, scrivendo in carcere nel 1934, usa la parola mentre riflette sull’organizzazione del lavoro della Fiat tra il 1919 e il 1920, quando gli operai lottavano per l’istituzione dei Consigli di fabbrica.

Possiamo dunque chiederci con quale parola, tra 100 o 200 anni, definiremo la nuova forma organizzativa digitale, che ci appare giorno dopo giorno più evidentemente presente, eppure non ancora chiara ai nostri occhi.

Il superamento dell’infosfera

Spesso accade, che l’affermazione delle parole, sia dovuta alla loro facile presa e anche al fatto che esse appaiono legate alla presenza di una persona fisica, eletta a guru. Questo è il caso di “infosfera”. La parola è associata a Luciano Floridi, filosofo italiano e docente a Oxford.

È evidente il richiamo alla biosfera, lo spazio in cui è possibile la vita sul nostro Pianeta. Floridi assume che la concezione del mondo è sempre più “fondata sull’informazione, si pensi al Dna e alle biotecnologie”. In quest’ottica la stessa biosfera – e lo stesso mondo fisico – possono essere intesi come regioni dell’infosfera. Dell’infosfera fanno parte gli stessi esseri umani, in quanto organismi informazionali (inforgs). Perciò il termine è filosoficamente sinonimo di essere” (Fontana, 2010).

In interviste concesse a giornalisti, conferenze in affollati teatri, lezioni magistrali in rinomate università, Floridi diffonde questo termine ambiguo e superficiale. Nei suoi libri è lievemente più cauto, ma non molto più preciso.

In cosa consiste “understanding ourselves as inforgs?”, si chiede in The fourth revolution. Parlare di cyborg, ibridi uomo-macchina, ci dice “is Science fiction”. “We have begun to understand ourselves as inforgs not through some biotechnological transformation in our bodies, but, more seriously and realistically, through the radical transformation of our environment and the agents operating within it” (Floridi, 2014). Il cambiamento non sta dunque nell’essere umano, piuttosto nell’ambiente in cui questi si trova a vivere: l’infosfera.

Peccato che superficialità e ambiguità siano evidenti già dal titolo. Di fronte al The fourth revolution, e al sottotitolo che rimanda all’infosfera, è impossibile evitare una connessione mentale con la quarta rivoluzione industriale. È un’ambiguità che probabilmente giova al successo del libro. Ma Floridi non fa riferimento alle rivoluzioni industriali. La sua prospettiva è più ambiziosa. Alla rivoluzione copernicana, darwiniana e freudiana, secondo il filosofo, segue l’odierna quarta rivoluzione. Una periodizzazione opinabile: perché non guardare al Rinascimento e all’Illuminismo?

Il titolo più promettente sembra essere Philosophy and computing, uscito nel 1999. Ma presto il libro si rivela essere un avvicinamento all’informatica per studenti di filosofia. Un testo necessario, una guida efficace, dove però la filosofia è assente. Guardiamo allora ai testi più ricchi di pensiero.

Possiamo innanzitutto notare che la produzione di Floridi si inquadra nel tentativo di rinomati filosofi inglesi e americani: non si tratta di imparare a usare il computer o conoscere i fondamenti dell’informatica, quando di proporre una critica filosofica del computing. Si parla dunque di Philosophy of computing and information, nel senso di filosofia che “ha per oggetto il computing”. Dove il computing non è solo la Computer science, ma anche l’insieme delle pratiche di tutti gli esseri umani che interagiscono con computer.

Due articoli, soprattutto, meritano di essere presi in esame: “What is philosophy of information?” e “Open problems in the philosophy of Information”. Già il titolo del primo è caratterizzato, giustamente, dal punto interrogativo. Si pongono domande. Nel secondo, invece, si tenta qualche risposta, limitando il campo ai dubbi. È qui che Floridi ammette: “This is the hardest and most central question in PI (Philosphy of Information). Information is still an elusive concept”. Nella traduzione italiana: “Questa è la domanda centrale e più difficile della PI. Quello di ‘informazione’ rimane tuttora un concetto elusivo” (Floridi, 2004).

L’Information theory, che ha in Claude Shannon il capostipite, è fondamento essenziale della Computer science. Ma l’informazione, nonostante Shannon e il fatto incontrovertibile che le macchine costruite a partire dalle teorie sue e di Turing funzionino – e che lo facciano anche in modo efficace – resta un concetto vago. Siamo d’accordo con Floridi: “This is a scandal not in self”, non è cioè uno scandalo di per sé, purché si continui a ragionare sull’argomento, purché ci si chieda cosa è l’informazione in sé, e come si pone la relazione tra informazione ed esseri umani. Può esistere informazione in assenza di esseri umani? Quale relazione lega informazione e conoscenza? (Varanini, 2017). Verso la conclusione di Open problems in the Philosophy of Information, tornano ad affollarsi i punti interrogativi. Perché le ICT sollevano questioni morali? Che tipo di etica è la Computer ethics?

Il Floridi di oggi si pone ancora queste domande? “È membro dello ‘High-level expert group on Artificial Intelligence’ voluto dalla Commissione europea. È regolarmente chiamato a risolvere problemi etici per Google, Tencent, Microsoft, Facebook”, (De Biase, 2019). L’autore dell’articolo ha dimenticato di citare IBM. Non possiamo fare a meno di notare che si tratta proprio delle società di fronte al cui dominante interesse andrebbero difesi gli interessi dei cittadini. Floridi ha la risposta: l’istituzione di un Comitato di esperti di cui lui stesso farà parte ‘Five ethical principles’, “20 concrete recommendations” (Taddei e Floridi, 2018).

Nell’explicit di Open problems in the philosophy of information Flordi si chiedeva: “We have now come to end of this review, I hope the reader will be thrilled than depressed by the amount of work that lies ahead”. Non siamo depressi dalla mole di lavoro che ci aspetta, ma dal fatto che non ci sia ancora stato un vero avanzamento nella ricerca di risposte a queste domande. Il diavolo sta nei dettagli. La versione inglese dell’articolo, datata 2004, si chiude con un’ammissione: “I must confess I find it difficult to provide an elegant way to closing this article. Since it analyze questions but provides no answer, it should really end with ‘The beginning’ rather than ‘The end’”.

La chiusa in italiano, un anno dopo, è sottilmente diversa: “Devo confessare che trovo difficile elaborare una conclusione elegante per questo articolo. Visto che analizza domande, ma non fornisce risposte, forse potrebbe degnamente concludersi con un ‘welcome’ nel mondo della Filosofia dell’informazione, piuttosto che con un the end”.

Benvenuti nel mondo di una filosofia dell’informazione senza più domande. Il problema non è dappoco: se è elusivo il concetto di informazione, non può che esserlo anche quello di infosfera, che sulla nozione di informazione si appoggia.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di settembre-ottobre 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

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