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Sistemi retributivi e performance aziendali – parte 2

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Le relazioni (im)possibili
A cura di:

Gianluca Meloni, Senior Lecturer SDA Bocconi
Luca Zambon, Università Bocconi

 

I risultati emergenti dall’analisi
Come già evidenziato nella prima parte del presente contributo due sembrano essere gli aspetti che in letteratura emergono come di maggiore interesse con riferimento al tema dei sistemi di remunerazione: da un lato, la necessità di capire se esista una relazione fra dimensione aziendale (con tutte le implicazioni in termini di complessità gestionale e ampiezza di responsabilità che ne consegue) e livelli retributivi; dall’altro l’obiettivo di comprendere i legami fra performance aziendali e gli stessi livelli retributivi.
Al fine di verificare l’eventuale esistenza, e la relativa natura, di una relazione tra dimensione aziendale e livello di remunerazione riconosciuto ai membri degli organi amministrativi, è stato elaborato un modello regressivo di natura logaritmica mirante ad analizzare la relazione esistente fra fatturato (giudicato espressivo delle dimensioni aziendali, anche in coerenza con ciò che afferma la letteratura di riferimento) e retribuzione del consiglio di amministrazione.
La regressione è stata effettuata sviluppando modelli distinti per ciascuno dei tre esercizi considerati, con un l’intervallo di confidenza pari al 95%.

Di seguito si riportano le equazioni risultanti dal modello implementato:

ESERCIZIO 2006 – Ln(Y)= 1,008 + 0,400 Ln(×) + e

ESERCIZIO 2007 – Ln(Y)= 1,381 + 0,344 Ln(×) + e

ESERCIZIO 2008 – Ln(Y)= 1,507 + 0,318 Ln(×) + e

Analizzando gli output delle analisi di regressione effettuate emerge chiaramente l’esistenza di una relazione positiva tra la dimensione aziendale e la remunerazione riconosciuta ai membri degli organi amministrativi. In particolare tale risultato è suffragato dalla significatività del modello implementato.
Essendo le analisi di regressione effettuate con un livello di confidenza pari al 95%, si è in presenza di un modello statisticamente significativo allorché si registri un valore di p-value inferiore a 0,05 (5%): nel caso delle tre analisi di regressione effettuate, il valore fatto registrare è sempre un valore prossimo allo 0, e quindi comunque inferiore a 0,05. In particolare emerge che, sulla base del campione in analisi, al variare dell’1% della dimensione aziendale il totale della remunerazione riconosciuta ai membri degli organi di amministrazione subisce una variazione positiva dello 0,354% (calcolata come media del dato emergente a livello dei singoli esercizi considerati).
Da qui è possibile affermare che esiste una relazione statisticamente significativa, positiva ed elevata tra la dimensione aziendale e il livello di remunerazione. Tale evidenza conferma quanto affermato da Baumol (1959), McGuire, Chin e Elbing (1962), Ciscel (1974), Walkling & Long (1984), Bebchuk e Grinstein (2005), Lau e Vos (2004), Zhou (2003), Parthasarathy, Bhattacherjee e Menon (2006), Mäkinen (2007), Shah, Javed e Abbas (2009), Hallock (2010). Secondo gli studi appena citati, che prendono in analisi i dati relativi a molteplici realtà operanti in contesti settoriali e paese diversi (fra queste realtà operanti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone, nella Nuova Zelanda), è interessante notare che il grado di relazione tra dimensione aziendale e livello di remunerazione degli amministratori emerso in questa sede e riferito alla situazione italiana, risulta in linea con i dati che emergono da tali studi: firm-size elasticity italiana pari a circa 0,354 vs firm-size elasticity “mondiale” compresa tra lo 0,2 e lo 0,4. Relativamente al secondo tema in analisi, ossia l’eventuale esistenza di una relazione tra i risultati economici fatti registrare dalle società, e il livello di remunerazione dei loro consigli di amministrazione si è provveduto all’elaborazione di un modello regressivo lineare3 (sviluppato con le medesime logiche di significatività descritte in precedenza). Dalle analisi effettuate è emerso che non sussiste una relazione statisticamente significativa tra le retribuzioni riconosciute ai membri degli organi amministrativi e il risultato netto fatto registrare dalle società negli esercizi considerati.
Una possibile ragione di detto disallineamento potrebbe essere riconducibile al fatto che il reddito netto risente di variabili lontane dalla gestione operativa di cui di fatto il management risponde, avendone la piena titolarità. Da qui l’idea di replicare l’analisi di relazione sostituendo il reddito netto con il reddito operativo aziendale. I risultati emersi non si sono rivelati, tuttavia, diversi. Solo in uno degli anni considerati sembra esistere una relazione statisticamente significativa (anno 2007) anche se labile. Una seconda ragione della mancata significatività della relazione potrebbe, tuttavia, essere legata al fatto che ragionando su variabili relative a valori assoluti, le stesse potrebbero essere influenzate dal cosiddetto “effetto dimensione”, la cui esistenza è stata confermata dalle analisi di cui al punto precedente. Al fine di isolare detto ef fetto e di verificare con maggiore accuratezza l’esistenza di un’eventuale relazione tra risultati e remunerazioni, diventa, pertanto, necessario operare in modo tale da neutralizzare questa potenziale fonte di distorsione.
A tal fine si è proceduto mediante la creazione di due ulteriori variabili, determinate sulla base dei dati relativi alle singole società per ciascuno degli esercizi considerati: • rapporto tra utile netto e fatturato; • rapporto tra utile operativo e fatturato (RO S). Tale accortezza non ha, tuttavia, modificato gli esiti dell’analisi, addirittura peggiorandoli, non dando significatività neppure per l’anno 2007 (a dimostrazione della labilità della relazione, come descritto in precedenza). In sostanza quindi emerge che non sussiste una relazione statisticamente significativa tra la remunerazione riconosciuta ai membri degli organi di amministrazione e i risultati economici fatti registrare dalla società, con ciò confermando e rafforzando Ozhan (2007), Mäkinen (2007), Shah, Javed e Abbas (2009), Lau e Vos (2004), Bebchuk e Fried (2004), Murphy e Jensen (1998), Daines, Nair, Kornhauser (2005), Parthasarathy, Bhattacherjee e Menon (2006), (Gomez- Mejia and Wiseman, 1997), (Tosi et al., 1997).

