La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Per un welfare aziendale 2.0 – Parte II

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Criticità, innovazioni tecnologiche e servizi a valore aggiunto – II parte

di Giovanni Scansani

Leggi la prima parte

Nuovi approcci di Hr managment in un panorama fiscale favorevole, ma anacronistico
Nuovi bisogni giustificano nuove logiche di management delle Risorse Umane e nuove prospettive dalle quali guardare al ruolo sociale che le Imprese sono (ri)chiamate a svolgere essendo queste sempre più vissute (come in origine lo era solo la famiglia) anche quali vere e proprie “agenzie” di Welfare. Tutto ciò, beninteso, in una logica che non è di tipo paternalistico. Il Welfare Aziendale è, infatti, un investimento strategico pianificato prefissando ben precisi ed attesi livelli di ROI con i quali non solo rifinanziare nel tempo il PWA, ma anche poter incrementare le performance di alcuni KPI centrali per la corretta gestione dell’Impresa stessa (tra questi: attrazione e retention dei collaboratori, produttività, qualità, efficienza, engagement del Personale ed employer branding).

Testo Unico delle Imposte sui Redditi
Testo Unico delle Imposte sui Redditi

In questo le Aziende, almeno in parte, sono aiutate da una disciplina fiscale favorevole (Artt. 51 e 100 del D.P.R. 22/12/1986 n. 917: il T.U.I.R. – Testo Unico delle Imposte sui Redditi) che, tuttavia, appare vistosamente datata. Le numerose modificazioni dimensionali e qualitative dei bisogni sociali nel frattempo sin qui emersi non sono state medio tempore recepite da adeguate riforme del regime tributario vigente che, è bene ricordarlo, fino a prima dell’ultima crisi rappresentava un punto di riferimento di scarso interesse per le parti sociali che potevano concentrare la propria azione su politiche retributive basate quasi esclusivamente su incrementi salariali di tipo monetario.
Contraendosi (e in molti casi azzerandosi) i margini di manovra sulle componenti cash delle retribuzioni, la riscoperta di questa favorevole disciplina fiscale ha fornito la base normativa per poter agire, nonostante vi siano alcune criticità il cui denominatore comune – in un quadro giuridico sfuggente sull’aspetto definitorio del concetto di Welfare Aziendale – è spesso la lontananza dall’attuale realtà che queste norme vorrebbero affrontare unitamente all’insieme delle interpretazioni affastellatesi negli anni in una congerie di risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria e di pareri che, su alcune tematiche, hanno complicato il quadro complessivo di riferimento. Si deve, anzi, senz’altro affermare che un potente impulso alla diffusione del Welfare Aziendale potrà derivare solo se, tra i fattori di sviluppo necessari, si potrà pervenire a un quadro giuridico unitario, chiaro ed univoco entro il quale le parti sociali potranno muoversi con certezza.
