La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Tag: genitorialità

Con le modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2019, cambia la normativa sullo Smart working. Secondo quanto previsto da un emendamento presentato dalla Lega e approvato alla Camera, i datori di lavoro che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti a dare priorità alle richieste di Smart working formulate dalle madri lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità. La priorità è estesa anche ai lavoratori con figli in condizioni di disabilità (in questo caso sia uomini sia donne). Leggi tutto >

Moms@work

Dopo le tanto commentate quote rosa arrivano le misure del governo in favore di quella che viene chiamata ‘genitorialità condivisa’.

Da quest’anno il numero di giorni di congedo parentale obbligatorio per i papà lavoratori sono passati da 2 a 4. I papà che lavorano come dipendenti possono inoltre astenersi dal lavoro per un ulteriore giorno in sostituzione della madre che rinunci a un giorno di congedo obbligatorio a lei spettante.

Anche in Italia, dove il compito dell’accudimento e della cura dei figli è ancora troppo affidato quasi esclusivamente alle mamme, sembra che qualcosa si stia muovendo verso una nuova direzione, che tenga conto e supporti anche la responsabilità genitoriale dei papà, il più delle volte esclusi dalla possibilità di dedicare il tempo che vorrebbero ai propri figli.

“Il desiderio dei papà di essere più presenti e partecipi nella vita dei figli è oggi cruciale nel work-life balance familiare – commenta Alessandra Giordano, Direttore Delivery di Intoo -; dal nostro punto di vista, poi, considerando anche la sensibilità sulla diversity da parte delle aziende, riteniamo molto positiva la crescente richiesta di coinvolgimento in sessioni di coaching anche da parte degli uomini. Ricoprendo spesso anche incarichi di responsabilità, possono oggi diventare davvero agenti e protagonisti di un cambiamento culturale. Il loro contributo attivo nel doppio ruolo genitore-professionista può essere, infatti, realmente utile nel contrastare l’abbandono del lavoro da parte delle donne che ancora nel 2016 erano circa 30mila tra le mamme di bambini entro i 3 anni di vita*”.

Intoo, la società di Gi Group leader nei processi di sviluppo e transizione di carriera che con il servizio Moms@Work aiuta le imprese nella gestione integrata della maternità delle dipendenti, da ormai 2 anni si occupa anche del “fronte” papà con workshop, corsi e servizi di coaching sulla genitorialità e, alla luce di questo scenario, stila, pertanto, un decalogo di consigli utili per i futuri papà:

1-Comprendere – per gestire il cambiamento, come persone e professionisti: Leggi tutto >

Se digitiamo su Google la parola “maternità”, il motore di ricerca ci restituisce subito, tra le parole correlate, “maternità chi paga” e “maternità e lavoro”. Subito sotto, “maternità e lavoro a tempo indeterminato”; “maternità e assegno”; “maternità e disoccupazione”. Solo alla fine compare “maternità a rischio”, quasi fosse l’ultimo dei pensieri quando si scopre di diventare madri: un segnale poco rassicurante nel 2017.

Da quando, negli Anni 60, Gary Becker e Jacob Mincer hanno presentato la loro teoria sull’offerta di lavoro individuale come una scelta razionale tra tempo dedicato all’attività di mercato e tempo dedicato al lavoro domestico, l’economia ha cominciato a considerare la famiglia come un’unità produttiva e non solo come consumatrice. Ciononostante, le capacità acquisite nel lavoro domestico, la cui produzione include tutti quei beni e servizi prodotti in ambito familiare, come la preparazione dei pasti o la cura dei bambini e degli anziani, non sono mai state considerate al pari delle abilità lavorative; di conseguenza l’esperienza realizzata in ambito domestico non è mai stata valutata in termini del suo valore di mercato.

Anzi, la donna che si è allontanata per un determinato periodo di tempo dal lavoro per far fronte ai propri impegni di madre si è spesso trovata, al momento del rientro al lavoro, a dover affrontare la svalutazione delle proprie capacità e, quindi, anche delle proprie mansioni. E allora: a preoccupare le future mamme continua a essere soprattutto il lavoro, in particolare retribuzione e diritti, perché ancora si pensa che essere una mamma che lavora rimanga un problema nella nostra società. Non è di conforto leggere i dati del recente Gender Gap Index del World Economic Forum che rivela come, nell’ambito della partecipazione politica, il gap si sia ridotto solo del 23%, mentre in quello economico del 59%.

Eppure, la nuova Agenda 2030 ribadisce tra gli obiettivi da perseguire la necessità di “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” (Goal 5). Il WeWorld Index 2017 (si tratta di uno strumento per misurare l’inclusione di bambini, bambine, adolescenti e donne nel mondo) dimostra che

una effettiva parità di opportunità tra il genere femminile e quello maschile influenzerebbe positivamente tutta la società Leggi tutto >

Vai alla parte 1 

Seconda parte del resoconto  della tavola rotonda di Sviluppo&Organizzazione Diversity management, il valore delle differenze per le organizzazioni, moderata da Chiara Lupi, Direttore Editoriale di ESTE.