Conclusione
Alla luce dei risultati sinteticamente descritti nei paragrafi precedenti, la situazione che caratterizza le prassi di incentivazione e remunerazione manageriale adottate in Italia, si caratterizza per diverse criticità. La dimostrazione della non sussistenza di una relazione statisticamente significativa tra remunerazione riconosciuta al top management e risultati economici conseguiti dalle aziende, è assolutamente emblematica.
Tra i fattori che possono aver determinato la mancanza di detta relazione, quello che forse risulta il più facilmente riconoscibile è l’eccessiva rigidità del tipico pacchetto retributivo de dirigenti italiani che si configura mediamente per l’80% come retribuzione fissa e per il 20% come retribuzione variabile.
Tale composizione è evidentemente squilibrata e ostativa di un efficace allineamento fra interessi del management e interessi dei principali stakeholder aziendali.
Da un punto di vista più ampio i sistemi di incentivazione e remunerazione manageriale non paiono essere adeguati alla centralità del ruolo che tali sistemi ricoprono all’interno della gestione societaria. Al fine di recuperare una più adeguata relazione fra dinamiche retributive e dinamiche di performance due sembrano essere le strade percorribili: quella normativa e quella ‘aziendale’.
Dal punto di vista normativo la nuova formulazione del codice di autodisciplina per le società quotate, introdotto nel 2006, ha rappresentato un significativo miglioramento anche nella scelta delle logiche retributive degli organi apicali e nella richiesta di trasparenza delle medesime logiche. Ad oggi tale trasparenza appare, tuttavia, ancora parziale. L’esistenza di una comunicazione relativa ai compensi dei dirigenti con responsabilità strategica che preveda in modo più esplicito l’obbligo per le società di dichiarare nominativamente i soggetti con responsabilità strategiche, il loro ruolo, ed il dettaglio delle voci che compongono la loro remunerazione costituirebbe un indubbio passo avanti e faciliterebbe il collegamento fra performance e incentivi. In relazione all’aspetto ‘aziendale’, le principali indicazioni che possono emergere sono quelle riguardanti la composizione dei compensi riconosciuti ai membri degli organi di amministrazione: un maggiore peso della componente variabile e una riduzione del peso della componente fissa renderebbe più efficace la tensione degli organi di governo nel perseguimento degli obiettivi d’impresa, cui gli stakeholder ambiscono. In quest’ottica un’utile strumento potrebbero essere le performance shares.
Tali interventi non sono però di per sé sufficienti: in generale si ritiene che solo un cambiamento culturale possa produrre sistemi di remunerazione con caratteristiche maggiormente meritocratiche che consentano un pieno allineamento fra gli interessi del management e gli interessi d’azienda. Da questo punto di vista il cammino delle imprese italiane pare essere solo all’inizio.

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