Senza fare l’elenco delle incongruità della normativa, basterà ricordare come, proprio in relazione ad alcune delle principali aree d’intervento, al decrescere della dimensione della popolazione aziendale la disciplina fiscale appaia persino inidonea all’attivazione di completi e realistici Piani di Welfare Aziendale. Come noto, da un lato, s’incontra il limite rappresentato dalle soglie economiche di defiscalizzazione e di esenzione contributiva che sono a dir poco anacronistiche rispetto alla funzione di sostegno al potere di spesa che dovrebbero assicurare ai Lavoratori (chissà perché le imposte si pagano a valori correnti, mentre le esenzioni o le deducibilità restano ferme per decenni agli stessi importi o alle medesime aliquote), dall’altro lato, vi è il tema della grande contraddizione che riguarda proprio alcune delle principali materie del Welfare Aziendale: ci si riferisce all’indeducibilità che colpisce gli impegni che siano stati contrattualmente assunti dall’Azienda con l’intento di riconoscere il rimborso, totale o parziale, della fruizione di servizi di rilievo sociale (laddove, invece, se riconosciuti in maniera unilaterale e quindi come liberalità ne è consentita l’esenzione fiscale nei termini e nei limiti previsti dal TUIR). È del tutto evidente che penalizzando la bilateralità si finisce per negare ciò che invece, sempre più spesso, le parti sociali mirano ad introdurre nell’ambito della contrattazione (sia di primo che di secondo livello) e che la norma è del tutto aliena dalle dinamiche che il mondo del lavoro esprime. L’Art. 51 del TUIR meriterebbe, quindi, un serio aggiornamento che possa consentire alle Imprese (e alle PMI in particolare) di avvalersi concretamente delle soluzioni che la legge prevede. La soglia del 5×1000 del costo del personale, fissata per determinare il quantum destinabile ad alcune tipologie di interventi di Welfare in Azienda, certamente non consente ad un’Impresa con trenta dipendenti di finanziare realistici PWA apprezzabili dai Lavoratori. Posto che le PMI assorbono oltre l’80% degli occupati e che rappresentano, in numero, il 99,9% delle Imprese in Italia, è quanto dire che a certe soluzioni possono accedere solo poche grandi Aziende.
La necessità di un intervento di riforma è rafforzata dal rischio che il Welfare Aziendale si traduca in una causa di ampliamento del divario tra insider e outsider causata, nel nostro impianto welfarista generale, non solo dal carattere occupazionale del modello, ma anche dalla appena ricordata minore possibilità per le PMI di offrire soluzioni in termini similari rispetto alle grandi Aziende. Si rischia, cioè, come un’attenta dottrina ha recentemente sottolineato (Franca Maino e Giulia Mallone, animatrici del già citato gruppo di ricerca “Percorsi di Secondo Welfare”) che “se i lavoratori delle PMI non potranno godere di trattamenti analoghi a quelli dei lavoratori delle grandi Aziende, il mercato del lavoro sarà costituito da “isole” di benessere contrapposte a una maggioranza di lavoratori sotto-tutelati”.
Per le PMI , allora, in attesa di un aggiornamento della disciplina fiscale, diventa essenziale poter contare su più strutturate partnership pubblico-privato per accedere ai contributi specificamente stanziati, a livello territoriale, per l’introduzione di politiche life friendly in Azienda (ne è un esempio la serie dei bandi della Regione Lombardia), così come importante diventa l’attivarsi per la costruzione di interventi di Rete. Quest’ultimo è il caso, ad esempio, di alcune iniziative assunte in ambito territoriale da Confindustria che, in alcune aree, si è mossa come un “imprenditore collettivo” o, ancora, è il caso di quei progetti realizzati direttamente da alcune PMI che hanno deciso di mettere a fattor comune le necessità dei loro dipendenti facendo “massa critica” verso le unità d’offerta territoriale per ottenere condizioni migliorative nell’accesso ai servizi di Welfare (in buona sostanza adottando prassi del tutto similari a quelle prescelte per acquisti di beni e servizi di tutt’altra natura che sono effettuati sfruttando economie di scala altrimenti non conseguibili singolarmente da ciascuna Impresa).
Anche l’area della conciliazione famiglia-lavoro non è esente da disparità francamente ben poco comprensibili: essa è fiscalmente libera, ma solo in parte, sia da soglie massime che da obblighi di unilateralità ai fini della deducibilità (è il caso, ad esempio, delle spese per asili nido e baby-sitter) mentre, per un’altra rilevante area d’intervento (che, come s’è visto, sarà sempre più tale in futuro: l’assistenza domiciliare) è attualmente del tutto sfornita della medesima agibilità (sia sul piano della bilateralità che su quello economico, a causa di prefissate e limitanti soglie di esenzione). Non minori problemi si registrano anche in altri ambiti che dovrebbero (e potrebbero) essere almeno indicizzati al costo della vita: si pensi alla soglia defiscalizzata di €.258,23 stabilita per escludere dal reddito imponibile del Lavoratore le prestazioni ricevute in natura (qui rientrano iniziative meritorie tra le quali il “carrello della spesa” o la concessione di voucher per gli acquisti) o, ancora, alla risibile cifra destinabile alle esigenze di ristorazione sostituiva di mensa soddisfatte tramite la concessione dei buoni pasto fissata, alla fine del secolo scorso (e mai più adeguata al costo della vita), in €. 5,29 come soglia massima per fruire dell’esenzione fiscale e contributiva.
