
Organizzazioni emotive
benessere aziendale, Luciano Pilotti, organizzazione del lavoro, Organizzazioni emotive, trasformazione culturale
La costruzione di un nuovo Umanesimo del lavoro “immerso in organizzazioni emotive e felici che richiedono responsabilizzazione, motivazioni e inclusione ed essere resilienti tra varietà e creatività” è la prospettiva aperta da Organizzazioni emotive (intelligenti e creative). Tra welfare aziendale, responsabilità, partecipazione e resilienza, libro di Luciano Pilotti.
L’autore attraverso i 13 capitoli del libro traccia un percorso le cui tappe principali riguardano il contesto macro e micro del welfare, statale, sociale e aziendale, le esperienze di autorganizzazione nelle diverse forme assunte, la riflessione su temi come i rapporti tra produttività e benessere, le relazioni uomo macchina, il valore delle competenze emotive, il concetto di “felicità sul lavoro” e l’apprendimento.
Nella terza parte del libro, questi temi vengono ripresi chiarendone l’impatto su un possibile cambiamento strutturale delle organizzazioni, nell’ottica del superamento delle ‘pratiche razionaliste’ e della logica del controllo, verso nuovi modi di produrre e anche di consumare caratterizzati da un forte spessore relazionale, emozionale ed esperienziale, dall’emergere di un ecosistema tecno-sociale, insieme cooperativo e competitivo, da circolarità dell’economia e coinvolgimento diffuso delle persone in processi creativi.
Tutti questi argomenti sono approfonditi con grande ricchezza di riferimenti, non solo alla letteratura scientifica di Economia Generale e Aziendale, Sociologia, Marketing, Organizzazione, Sistemi Informativi, ma anche agli apporti della cultura umanistica, oltre che a numerosi casi di imprese e organizzazioni sociali. Nel capitolo 12, che precede quello conclusivo, si chiarisce il possibile sbocco delle tendenze di trasformazione descritte in un “nuovo Patto sociale per il Rinascimento civile di un capitalismo partecipato, solidale, responsabile e inclusivo”.
Al di là dei cambiamenti già in corso, la necessità di un patto di questo tipo deriva dall’esigenza di condividere i rischi tra tutti gli attori – “con vantaggi privati distribuiti e benefici sociali diffusi per rilanciare crescita, produttività cognitiva e ascensione di nuove ed emergenti classi medie con riduzione di disuguaglianza” –, attivando “nuovi assetti proprietario-manageriali di compartecipazione”.
Le esperienze che si stanno diffondendo e che ottengono crescente attenzione, in campi come il welfare aziendale, lo Smart working e l’Industia 4.0, sono considerate opportunità importanti per l’affermazione non episodica, ma strutturale, di modelli di organizzazione evoluti nel senso desiderato. Nel capitolo conclusivo, Pilotti ne chiarisce anche una serie dettagliata di linee applicative.
Il volume dà spazio anche a tre interventi complementari, che sottolineano l’impatto trasformativo della prospettiva evocata per l’intera società: nel senso dei riferimenti etici (presentazione di Don Virginio Colmegna), dell’assetto del mondo digitale-globale (prefazione di Enzo Rullani), del cambio di paradigma socio-economico (postfazione di Luca Solari).
Il volume esprime quindi un rilevante sforzo di sintesi nell’elaborazione di un materiale così vasto che appare nel complesso riuscito; offre una visione ampia del significato assunto dalla transizione, ormai da tempo in corso, verso un contesto dove è enormemente cresciuta l’importanza dell’immateriale, dell’intangibile, della soggettività delle persone anche, ma non solo, attraverso l’impatto delle tecnologie e del digitale in particolare.
L’autore insiste sulle potenzialità di questo scenario per un’evoluzione positiva delle organizzazioni, ma non trascura di mettere in evidenza i rischi e i fattori strutturali che spingono in altre direzioni. Di particolare interesse sono i riferimenti specifici al caso italiano; qui occorre considerare i sette temi di intervento che Pilotti propone in riferimento alla necessità di adeguare alcune “aree integrate di azione proprietario-manageriali”.
Si tratta di superare: gli aspetti inerenti il ripiegamento sul breve termine; il disegno organizzativo guidato da ‘familismo e burocratismi’; la governance aziendale ‘chiusa’ verso l’esterno; la prevalenza dell’innovazione incrementale rispetto ai processi di disruption; il ripiegamento dello spirito imprenditoriale verso la rendita; i blocchi che ostacolano la diffusione della leadership e dei processi di delega; i limiti culturali all’etica della responsabilità anche nei confronti dell’ambiente e dei diritti fondamentali delle persone.
Non manca quindi consapevolezza di ostacoli e difficoltà rispetto alla realizzazione del Patto sociale prospettato. Pilotti ne sottolinea la differenza rispetto a quello che ci ha accompagnato lungo tutto il Novecento, al compromesso negoziale di matrice socialdemocratica tra capitale e lavoro e anche all’assetto del welfare state tradizionale. A questi aspetti di ordine negoziale-distributivo occorre aggiungere un nuovo assetto che consenta la partecipazione alla gestione e agli utili e la condivisione dei rischi della società della conoscenza.
Di fronte alla radicalità, da tanti punti di vista, della prospettiva di trasformazione evocata, sono legittimi alcuni interrogativi riferiti alla problematicità dell’attivazione di questo cambiamento, come osserva Solari nella postfazione, di fronte alla “diffusa arretratezza del ragionamento organizzativo” in Italia.
Ci si può chiedere inoltre se il paradigma emergente non sia destinato a restare minoritario, nel contesto globale, e a coesistere quindi con altre modalità, forse più legate al passato, come componente di un pluralismo delle forme organizzative e dei sistemi di gestione del lavoro.
Il concetto di felicità, infine, applicato al vissuto nel lavoro, nell’organizzazione, nell’impresa, potrebbe apparire invasivo rispetto alla sfera di libera scelta individuale, in qualche modo in contraddizione rispetto all’affermazione del valore dell’autonomia delle persone.
Nel senso che un concetto più neutro e laico, quale è espresso dal termine “benessere”, è forse preferibile nell’indicare una prospettiva interna alle regole di funzionamento delle organizzazioni; mentre, in un mondo in cui cresce l’importanza delle emozioni, e forse dei valori, la felicità potrebbe restare o divenire preoccupazione fondamentalmente inerente alle persone, evitando il rischio che sia offerta alle stesse da un agente sociale dotato di qualche potere.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero di luglio-agosto 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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