La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Sistemi retributivi e performance aziendali – parte 1

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Le relazioni (im)possibili

La corretta progettazione e implementazione di sistemi di incentivazione manageriale è tema critico, sia nella prassi manageriale, sia in letteratura. Nello specifico la criticità del tema dal punto di vista manageriale è riconducibile a tre aspetti di fondo:

• la rilevanza del sistema di incentivazione come meccanismo di attrazione di risorse manageriali qualificate in azienda;

• il ruolo del sistema di incentivazione nella ricerca del costante allineamento fra obiettivi personali (del management) e obiettivi aziendali;

• il rafforzamento dell’orientamento alla performance che detti sistemi possono contribuire a generare.

I sistemi di remunerazione e incentivazione rappresentano, pertanto, una fondamentale leva motivazionale, in grado di contribuire in modo decisivo all’efficace realizzazione di una governance volta alla creazione di valore e allo sviluppo sostenibile nel lungo periodo. Errori nella progettazione e nell’implementazione di tali sistemi possono condurre a risultati di scarsa efficacia (bassa leva motivazionale per il management) ed efficienza (spreco di risorse monetarie) e, in alcuni casi, aumentare il profilo di rischio dell’impresa privilegiando scelte che in un’ottica di medio – lungo periodo finiscono con il deteriorare il valore aziendale. Per evitare tali errori è necessario comprendere le logiche sottostanti al funzionamento dei sistemi di incentivazione e remunerazione manageriale e conoscere le caratteristiche dei diversi strumenti in cui gli stessi sistemi possono essere articolati. 

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A cura di:
Gianluca Meloni, Senior Lecturer SDA Bocconi
Luca Zambon, Università Bocconi

 

La grande rilevanza del tema dal punto di vista manageriale si è associata ad una grande attenzione da parte di studiosi e accademici.
I numerosissimi testi pubblicati, gli articoli e le ricerche presentate in questi ultimi anni, sono testimonianza di tale interesse. Nello specifico diverse sono le prospettive di analisi che nel tempo hanno trovato riscontro sul tema.
Di particolare interesse è il contributo di Jensen, Murphy e Wruck (2004) che ha inaugurato il filone del managerial power approach. Tale approccio rappresenta una nuova modalità di concezione del potenziale legame esistente tra il problema di agenzia e i sistemi di incentivazione e remunerazione manageriale, e si contrappone al tradizionale optimal contracting approach.
Rimandando ad altra sede per una discussione più approfondita sul tema, e sul connesso dibattito e confronto esistente all’interno della dottrina, in breve le caratteristiche e i punti cardine dei due approcci di cui sopra sono i seguenti: – l’approccio dell’ ”optimal contracting” riconosce nelle somme riconosciute al management, in virtù di piani di remunerazione ed incentivazione, una soluzione (parziale) al problema di agenzia.
Compito del soggetto o dei soggetti responsabili della definizione di tali piani è quello di elaborarli in modo tale che essi possano rappresentare efficienti ed efficaci forme di incentivazione, idonee a far sì che il management aziendale abbia come obiettivo la massimizzazione del valore per gli azionisti.