A cura di
=&0=&

I partecipanti

  • Raffaella Bossi Fornarini, Adjunct Professor Multicultural Management, MIP – Politecnico di Milano
  • Federica Di Sansebastiano, Diversity Leader Italy, IBM Italia
  • Flaminia Fazi, Presidente, U2 Coach
  • Paola Iemmallo, Human Resources Director, Hotel Principe di Savoia
  • Massimiliano Maini, Vice President Human Resources Director, Frette
  • Monica Poggio, Direttore Risorse Umane, Bayer
  • Donatella Rettura, Process Designer e Membro Commissione Pari Opportunità, SIA
  • Rossella Riccò, Senior Consultant Area Studi e Ricerche, OD&M
  • Chiara Lupi, Direttore Editoriale di ESTE

=&11=&

=&12=&Per =&2=& questo è un tema di grande interesse, e sottolinea come il vero fine della gestione multiculturale sia la capacità di sfruttare le differenze, non di ridurle. Per questo al MIP si occupa spesso della integrazione e valorizzazione culturale in progetti di M&A: “In questi casi lo strumento che utilizziamo è la due diligence interculturale. Nato per acquisizioni e fusioni internazionali, questo tool è ora diventato di uso comune anche per creare sinergie fra aree diverse della stessa organizzazione oppure per accelerare l’ingresso di persone in azienda. Lavoriamo anche molto sul project management interculturale con strumenti che mappano una serie di caratteristiche individuali, che chiamiamo ‘agilità interculturale’. Questa mappa permette al singolo di conoscere i suoi punti di forza ma anche le competenze da rafforzare.” Le domande sono: ‘Rispetto a queste diversità cosa/ chi deve cambiare o dobbiamo veramente cambiare?’. La Bossi Fornarini ci spiega: “In molte ricerche si sostiene che il raggiungimento di risultati sopra la media si raggiunga in team nei quali convivono le diversità. La chiave non è più ‘come curo la diversità’: le aziende devono saper fotografare la propria organizzazione ed esaltarne tutti gli elementi che ne fanno parte. Perché essere ‘diversi’ porta più innovazione e più idee e capacità di risolvere i problemi.”

A proposito dell’importanza di mantenere la propria identità, =&4=& ci racconta un progetto gestito in Banca di Roma: si trattava dell’inserimento di nuove persone provenienti da altri istituti bancari che durante le presentazioni hanno esordito con ‘Io sono un ex banca di…’. “Dovremmo lavorare tutti, per costruire un percorso basato sulla centralità dell’individuo e affrontare le persone come tali. In un sistema identitario le persone devono potersi distinguere in quanto ‘diverse’ anche se la complessità è insita nel bisogno psicologico di sentirsi distinto dagli altri. In Italia è anche un discorso culturale, si tende a costruire ‘qualcosa’ anche sull’opposizione del diverso. Come in un’alchimia, bisogna a mio avviso trasformare la diversità in una ‘normalizzazione’ che non impedisca l’inclusione: la partita si gioca su progetti con un percorso di appropriazione della propria identità che non sia diminutivo di quella altrui, ma anzi che valorizzi la conoscenza reciproca in modo costruttivo e permetta un ‘patto’ di accettazione e di scambio. Ci sarà secondo me nella prossima generazione un importante shock culturale all’interno delle organizzazioni che si troveranno italiani ‘di tutti i colori’ a differenza delle attuali nicchie manageriali italiane: per avere successo di qui a breve ci dovrà essere una maggiore capacità di attenzione alla particolarità e capacità dei singoli, e coltivarle positivamente in funzione dell’azienda, e non come velleità individuali come a volte ancora accade”. Ci si aspetta quindi una cultura manageriale più attenta a questi temi e che sappia affrontare gli argomenti anche con maggior consapevolezza.

=&15=&

=&12=&=&6=& fa un’osservazione in merito all’approccio dei manager: “Noto spesso in loro un muro di preconcetti che creano un freno e in alcuni casi anche un blocco a qualsiasi tipo di diversità nel senso ampio del concetto. In questo momento storico, facciamo fatica a gestire e riconoscere come oggettivi anche alcuni eventi che se fossimo abituati ad approcciare con i principi del diversity invece apparirebbero del tutto normali. Un caso tipico riguarda la presentazione di candidature di persone che hanno perso il lavoro: spesso ci si interfaccia con loro pensando che è colpa del candidato se al momento si trova senza occupazione, anche quando i fatti dimostrano il contrario e per questo motivo lo si esclude preferendo persone occupate”.

Secondo =&3=& spesso i cambiamenti culturali sono legati a interventi normativi che obbligano a un ripensamento delle prassi consolidate e a una riflessione sui benefici del cambiamento. Ad esempio l’idea della necessità di inserire le persone con disabilità al lavoro ha avuto bisogno per affermarsi in prima battuta in un cambiamento delle norme, da questo è poi scaturita la considerazione che la diversità può diventare un valore aggiunto per l’azienda. In IBM Italia, per esempio, un gruppo di colleghi disabili, proprio in virtù della loro esperienza di vita, ha dato un fondamentale contributo all’azienda collaborando allo sviluppo di progetti di accessibilità informatica”. Rispetto alle differenze tra culture, =&19=& solleva un tema interessante, riflettendo su come in Italia “siamo molto aperti mentalmente quando i problemi non ci coinvolgono direttamente, sappiamo riconoscerli, ma li sentiamo lontani dalla nostra sfera e quindi non pericolosi. Quando usiamo il termine ‘cultura’ siamo proiettati lontano e paradossalmente anche più aperti al confronto, questo succede ad esempio se ci raffrontiamo con un cinese, che percepiamo ‘diverso’ da noi e siamo disposti a capirne e accettarne le differenze, piuttosto che con un lombardo, un laziale o un marchigiano rispetto ai quali, pur non conoscendone le tradizioni culturali, siamo meno predisposti ad accoglierne le espressioni…”.

=&20=&

  • 1
  • 2

Cookie Policy | Privacy Policy

© 2019 ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - Milano - TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24 - segreteria@este.it - P.I. 00729910158
logo sernicola sviluppo web milano