Un’auspicabile complessiva razionalizzazione del sistema dovrebbe, quindi, condurre a superare il tema della volontarietà (liberalità) come condizione per l’accesso al beneficio fiscale, ad innalzare le soglie e le aliquote di deducibilità e di esenzione contributiva e ad eliminare l’attuale frammentarietà normativa per pervenire, così, ad una soluzione di armonizzazione generale della tematica del Welfare Aziendale che, guardando all’Europa, potrebbe puntare, ad un’estensione delle esenzioni (fiscali e contributive) entro un tetto massimo onnicomprensivo (in Francia, ad esempio, è di tremila euro).  

Total reward con il flexible benefit
Pur con i limiti ora descritti e le criticità che ne conseguono si sta ugualmente consolidando uno scenario nel quale una concertazione più attenta a talune iniziative favorevoli ai Lavoratori ed alle Imprese ha condotto ad un’evoluzione delle politiche retributive in un passaggio, ormai ben definito, che muovendo da iniziali logiche di compensation esclusivamente monetaria è pervenuto alle più strutturate e gratificanti formule del total reward nelle quali una parte della retribuzione fissa e/o di quella variabile viene riconosciuta con una serie di beni, servizi e prestazioni coerenti con le necessità del singolo collaboratore (e/o della sua famiglia) o con quelle di categorie omogenee di dipendenti.
Pur con alcuni limiti (come la necessità di comporre le istanze dei Lavoratori con gli assetti organizzativi ed economici dell’Impresa e, sul piano della stessa rappresentanza sindacale, la difficoltà di addivenire ad una sintesi delle molteplici aspettative derivanti dai bisogni individuali, per definizione caratterizzati da una spiccata soggettività), questa impostazione apre le porte all’introduzione di un basket di misure che l’Azienda offre ai Lavoratori (per libera decisione datoriale o in conseguenza di un accordo con i dipendenti o le Flexible BenefitOO.SS.) con l’intento di aumentare il benessere individuale e/o familiare dei collaboratori sotto il profilo economico e sociale, generare positivi effetti sul piano organizzativo, perseguire obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva (con apprezzabili saving gestionali), aumentare il valore del capitale umano (grazie all’incremento dell’engagement dei dipendenti ed una migliorata capacità di attrazione e fidelizzazione degli elementi migliori oltre che ad un’accresciuta generale produttività ed efficienza con riduzione di costi derivanti da cali qualitativi ed assenteismo. Infine per introdurre – o sviluppare ulteriormente – nuove logiche relazionali con le OO.SS. e i Lavoratori, non disgiunte dall’attenzione che, in tal modo, può essere data anche verso altri stakeholder (il Territorio, la Collettività locale) nel quadro di un impegno più concreto e rilevante anche ai fini della rendicontazione espressa nei bilanci di sostenibilità.
Caratteristica dell’introduzione del Welfare in Azienda dev’essere una tendenziale completezza dell’offerta rispetto alle esigenze individuali e famigliari dei Lavoratori che potranno, così, avvalersi in maniera flessibile dell’offerta di Welfare integrativo. È questa, infatti, la logica dei flexible benefit, ossia di quelle erogazioni non monetarie – ma di tangibile valore economico – che hanno almeno tre buone ragioni per diffondersi: sono assistite da un favor fiscale reciproco per il datore di lavoro e per il dipendente, sono caratterizzate da un buon grado di flessibilità rispetto alle esigenze individuali o famigliari ed infine sono modificabili nel tempo in funzione delle diverse fasi del ciclo di vita nel quale si trova il beneficiario degli interventi.