Secondo studi effettuati da ricercatori che adottano l’approccio “optimal contracting”, la principale lacuna degli attuali sistemi di remunerazione ed incentivazione sarebbe rappresentata dal fatto che, a causa delle implicazioni etiche connesse a politiche retributive eccessivamente elevate, i sistemi di remunerazione e incentivazione monetaria non sono sufficientemente efficaci (Jensen e Murphy, 1990); – Al contrario, secondo l’approccio managerial power, la remunerazione del management non è vista come una potenziale soluzione al problema di agenzia, ma come parte del problema stesso. Secondo questo approccio i sistemi di remunerazione e incentivazione manageriale sono modellati, da un lato, da forze di mercato, che promuovono assetti volti all’ottimizzazione degli stessi, dall’altro da influenze manageriali, orientate all’ottenimento di benefici per il management, anche a scapito degli obiettivi societari.
La “debolezza” che caratterizza i mercati (mercato per il controllo, del capitale, e del lavoro dirigenziale) relativamente all’effettiva capacità di imporre vincoli e restrizioni rappresenta una fonte di opportunismo per il management. Lo stesso può, infatti, esercitare la propria influenza nelle decisioni riguardanti i sistemi di remunerazione e incentivazione e, conseguentemente, ‘distorcere’ a proprio vantaggio tali sistemi, deviandoli da situazioni ottimali: maggiore è il potere manageriale, maggiore sarà la capacità di attuare comportamenti di rent-seeking. Da qui la necessità di valutare l’effettivo grado di efficacia dei sistemi di misurazione analizzando la relazione esistente fra dinamiche retributive e performance aziendali, unica analisi attraverso la quale testare efficacemente, secondo l’opinione di chi scrive, il grado di bontà dei sistemi di remunerazione adottati dalle aziende e la loro capacità di risolvere il problema dell’agenzia, superando gli interventi distorsivi del management. Sono numerose le pubblicazioni che affrontano il tema in aderenza a questo approccio: Foulkes (1990), Ellig (2007), Milkovich e Wigdror (1991), Brown e Heywood (2002), Ali Shah, Javed e Abbas (2009), Mäkinen (2007), Balsam (2002) sono fra i contributi più interessanti.
Proprio Balsam nel suo lavoro introduce un elemento innovativo all’approccio descritto, la relazione tra dinamiche retributive e performance aziendali infatti, viene analizzata considerando un’ulteriore dimensione, ovvero utilizzando quale metro di valutazione delle performance aziendali il livello di dividendi riconosciuti agli azionisti nei diversi esercizi. Peraltro, sempre stando alla letteratura di riferimento (Barkema and Gomez-Mejia (1998), Sundaramurthy et al. (2005), Tosi et al. (2000), Baker e Hall (2002), He (2001), Jensen and Murphy (1990), Mäkinen (2007), Geiger e Kashen (2007)), il tema ha una rilevanza crescente al crescere delle dimensioni aziendali; all’aumentare di queste ultime cresce l’importanza della retribuzione del management, così come crescono i problemi di agenzia e le possibili distorsioni attuate dal management come potenziale aggravante al problema. Prendendo spunto da queste premesse l’articolo intende capire l’esistenza di un effettivo legame fra dinamiche retributive e performance aziendali, per il tramite di un’analisi empirica condotta anche discriminando le imprese in virtù della loro dimensione.
Nello specifico gli autori intendono misurare due relazioni che, alla luce della letteratura citata in precedenza, sembrano essere particolarmente significative nella valutazione del grado di efficacia dei sistemi di retribuzione e incentivazione:
1. la relazione esistente tra dimensione aziendale e livello di retribuzione riconosciuto al top vertice aziendale;
2. la relazione tra il livello di retribuzione riconosciuto al vertice aziendale e i risultati conseguiti dalla società.

L’analisi condotta
Ai fini del presente contributo è stata effettuata un’analisi su un campione costituito da cento società quotate presso Borsa Italiana S.p.A. Tale campione comprende le prime 100 società per Enterprise Value medio calcolato sulla base del dato giornaliero del periodo compreso tra il 1 gennaio 2006 e il 30 giugno 2009.
Non sono state considerate le società ammesse alla quotazione in data successiva al 1 gennaio 2006 e le società che risultano essere sottoposte ad attività di direzione e coordinamento da parte di altre entità incluse nel campione così come tutte quelle realtà aziendali che rappresentano il risultato di processi di M&A avvenuti nell’arco temporale preso in considerazione per lo svolgimento dell’analisi.
I dati sono stati raccolti mediante uno studio puntuale dei bilanci e delle relazioni pubblicate dalle società, mentre per quanto riguarda le performance di mercato (corso azionario del titolo ed Enterprise Value) si è ricorso all’ausilio di banche dati. Per ciascuna delle società considerate si è proceduto alla raccolta dei dati relativi agli esercizi 2006, 2007 e 2008. Per i dati relativi al trattamento economico di amministratori e top manager si è fatto riferimento ai soggetti che svolgono tali ruoli nella società che esercita l’attività di direzione e coordinamento; così si è proceduto per il rilievo del dato relativo alla presenza e alla composizione del comitato per le remunerazioni.
Con riferimento alle società che hanno optato per modelli di amministrazione e controllo differenti da quello tradizionale si è proceduto come segue: per le società che hanno adottato il modello dualistico non sono stati considerati i dati relativi ai membri del consiglio di sorveglianza iscritti all’albo dei revisori contabili, mentre per quelle società che hanno optato per il modello monistico, sono stati esclusi i soggetti membri del comitato per il controllo sulla gestione.

Le evidenze preliminari
Prendendo come punto di partenza il dato di risultato netto conseguito dalle società incluse nel campione, e quello relativo agli importi medi riconosciuti dalle stesse società ai componenti degli organi amministrativi, emerge come, malgrado sembri esistere una relazione fra dinamiche retributive e performance, le evoluzioni di queste due variabili mostrano un differente grado di sensibilità (si veda figura 1).

