Politiche retributive – Le sfide di gestione in una scuola estera
Andreas Linderer, politiche retributive
Andreas Linderer, insegnante e coordinatore del liceo in una scuola privata internazionale, ci racconta la sua esperienza: “Si tratta di una scuola che opera in Italia ma rilascia un titolo di studio estero, gestita da un direttore che coordina il suo operato con un consiglio di amministrazione. Questo viene eletto da un’associazione composta in gran parte da insegnanti e genitori di alunni, nonché da altri cittadini della nazione estera di riferimento.
L’attività è finanziata in parte dalla retta scolastica, in parte dalle sovvenzioni concesse dall’amministrazione estera di riferimento. Il titolo estero comporta l’obbligo che almeno una parte del corpo docente abbia la qualifica richiesta per insegnare nella nazione di riferimento e che i contratti di questi docenti siano allocati lì. Ne consegue un duplice sistema retributivo: dipendenti con un contratto estero e dipendenti con un contratto italiano. Questo duplice sistema si traduce in una diseguaglianza considerevole nella retribuzione.
Il bonifico corrisposto a un dipendente estero può essere più del doppio di quello corrisposto al dipendente italiano che fa lo stesso lavoro. Nella valutazione di questa differenza bisogna, tuttavia, tener conto che il sistema estero e quello italiano si distinguono, fra le altre cose, nel regime fiscale, nel sistema previdenziale e nella sicurezza contrattuale: punti decisivi per il costo di lavoro.
Alcuni cenni: i dipendenti italiani ricevono uno stipendio netto, ma il costo sostenuto dall’azienda include, inoltre, le imposte, la previdenza sociale, la quota del TFR. I dipendenti esteri, invece, non sono soggetti alla tassazione italiana, pagano in parte la pensione e per intero l’assicurazione sanitaria, mentre il TFR non è previsto. I contratti italiani sono fissi, quelli esteri suscettibili a licenziamento. Il regime previdenziale italiano prevede ampi periodi di assenza per malattia, maternità, motivi familiari, mentre quello estero è molto più restrittivo. I costi per l’azienda sono quindi simili per le due categorie.
Tenendo conto anche della provenienza degli introiti, la questione della giusta retribuzione diventa ancora più difficile. Le sovvenzioni, parte sostanziale del budget complessivo, vengono erogate soltanto per i dipendenti con il contratto estero che sono, quindi, essenziali per la sopravvivenza della scuola e che, per venire in Italia, rinunciano a benefici retributivi e possibilità di carriera in patria”.
Andrebbero pagati ancora di più? Come risolvere questo dilemma? “Informando tutti i dipendenti sul complesso quadro istituzionale. Equiparando ove possibile i trattamenti: entrambe le categorie sono pagate secondo qualifica e anzianità, entrambe possono beneficiare di un sistema di incentivi erogati ogni anno dal consiglio di amministrazione, tutti possono, di fatto, senza distinzione di contratto e nazionalità diventare membri dell’associazione e partecipare così alla gestione della scuola.
Le possibili conclusioni sono: i soldi non sono l’unico movente per un dipendente, altrettanto importano la sicurezza contrattuale, la stima da parte di colleghi e superiori, la realizzazione di sé e la possibilità di partecipare in qualche modo alla gestione del proprio lavoro.
Se un’azienda non può dare le garanzie di un contratto fisso, dovrebbe pagare di più affinché il dipendente possa garantirsi da solo i periodi di malattia, disoccupazione e la pensione. Il coinvolgimento dei dipendenti alla gestione mediante un diritto di voto o una rappresentanza obbliga questi a un atteggiamento responsabile verso l’impresa, e permette agli amministratori di orientare le scelte strategiche verso una crescita sostenibile dell’intera organizzazione.