La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Riforma dei contratti, più spazio al welfare contrattuale

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Il welfare aziendale di tipo contrattuale entra a pieno titolo nel trattamento economico complessivo dei lavoratori. Nello storico accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil sulla contrattazione collettiva che ha dato vita al nuovo modello contrattuale ‘aperto’ per spingere la crescita della produttività delle aziende italiane (“Per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria”, è scritto nel documento), c’è spazio anche per welfare, riconosciuto come uno strumento che favorisce il benessere organizzativo e la conciliazione vita-lavoro e che può spingere anche il miglioramento della produttività e delle condizioni di impiego.

Il documento conclusivo dell’accordo tra le parti sociali (Leggi l’accordo che deve essere firmato il 9 marzo) ha quindi aperto una nuova stagione per il welfare contrattuale, già fortemente incentivato dalle recenti normative: sin dalla legge di Stabilità 2016 con la riforma dell’Articolo 51 e 100 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) il welfare aziendale è diventato una leva di gestione organizzativa e di cura delle persone; successivamente le leggi di Stabilità 2017 e 2018 ne hanno sancito l’importanza come strumento per integrare il primo welfare.

All’interno dell’accordo Confindustria-sindacati, il welfare viene citato nel Trattamento economico complessivo (Tec) – formato dal Trattamento economico minimo (Tem) e dalle altre voci (per esempio “le eventuali forme di welfare”) che il “contratto collettivo nazionale di categoria qualificherà come ‘comuni a tutti i lavoratori del settore’ a prescindere dal livello di contrattazione a cui il medesimo contratto collettivo nazionale di categoria ne affiderà la disciplina”.

Le parti sociali, secondo quanto è stato scritto, “ritengono necessario salvaguardare il carattere universale del welfare pubblico”, ma sono pure convinte che “forme di bilateralità possano integrare il sistema di relazioni industriali e del modello contrattuale contribuendo alla realizzazione di un welfare contrattuale integrato e coordinato”. D’altra parte, è noto che il primo welfare abbia alcune difficoltà ad assicurare risposte soprattutto alle nuove necessità dei lavoratori, nonostante gli ingenti investimenti (circa 800 miliardi di euro) in previdenza e sanità: lo Stato infatti non sempre è in grado di garantire le coperture dei ‘nuovi rischi’ come la non autosufficienza, la precarietà lavorativa, l’esclusione sociale e le difficoltà di conciliazione vita-lavoro.

“Confindustria e Cgil, Cisl e Uil ritengono che lo sviluppo del welfare contrattuale, che deve mantenere la sua natura integrativa ai diversi livelli, possa rappresentare un terreno di crescita del benessere organizzativo e di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nel quadro di un miglioramento complessivo della produttività e delle condizioni di lavoro”, si legge nel documento diffuso.

Tuttavia le parti sociali hanno evidenziato che “il welfare contrattuale opera nei vari ambiti della contrattazione collettiva” in modo “differenziato e disomogeneo”: questo impone la necessità di “creare le condizioni per un miglior coordinamento delle iniziative”, partendo da “un modello di governance che si dimostri capace di ottimizzare e qualificare i contenuti della contrattazione in materia di welfare integrativo”.

A interessare maggiormente i soggetti coinvolti nella proposizione del nuovo modello contrattuale sono alcune materie, come “la previdenza complementare, l’assistenza sanitaria integrativa, la tutela della non autosufficienza, le prestazioni di welfare sociale e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, con l’obiettivo di “consentire una maggiore universalità delle tutele”. Una presa di posizione netta che conferma anche l’iniziale volontà del Legislatore che sin dal 2016 con la riforma del Tuir aveva ampliato il panel di soluzioni di welfare proprio per sostenere il primo welfare laddove la sua carenza è più evidente, senza tuttavia voler creare una distinzione tra lavoratori di Serie A e quelli di Serie B.

Particolare attenzione è stata riservata alla “previdenza complementare”, che secondo Confindustria e Cgil, Cisl e Uil ha assunto “un ruolo sempre più importante”; l’obiettivo, in questo caso, è rafforzare il “secondo pilastro” in termini di crescita dimensionale dei fondi aumentando le adesione dei lavoratori e quindi dei patrimoni gestiti, ma pure diversificandone la scelta, per “contribuire al sostegno dell’economia reale del Paese”. Tra gli strumenti indicati dall’accordo, si parla di un “confronto con le istituzioni finalizzato a migliorare la fiscalità di vantaggio sulle prestazioni dei fondi pensioni e la riduzione della tassazione sui rendimenti, nonché a ottenere la revisione della disciplina sui benefici fiscali per gli investimenti dei fondi anche nell’economia reale”.

Da tutelare, infine, la “centralità della contrattazione collettiva” e il rispetto dei “contenuti obbligatori dei contratti collettivi sulla disciplina della previdenza complementare”, perché la contribuzione alla previdenza complementare e la sua destinazione “sono frutto di un equilibrio contrattuale complessivo” tra sindacati e parti datoriali: “Le messa in discussione di questo principio da parte del legislatore mette in discussione la funzione assegnata ai fondi, quale secondo pilastro di un sistema che vede nella previdenza complementare una necessaria forma di integrazione e di sussidiarietà”.

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