A cura di Valentina Casali – Redazione Este
La problematica dei lavoratori maturi (over 50), e delle rispettive condizioni di impiego nelle organizzazioni, è tutt’altro che nuova. Già un libro del 2005 (Iacci, Rebora, Soro e Trabucchi) la segnalava con il provocatorio titolo Troppo vecchi a 40 anni?.
Poi, con il sopravvenire della crisi, e con la legge Fornero che ha spostato molto in avanti la soglia dell’età di pensionamento, la contraddizione si è acuita. Si vuole che le persone lascino il lavoro più tardi – ben oltre i 60 anni – per non gravare sulla spesa pensionistica. Ma si vorrebbe anche aprire spazi maggiori ai giovani, per combattere la piaga della disoccupazione giovanile e innalzare la produttività aziendale con energie fresche e più ricettive delle tecnologie digitali.
Al di là del paradosso oggettivo, le aziende sono pronte a gestire la compresenza di generazioni così diverse all’interno dell’organizzazione? E soprattutto sapranno valorizzare adeguatamente questa diversità al punto da farne un asset strategico per la crescita e la creazione di valore nel lungo periodo?
Sono queste le domande che abbiamo posto agli ospiti della tavola rotonda promossa dalla rivista Sviluppo&Organizzazione dal titolo Gestire le diversità anagrafiche: solo per necessità? che si è tenuta il 6 maggio 2016 presso l’Università Cattaneo – LIUC a Castellanza (vedi il box sui partecipanti a pagina 29), nell’ambito di una “lezione aperta” del corso di “Relazioni industriali e tecniche di negoziazione” coordinato da Gianfranco Rebora.