La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Strategic Mentoring: nuovo metodo per creare vantaggio competitivo

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In questo momento si sta registrando un crescente interesse per il Mentoring e per l’estensione delle sue applicazioni in contesti organizzativi e popolazioni diverse. Partendo dall’osservazione di un ‘gap di consapevolezza strategica’ fra l’importanza del Mentoring in aziende sempre più ‘Culture and Knowledge intensive’ e le più frequenti pratiche e consuetudini nel gestire questa leva, l’articolo risponde a due domande: Perché oggi il Mentoring costituisce una leva strategica per la competitività aziendale? Cosa ne determina l’efficacia e l’utilità, non solo per gli attori coinvolti ma anche per il business aziendale? Oggi, inoltre, è la persona che si pone al centro del proprio progetto di vita e professionale e per realizzarlo si crea personalmente la sua rete di Mentori.

di Renato Boccalari, Senior Advisor Talent Management in una delle società italiane di riferimento nello Sviluppo dello Human Capital & Rossella Martelloni, Consulente su progetti di Sviluppo delle Risorse Umane, Trainer e Coach, Docente in alcune università italiane.

Il Mentoring è la più antica delle prassi manageriali: la scelta di Ulisse, che prima di partire per la guerra di Troia affida il figlio Telemaco alle cure dell’aio mentore, il vecchio saggio che dovrà educarlo e prepararlo a succedere al trono del padre, rappresenta il primo esempio di Succession Planning e di preparazione ‘organizzata’ della Leadership Pipeline.
Venendo ai tempi nostri, negli ultimi 20 anni la pratica del Mentoring si è sviluppata e diffusa in modo sempre più ampio e diversificato, sia all’interno delle organizzazioni aziendali sia in altri mondi e settori, come il non profit, l’Ospedaliero, la stessa Istruzione.
Ma se la pratica si diffonde, la consapevolezza del suo ruolo strategico non altrettanto.
Le esperienze si moltiplicano, ma l’attenzione a organizzarle e gestirle in sintonia con il vero valore della posta in gioco rimane bassa.
Mentre sempre più professionisti delle Risorse Umane sono coinvolti nella gestione di questa leva chiave per la continuità manageriale e la retention dei talenti, troppo spesso si vedono da parte della funzione HR approcci ‘minimalisti’, più attenti a non disturbare, a non rubare troppo tempo ai capi di linea, che a perseguire le vere condizioni di successo dell’intervento.
Anche da parte del management e del top management, terreno di elezione privilegiato per il ruolo di mentor nei confronti dei giovani talenti, si vedono atteggiamenti che a volte sottovalutano l’importanza del tempo dedicato a questa attività strategica per il futuro dell’azienda, altre volte non tengono nel dovuto conto la motivazione e le capacità che essa richiede, per essere svolta con reale efficacia.
L’analisi dei cambiamenti nello scenario competitivo e delle storie di successo delle aziende che li hanno saputi meglio interpretare, ci dice invece che il Mentoring è diventato una leva di competitività, un vero e proprio core process di business, fondamentale per la continuità e la distintività nel business (chi avesse dei dubbi, può andarsi a leggere la biografia di Steve Jobs quando, a proposito della sua ossessione per l’estetica e l’esperienza tattile del prodotto, racconta che questa passione gliel’ha trasmessa il primo Amministratore Delegato della Apple, Mike Markkula: ‘E’ stato Mike a insegnarmelo’).
A fronte di questo ‘dato di fatto’, scritto in molte storie di successo, sia aziendali sia di grandi leader, il panorama delle esperienze di questi ultimi anni, al di là del moltiplicarsi degli interventi e dell’estendersi dei campi di applicazione, soffre di due gap fondamentali:
• un ‘gap strategico’, di consapevolezza del ruolo del Mentoring per il successo nel business;
• un ‘gap gestionale’, di consapevolezza dell’importanza della governance complessiva del processo e dei suoi risultati, per le persone e per il business.

Per dare il nostro contributo a riallineare l’as is dell’esistente al to be che impongono i tempi, cerchiamo di rispondere, anche sulla base delle più recenti e concrete esperienze, a due interrogativi fondamentali:
• perché oggi il Mentoring costituisce una leva strategica per la competitività aziendale?
• cosa ne determina l’efficacia e l’utilità, non solo per gli attori coinvolti, ma anche per il business aziendale?

E per ognuno di questi interrogativi cerchiamo di rispondere riportando:
• le ‘reason why’ e le ‘condizioni di successo’, da cui dipende l’aggancio strategico delle iniziative e il valore generato per tutti gli ‘attori’ in gioco;
• gli ‘errori da evitare’ per non cadere nella perdita di efficacia e di credibilità delle iniziative;
• i ‘casi di successo’, ricavati da alcune delle più recenti esperienze realizzate da aziende leader, sia nel business sia nella gestione dello Human Capital.