Figura 1 - Variazioni di risultato versus variazione livelli retributivi
Figura 1 – Variazioni di risultato versus variazione livelli retributivi

Nello specifico con riferimento alla variazione tra il 2006 e il 2007, il rapporto tra delta percentuale del risultato netto e delta percentuale della remunerazione degli amministratori è pari a 2,6975, mentre lo stesso rapporto, se calcolato relativamente alle variazioni tra l’esercizio 2007 e quello 2008, è pari a 2,5864.
La ragione di questa diversa sensibilità può essere ricondotta a due motivazioni di fondo: – da un lato la rigidità della struttura retributiva (componente fissa versus variabile) potrebbe calmierare le variazioni retributive del management, con ciò potenzialmente riducendo il ruolo incentivante del sistema retributivo e la sua capacità di allineare interessi individuali e interesse aziendale; – dall’altro, la possibilità del top management di “condizionare” i sistemi retributivi potrebbe indurre azioni “di riduzione del rischio individuale”, con ciò confermando le tesi di Jensen et al.
Dal punto di vista della composizione retributiva le evidenze segnalano come circa l’80% del pacchetto retributivo sia costituito da compensi fissi (si veda figura 2) con ciò confermandosi come la vera determinante della minore variabilità dei compensi rispetto alla variabilità di performance.

Figura 2 - Le componenti del pacchetto retributivo
Figura 2 – Le componenti del pacchetto retributivo

Con riferimento, invece, al tema della gestione “opportunistica” del management dei sistemi di retribuzione la ricerca ha cercato di verificare l’esistenza di un buon grado di ‘autonomia’ di detti sistemi focalizzan do l’attenzione sulla composizione del comitato per le remunerazioni interno ai cda aziendali.
Il codice di autodisciplina delle società quotate emanato da Borsa Italiana raccomanda, infatti, di costituire all’interno dei consigli di amministrazione un apposito ”comitato per le remunerazioni”, composto, in base alle indicazioni dell’articolo 7.P.3 “da amministratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti”, il cui compito è quello di proporre al consiglio le decisioni concernenti le remunerazioni degli amministratori delegati e degli amministratori che ricoprono particolari cariche. Alla luce di quanto evidenziato, si è ritenuto opportuno effettuare un’analisi circa l’effettivo recepimento, da parte delle società incluse nel campione, della raccomandazione contenuta all’interno del codice al fine di verificare l’esistenza almeno dei requisiti di indipendenza di base che dovrebbero garantire una maggiore equità del sistema retributivo. Relativamente ai tre esercizi considerati, mediamente il 90% delle società incluse nel campione ha provveduto a costituire all’interno del proprio CDA un comitato per le remunerazioni.
Per quanto attiene la composizione dello stesso, ed in particolare con riguardo al numero dei membri in possesso dei requisiti di indipendenza, i dati raccolti sono rappresentati in figura 3.
Dai dati, e in particolare analizzando i trend fatti registrare dalle diverse società, è da giudicare positivamente il significativo incremento, intercorso tra l’esercizio 2006 e quello 2007, del numero di società nelle quali è possibile riscontrare un comitato per le remunerazioni composto in maggioranza da membri indipendenti, così come altrettanto positiva è la riduzione, rispetto al dato relativo all’esercizio precedente, del numero di società per le quali non è presente alcun membro indipendente all’interno del costituito comitato , che si riscontra in tutto il periodo considerato.

Figura 3 - Composizione del comitato per le remunerazioni
Figura 3 – Composizione del comitato per le remunerazioni

L’analisi mette però in evidenza anche segnali non confortanti: relativamente al confronto tra il dato 2007 e quello 2008 infatti, oltre all’aumento del numero delle società che non hanno provveduto alla nomina del comitato per le remunerazioni (aumento comunque modesto), è possibile riscontrare un certo numero di società nelle quali il comitato è composto in prevalenza da membri non indipendenti. Le evidenze, tuttavia, non sono tali da confermare pienamente (almeno stando a questa prima verifica) le preoccupazioni di Jensen (et. al.). Nonostante queste prime analisi possano fornire qualche indicazione in merito alle relazioni esistenti fra incentivi e performance e a quali fattori possano accelerare o calmierare questa relazione, esse devono essere intese come mere analisi indiziarie; al fine di verificare la veridicità di queste prime ipotesi di relazione è pertanto necessario avviare uno studio più articolato.

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