La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Tag: corporate social responsibility

È certamente noto a chi legge che ad agosto 2019 la Business Roundtable, associazione di cui sono membri i Chief Executive Officer (CEO) delle principali società statunitensi, ha reso pubblico uno Statement of purpose, una Dichiarazione di intenti.

I CEO si impegnano a “offrire valore ai clienti”, “investire nei dipendenti”, “trattare in modo equo ed etico con i fornitori”, “supportare le comunità in cui si lavora”. Qualcuno, da noi come negli Stati Uniti, accoglie queste affermazioni di principio come passaggio storico, come segnale di profonda discontinuità rispetto al passato. Dove stia questa discontinuità, però, a guardar bene, non è così chiaro. Leggi tutto >

responsabilità sociale

La questione della misurazione degli impatti della Responsabilità sociale d’impresa (CSR) pone difficoltà nella definizione di approcci che siano in grado di catturare e rendere misurabili effetti intangibili e cambiamenti generati sulle persone.

A questo scopo le metodologie si basano su proxy, ossia parametri appositamente costruiti per esprimere un valore intangibile attraverso la sua riconduzione a elementi misurabili. Come si evince dalle metodologie, solo il SROI valuta gli impatti generati su stakeholder e società, mentre né la CBA né la Contingent Valuetaion (CV) valutano impatti (Veisten, 2007; Venkatachalam, 2004, Fujiwarae Campbell, 2011; Layard e Glaister, 1994). Leggi tutto >

Umanesimo manageriale

Affinché si metta in pratica un umanesimo manageriale, miriamo a un ambiente di lavoro sano, dove i vari elementi sono in relazione sinergica tra di loro. In azienda abbiamo cercato di costruirlo, nel corso del tempo, attraverso l’introduzione di un Bilancio Ambientale, un Codice di Sicurezza sul lavoro, un Codice di Sicurezza alimentare, un Bilancio Sociale. Dal 2006 è stato introdotto un Codice Etico che stabilisce la necessità di una condotta aziendale improntata al rispetto della dignità e della personalità di qualsiasi soggetto.

La concezione dell’azienda che cerchiamo di attuare è quella di un organismo vivente in salute. Costituito da tante persone diverse, caratterizzate ognuna dalle proprie qualità, aspettative, esperienze, fragilità, ferite. Come fare perché tutte queste differenti persone lavorino insieme per il bene comune?

Bisogna far circolare le informazioni. Valorizzare la meritocrazia collaborativa.

Sviluppare la cultura della responsabilità e non del potere. Leggi tutto >

di Giovanni Lombardo e Federica Viganò

Con la Direttiva Europea n. 95 del 2014 è stato previsto che talune grandi imprese e gruppi debbano effettuare una comunicazione di “informazioni di carattere non finanziario” e di “informazioni relative alla gestione delle diversità”. Più precisamente, la norma approvata (già recepita in diversi Paesi europei) riguarda le società con oltre 500 dipendenti che, nel contempo, non comunicano già in altri report i dati richiesti e che costituiscono ente o società “di interesse pubblico”.
Questi ultimi soggetti devono comunicare i principali rischi della propria gestione, se connessi ad aspetti ambientali e/o sociali, attinenti più specificamente al personale dipendente; ai diritti umani; alla lotta contro la corruzione, attiva e passiva; all’impatto della gestione delle esternalità (prodotti e servizi commerciali con ripercussioni negative sulla comunità locale o su altri stakeholder); alla gestione delle ‘diversità’ del personale dipendente, o che collabora, nelle varie accezioni che si possono conferire al termine ‘diversity’.
Tuttavia la norma assume una portata più ampia e si riverbera anche sulle micro e piccole medie imprese. Molti grandi gruppi hanno, infatti, già cominciato a qualificare i propri fornitori anche sulla base di criteri socio-ambientali e organizzativi o sulla base del loro approccio nell’ambito dei diritti umani e della gestione delle diversità. Una micro- PMI che non conosce queste tematiche, o che non gestisce la Corporate Social Responsibility (CSR) con appropriatezza e consapevolezza, potrebbe trovarsi esclusa dal parco fornitori di importanti partner; perdere una commessa; oppure non essere in grado di partecipare alla fornitura di beni e servizi a grandi player della propria filiera.
Comunicare le attività non finanziarie e la gestione delle diversità può peraltro costituire una leva competitiva, nella strategia di differenziazione; specie se si associano questi temi all’innovazione sociale e di processo, puntando a caratteriz- zare meglio i prodotti made in Italy, a espandere l’export aziendale o a migliorare performance interne e relazionali, che si possono riverberare a loro volta all’esterno. Leggi tutto >

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