Partiamo dalla prima domanda:
Perché oggi il Mentoring costituisce una leva strategica per la competitività aziendale?
La ‘reason why’ fondamentale nasce da quattro trend di scenario, che spostano le fonti del vantaggio competitivo sui fattori ‘soft’, rendendo il Mentoring una vera e propria leva strategica:
• la continua innovazione richiesta dall’evoluzione tecnologica e di mercato è sempre più legata alle Core Competencies, cioè a fattori ‘soft’ come il talento e il know-how, che diventano la vera fonte di distintività e differenziazione;
• il passaggio From Capitalism to Talentism (World Economic Forum, Davos 2013). Ovvero, la fonte del vantaggio competitivo non sarà più l’accesso alle risorse finanziarie, ma l’accesso a quella risorsa che si chiama istruzione, superiore preparazione scolastica, competenze rare, talento individuale, a patto però che ci sia qualcuno in azienda capace di plasmarla e di svilupparla;
• la crisi finanziaria del 2008, che ha messo definitivamente in crisi la relazione di scambio puramente economico e reso indispensabile un nuovo contratto psicologico, in cui la ‘moneta di scambio’ fra persone e azienda diventa l’ingaggio personale e la spinta individuale all’autosviluppo e alla crescita professionale;
• la crisi del Welfare europeo, che da un lato allunga la permanenza in azienda degli Over 55, ma dall’altro crea anche l’opportunità di valorizzare la crescente Age Diversity, di trarre letteralmente valore dalla convivenza in azienda di popolazioni che vanno dai 25enni agli over 60enni;
Se questo è lo scenario, che sposta le fonti della creazione di valore e della competitività trasversalmente ai settori industriali e di servizi, stiamo dicendo che la cultura, le competenze e i valori di un’azienda non sono più una variabile dipendente e secondaria, ma la fonte primaria del vantaggio e dunque della stessa strategia competitiva e che il Mentoring diventa un Core Process di business (vedi Fig.1).

Gli ‘errori da evitare’, che potremmo definire di vera e propria ‘miopia strategica’, si possono cogliere dalle abitudini e dalle modalità più frequenti nell’affrontare questi interventi:
• non legarli alla comprensione della Cultura aziendale, alle sue caratteristiche distintive e alle necessità di proteggerla e nel contempo farla evolvere;
• offrire il Mentoring come opportunità di sviluppo individuale, senza un aggancio organico al business e ai processi HR;
• focalizzare il Mentoring solo come supporto ai Piani di Successione alle posizioni manageriali, ignorando il piano della cultura e del know-how professionale, che in business sempre più ‘Knowledge intensive’ diventa la vera chiave del successo dell’azienda;
• considerare e trattare il Mentoring come un’opportunità rivolta a ‘pochi eletti’, una leva di solo sviluppo individuale e a disposizione del singolo, senza un aggancio organico con la pianificazione dei processi di acquisizione e crescita dall’interno delle competenze e dei talenti richiesti dall’evoluzione del business.

I ‘casi di successo’ che abbiamo avuto modo di osservare nel recente passato e che in alcuni casi sono in fase di svolgimento, ci consentono di cogliere invece alcuni punti di attenzione che, se ben messi a fuoco e gestiti, fanno la differenza fra un intervento riuscito e uno fallito e che per giunta getta dubbi e incertezze nelle risorse e nel management coinvolto.
Nei riquadri riportiamo due esperienze in particolare, articolando il racconto sulla risposta a queste domande fondamentali:
• qual era l’esigenza e l’obiettivo?
• cosa è stato fatto e come?
• quali sono stati i punti di attenzione che hanno determinato il successo?
• quali risultati si sono ottenuti?

E veniamo alla seconda domanda:
Cosa determina l’efficacia e l’utilità del Mentoring, non solo per gli attori coinvolti ma anche per il business aziendale?
Prima di rispondere, condividiamo la definizione di Mentoring che proponiamo qui sotto

Riprendendo gli studi di autori come Ensher e Murphy (2005), concordiamo sul fatto che il Mentoring è una relazione complessa, non solo professionale, ma olistica, che si articola in tre dimensioni fondamentali: trasmettere sapere, dare supporto emotivo, costituire un esempio (Role Model) per il mente.
Messa in premessa questa definizione, che trasforma il Mentoring in un processo consapevole e strutturato di sviluppo integrato della cultura aziendale e dei talenti individuali, il secondo contributo è rivolto a individuare le condizioni che rendono effettivamente operativo, efficace e misurabile questo nuovo Core Process.
Nella nostra esperienza e secondo le nostre riflessioni, per introdurre con successo la leva del Mentoring occorre progettare e introdurre un sistema che presidia e integra tre livelli e dimensioni del processo complessivo:
• la Governance strategica;
• il processo di gestione ed erogazione;
• la Relazione interpersonale e di apprendimento tra mentor e mentee.

Tratteremo ciascuna delle tre dimensioni, per poi fare alcune riflessioni più complessive. 

Per leggere l’articolo completo (totale battute: 44000 circa – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)

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