Tre caratteristiche cui si associa l’output di un triplice vantaggio: la riduzione del costo del lavoro grazie alla leva fiscale (rispetto ad incrementi salariali cash il PWA inverte il rapporto tra il costo di una manovra retributiva ed il valore finale disponibile per il Dipendente), un progressivo miglioramento del clima aziendale (e del valore dell’Azienda come luogo nel quale si desidera lavorare) ed un aumento del potere d’acquisto per i beneficiari dei PWA (e per le loro famiglie) che ricevono beni, servizi e prestazioni che comunque avrebbero dovuto acquistare sul mercato, ma fruendo di un beneficio fiscale altrimenti assente (e quindi, nella sostanza, percependo di più in termini economici).
Se poi i Piani di Welfare Aziendale sono gestiti in outsourcing con l’assistenza di provider professionali, come tra poco si dirà, ciò potrà consentire ai dipendenti di avvantaggiarsi di condizioni di acquisto di miglior favore e all’Impresa di incrementare ulteriormente il valore economico effettivo di quanto stanziato ed assegnato a ciascuno di essi, senza impatti sulla dimensione dell’investimento specifico.
Per l’Azienda, inoltre, i benefici più rilevanti dell’esternalizzazione sono quelli che possono derivare dal supporto alla complessiva pipeline (rappresentata dalle fasi di ideazione, costruzione, gestione e manutenzione del PWA) che gli operatori specializzati sono in grado di assicurare anche sulla base di condizioni di particolare convenienza concordate con le principali organizzazioni rappresentative del mondo dell’industria.  

La costruzione del PWA
Concretamente, però, come s’introduce un Piano di Welfare in Azienda?
Una considerazione preliminare dev’essere ben chiara: nessun PWA nasce magicamente “a tavolino”, dopo una o più riunioni di qualche ora. Interventi così concepiti non hanno grip nei confronti dei dipendenti, sono inefficaci e comportano lo spreco, quasi certo, delle risorse messe in campo.
La costruzione di un PWA che possa dirsi tale e dal quale ci si possa attendere la produzione dei benefici di cui s’è detto poc’anzi presuppone un approccio scientifico. E un forte commitment da parte del top management espresso nel quadro di relazioni con le OO.SS. o con i Lavoratori improntate alla volontà di conseguire obiettivi che, pur se diversi nelle finalità, devono avere un grado di condivisione la più ampia possibile. Il primo step della costruzione del PWA è sempre rappresentato dall’analisi dell’esistente: le Imprese, spesso, hanno già introdotto qualche forma di Welfare Aziendale, ma in moltissimi casi se ne scopre l’inadeguatezza o la non perfetta aderenza al dettato normativo (fiscale e/o contrattuale). Altrettanto spesso si tratta d’interventi risalenti nel tempo e, quindi, obsoleti rispetto alle necessità dei beneficiari.
Queste necessità devono essere precisamente individuate tramite la messa in atto di opportuni sistemi di ascolto, come survey interne e focus group: si avvia, già in questa fase, la prima iniziativa di marketing del PWA che, come vedremo, è essenziale per la sua riuscita (che intanto potrà darsi proprio nella misura in cui l’avvio del processo sappia generare un impatto motivazionale positivo all’interno del team aziendale, facendo sentire i futuri beneficiari del PWA protagonisti attivi del programma e non meri destinatari passivi dello stesso).
Connessa al primo step è la fase di costruzione di una mappatura socio-demografica della popolazione aziendale perché, per progettare correttamente il PWA, si dovranno conoscere sia le caratteristiche del singolo dipendente (quanto ad indicatori come: età, genere, reddito, nucleo – se mono o plurireddito –, presenza di genitori anziani a carico o di familiari non autosufficienti), sia le caratteristiche del territorio (grado di copertura dell’offerta di Welfare di primo livello ed analisi del contesto in cui vive il singolo Lavoratore e la sua famiglia).
