La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Nuove sfide per le Direzioni HR con il Jobs Act: ADP incontra le aziende

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L’aumento della flessibilità in entrata e in uscita dall’azienda, le nuove indennità di disoccupazione, i contratti a tutele crescenti e la riorganizzazione delle diverse categorie di lavoratori sono alcune delle nuove misure in ambito lavoro che le organizzazioni saranno chiamate a implementare all’interno dei propri processi HR, fornendo alle direzioni risorse umane il supporto necessario affinché possano contribuire agli obiettivi di business dell’intera azienda.
Ma quali sono, nello specifico, le sfide e le opportunità che si aprono alle direzioni risorse umane all’indomani dell’entrata in vigore dei primi due decreti attuativi del Jobs Act? Quali i primi impatti in azienda? Terzo di un ciclo di incontri promossi da ADP in collaborazione con i Gruppi Regionali dei Giovani Imprenditori, il convegno del 21 aprile scorso a Milano ha cercato di dare risposta a questi interrogativi.

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“Le sfide competitive che oggi le organizzazioni devono affrontare riguardano innanzitutto il lavoratore che, con le sue competenze e conoscenze, diventa uno dei maggiori driver di successo e di crescita”, ha sottolineato in apertura Nicola Uva, strategy & marketing director di ADP Italia, uno dei maggiori fornitori mondiali di soluzioni in outsourcing per la gestione del capitale umano. “Il mondo che oggi conosciamo è molto cambiato. Possiamo individuare il 2008 come spartiacque. Da quel momento, complice la crisi economica, l’avvento di nuovi device mobili e la diffusione a macchia d’olio dei social network, abbiamo visto avverarsi la metafora Baumiana della società liquida. In una parola, ha vinto il concetto di flessibilità. Rifondare oggi la relazione azienda-dipendente su questo concetto chiave è l’unica strada per affrontare e gestire il cambiamento in atto. La corsa all’innovazione si giocherà, infatti, sulle risorse umane, vero capitale di un’azienda, il cui processo di selezione, formazione e crescita costituisce un fattore competitivo determinante.
Occorre però fare una distinzione tra due tipi di flessibilità: quella contrattuale, fortemente voluta dalle istituzioni e ben accolta dalla maggior parte delle aziende, e quella inerente i luoghi e gli orari di lavoro, richiesta a gran voce dai dipendenti per conciliare i ritmi professionali e di vita.”

Il disegno di legge delega pare prendere in considerazione entrambe le tipologie, nonostante venga data alla prima delle forme un’urgenza maggiore, come si evince dall’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti e dal rinvio del decreto che riguarda da vicino il tema della conciliazione vita-lavoro. “La cornice all’interno della quale di muove l’attuale riforma del mercato del lavoro, a partire dal Decreto Poletti fino ai primi decreti attuativi del Jobs Act, è proprio quella della flessibilità”, ha spiegato Roberto Respinti, managing partner dello Studio Associato Pagani, importante studio di consulenza del lavoro legale e gestionale. “Obiettivo del legislatore è di aumentare l’occupazione, riducendo i costi; fare chiarezza, sfoltendo la fitta selva di tipologie contrattuali presenti nel nostro Paese; rendere, infine, più agile il licenziamento, aumentando parallelamente le tutele. A tal fine, sono state date 5 deleghe al Governo da attivare entro il 16 giugno, ma solo le prime due – su tutele crescenti e ammortizzatori sociali – sono al momento state trasformate in decreti (d.lgs 23 e d.lgs 22 del 4 marzo 2015, entrati in vigore il 7 marzo).”
Rimane dunque ancora molto lavoro da fare per realizzare anche quel secondo tipo di flessibilità che riguarda una nuova organizzazione del lavoro – smart working –, sempre più parte dei desiderata dei lavoratori. Così come si è ancora lontani dalla definizione di un testo organico semplificato delle tipologie contrattuali e dalla revisione della disciplina delle mansioni.

Un’altra novità è quella che, da venerdì 3 aprile, vede la possibilità per i lavoratori dipendenti italiani (con più di 6 mesi di servizio alle spalle) di farsi versare il Tfr in busta paga. “Il Tfr in busta assume la forma di retribuzione corrente, è dunque cumulato con il reddito percepito dal lavoratore. Come tale – ha chiarito Sabrina Pagani, managing partner dello studio associato omonimo – è soggetto a tassazione ordinaria, incide sulla determinazione delle detrazioni di imposta spettanti e sull’ISEE annuo.”
Al lavoratore è lasciata la libertà di scegliere la sua destinazione; ecco perché è necessario che siano le aziende, considerata l’importanza del capitale umano come driver del successo organizzativo, a fare opera di informazione sui reali vantaggi e svantaggi di questa misura.

Al momento è presto per dire se il Jobs Act avrà gli esiti sperati in termini di aumento dell’occupazione e semplificazione delle norme che regolano i contratti di lavoro. Certo è che questa riforma inciderà sulla popolazione aziendale creando due tipologie di lavoratori diversamente tutelati, quelli assunti prima del 7 marzo e quelli assunti dopo. Spetterà, dunque, alle direzioni HR cercare di trovare il bandolo di questa matassa, valorizzando al meglio il capitale umano per migliorare lo sviluppo del business.

 

 

 

 

 

 

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