La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Verso una nuova forma di cittadinanza aziendale

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L’accordo interconfederale del 9 marzo 2018 tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil si conclude definendo un’opportunità condivisala valorizzazione di forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa”. Mi preme sottolineare la portata ‘rivoluzionaria’ di questo enunciato, che apre a una concezione estesa della partecipazione.

L’accordo punta in direzione di un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo, considerandolo necessario soprattutto per rispondere alle esigenze dei settori emergenti dell’economia. In particolare, per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella Manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria.

Anche coloro che osservano, studiano e accompagnano le esperienze reali di partecipazione sembrano condividere l’idea che la partecipazione (nelle diverse possibili varianti) sia promossa da una serie di fattori concomitanti: risponde infatti alle nuove caratteristiche del lavoro, meno ‘fisico’ di una volta e più ‘di conoscenza’, alla qualità delle persone, lavoratori, manager e imprenditori più formati e preparati, alla spinta competitiva, che richiede alle imprese di far leva sull’impegno non solo individuale, ma di gruppo e sulle soft skill o abilità trasversali.

Esistono le condizioni per superare le concezioni antagoniste delle relazioni industriali o dei rapporti tra datori di lavoro e personale, per vincere le resistenze culturali su entrambi i versanti e quindi per promuovere modelli organizzativi innovativi; le imprese più tecnologiche e impegnate nell’economia della conoscenza aprirebbero la strada a un’evoluzione più generale.

C’è anche un aspetto più sottile, legato all’invasione delle routine e dei modelli lavorativi da parte delle tecnologie digitali. Di fronte a questi processi non bastano reazioni e adattamenti individuali.Occorrerebbe invece tornare a ‘fare società’, a recuperare forme di intelligenza sociale, a partecipare a programmi e progetti di gruppo, condivisi nell’ambito di comunità di pratiche e che aiutino a sviluppare nuove competenze su un terreno non solo tecnico.

Verso una nuova cittadinanza aziendale

 Sembrano così ritornare attuali concezioni comunitarie dell’impresa che riprendono almeno in parte le idee a suo tempo sostenute e praticate da personaggi come Adriano Olivetti e Walter Rathenau. Negli scritti di quest’ultimo, imprenditore e politico nella Germania tra fine Ottocento e l’inizio della Repubblica di Weimar, si ritrova una concezione interessante di ciò che lui chiamava “meccanizzazione”, un processo che quasi anticipava a fabbrica 4.0: “Si possono immaginare delle officine, organizzate in forma così completamente meccanica, che sia sufficiente la facile sorveglianza di un uomo per dirigere nella sua totalità l’ingranaggio della produzione” (Rathenau W., 1976, L’economia nuova, Einaudi, 27).

Nella meccanizzazione e razionalizzazione Rathenau vedeva la fase necessaria di un’evoluzione che non portava a uno stato compiuto, ma poneva nuove esigenze. Di fronte al grande salto tecnologico e della produttività “non vi è mai stata una teoria più sciocca di quella della macchina che toglie il pane all’operaio”.Diversamente, l’impatto trasformativo richiede una gestione non solo tecnica, quanto una nuova concezione dell’economia che “non rimarrà più affare del singolo: l’economia riguarda la comunità”; perché “noi siamo creati per il lavoro, ma il lavoro è creato per noi; in fondo, non siamo custodi di macchine, non siamo guardiani di beni che arrugginiscono e marciscono; in ultima istanza, siamo responsabili di fronte ad anime” (Conferenza del 1921).

Quasi un secolo dopo, siamo ancora di fronte a problemi e opportunità che già allora menti illuminate riuscivano a cogliere. Il cambiamento deve essere governato, ricondotto a forme e strutture che configurino un nuovo ordine, sia al livello di sistema sia dell’organizzazione. Il lavoro non può essere ridotto a una condizione di liquidità permanente, ma uno status di piena cittadinanza aziendale richiede anche un impegno a esercitarla attivamente nella condivisione dei fini produttivi.


Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Professore ordinario di Organizzazione e Gestione delle risorse umane all’Università LIUC – Cattaneo di Castellanza e Direttore della rivista Sviluppo&Organizzazione.

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