Questa analiticità nella profilazione dei beneficiari è essenziale: è del tutto evidente che le esigenze di chi vive in nucleo familiare con figli a carico e magari anche con l’impegno di assistere un genitore anziano, saranno diverse da quelle di un single. In funzione del “tessuto” sociale espresso dall’Azienda, in questa fase dell’analisi potranno essere utili anche gli apporti derivanti dalle politiche di diversity management eventualmente già adottate (si pensi alle imprese con forte presenza extracomunitaria nelle quali sono espresse esigenze del tutto specifiche).
Individuate le necessità e costruita una clusterizzazione della popolazione aziendale e dei suoi bisogni la definizione del PWA passerà attraverso una fase di modeling che avrà il pregio di condurre ad opportune simulazioni di impatto rispetto alla singola Azienda che consentiranno sia d’identificare possibili variabili che ne possano in qualche misura ridurre l’efficacia, sia di rimuovere ex ante i punti di frizione che potrebbero influire sulla sostenibilità del Piano stesso, così favorendo il complessivo fine tuning del PWA. Definito ed approvato il Piano, fondamentali saranno le sue modalità di comunicazione e si è già segnalato in proposito come sia opportuno far sentire i futuri beneficiari del PWA come protagonisti attivi del programma. In vista dello start-up del Piano, si tratterà di adottare logiche di marketing interno che in nulla differiranno (se non per i destinatari) da quelle che si esprimono nella cura che ciascuna Impresa ha nel disegnare le sue strategie di comunicazione verso i propri clienti.
Con l’introduzione di un PWA, infatti, il dipendente cessa di essere (solo) il fornitore di una prestazione lavorativa e diventa (anche) un vero e proprio cliente (dei servizi di Welfare messi a disposizione dall’Azienda o per la cui fruizione quest’ultima è intervenuta coprendo, in tutto o in parte, i relativi costi). Ciò comporta l’introduzione di iniziative di customer care non dissimili da quelle adottate verso la clientela dell’Impresa (si pensi, ad esempio, al tema dell’assistenza da fornire ai beneficiari del PWA nelle fasi antecedenti, contestuali e successive alla fruizione dei servizi previsti dal Piano, secondo logiche di pre e post vendita).
Non meno importante, durante la fase di costruzione del PWA (e poi nelle fasi di erogazione e successiva manutenzione del Piano) è la definizione di una corretta filiera interna con il coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali utili le quali non si limiteranno al solo top management o alla sola Direzione HR, ma includeranno Finanza, Giuridico, Controllo di Gestione, Marketing: tutte aree che presidiano, ciascuna, numerosi aspetti da analizzare nel corso del programma di definizione del PWA ed anche successivamente alla sua introduzione in Azienda.
La dialettica della filiera interna dimostrerà che tra queste funzioni ci sono più argomenti in comune di quanto usualmente si creda e l’esempio principale è certamente quello della relazione che si crea, nella definizione e nell’aggiornamento delle policy di Welfare Aziendale, tra CFO e Direzione HR; quanto alla filiera esterna si tratterà di procedere all’individuazione dei fornitori dei servizi necessari all’esecuzione dei servizi previsti dal Piano o, in alternativa, alla scelta di un provider in grado di fornire soluzioni idonee all’ottimizzazione del PWA decidendo, inoltre, se attivare un suo coinvolgimento sin dalle prime fasi laddove ci si orienti verso operatori in grado anche di fornire completi apporti di tipo consulenziale e tecnico per la corretta progettazione del Piano stesso e per il successivo coordinamento del network dei fornitori dei servizi e delle prestazioni previste dal Piano.
Internamente all’Azienda è poi essenziale definire il livello di governance del PWA che, in funzione della complessità dell’Impresa, potrà necessitare – alternativamente – o di una ridefinizione organizzativa, nella forma della nascita di un’unità operativa ad hoc (nelle Aziende di grandi dimensioni è presente la funzione del Welfare Manager e in alcuni casi è stato costituito un organismo di rappresentanza bilaterale, con paritetica presenza di componenti aziendali e sindacali) o, come minimo, di un’estensione delle responsabilità delle unità preesistenti (Direzione HR o Amministrazione del Personale).  

Outsourcing operativo e gestionale
Gli impatti dell’operatività quotidiana di un Piano di Welfare Aziendale, sul piano organizzativo interno e per gli stessi beneficiari, si possono comprendere appieno considerando quali siano i vantaggi derivanti dall’outsourcing dei servizi di supporto dei quali un PWA necessita.
Un provider specializzato in soluzioni avanzate (definibili di “Welfare 2.0”) sarà, anzitutto, in grado di eliminare la quasi totalità dei carichi di lavoro mettendo a disposizione una piattaforma web che tramite internet (o direttamente implementata nell’intranet aziendale) consentirà a ciascun dipendente, in un ambiente customizzato ed user friendly, di agire in totale autonomia nelle fasi di scelta dei servizi, di destinazione delle risorse assegnate (anche tramite gestione dei programmi di MB O) e di rendicontazione documentale dei servizi fruiti. Un portale web di questo tipo è in grado di acquisire in formato digitale i documenti di spesa, di archiviarli elettronicamente e di generare flussi informatizzati immediatamente recepibili dai sistemi di payroll dell’Azienda, con produzione automatica di accrediti/addebiti in busta paga senza alcuna necessità di successive contabilizzazioni interne.
Questi flussi potranno, inoltre, generare reportistiche suddivise per sede/centro di costo/filiale/reparto ed essere acquisiti dai sistemi di contabilità e di controllo di gestione. Ciascun dipendente, in ambiente protetto, dovrà disporre di un suo profilo individuale dal quale poter accedere al menù dei servizi disponibili nel quadro del PWA e interagire online con il provider per ricevere assistenza, scaricare documentazione, utilizzare eventuali voucher elettronici ed alimentare la survey di gradimento (che avrà così la possibilità di aggiornarsi in tempo reale rispetto alle singoli fruizioni) oltre, ovviamente, a poter monitorare l’andamento dei propri consumi rispetto al budget individuale che il PWA gli ha assegnato.
Un provider professionale può essere necessario per una gestione snella e meno onerosa delle fasi di procurement di quei servizi che non possono essere acquistati direttamente dal Lavoratore e che dev’essere l’Azienda ad acquistare per suo conto (è il caso degli oneri di utilità sociale di cui all’Art. 100 del TUIR espressamente richiamati dal già ricordato Art. 51).
Tramite l’acquisto concluso dal provider, su mandato del datore di lavoro, la compliance rispetto alla disciplina fiscale vigente è del tutto assicurata e l’Azienda avrà risparmiato le risorse altrimenti da dedicare alla raccolta delle richieste ed alle successive fasi di acquisto e pagamento diretto dei servizi nonché di contabilizzazione delle diverse (e potenzialmente numerose) fatture da ricevere (con l’outsourcing l’Azienda riceverà un solo documento fiscale: la fattura riepilogativa emessa dall’operatore gestionale corredata da eventuali report sui consumi).
L’esternalizzazione dei servizi di supporto consente, inoltre, di avvalersi di un plus che i provider più strutturati possono offrire in quanto soggetti aggregatori dell’offerta dei servizi di Welfare presente sul territorio: l’operatore gestionale può essere, infatti, in grado di “pacchettizzare” l’offerta dei beni e dei servizi previsti dal PWA in soluzioni economicamente vantaggiose per i dipendenti, fermo restando il mantenimento della massima libertà di scelta circa il fornitore al quale essi intendano rivolgersi (uno dei vantaggi della migrazione della gestione su portali online è proprio il venir meno della necessità di costruire ex ante delle reti di fornitori perché il Lavoratore è, in tal caso, sempre libero di rivolgersi a quello a lui più gradito o a quello al quale si stava già rivolgendo prima dell’introduzione del PWA). Il portale per la gestione dei PWA in modalità “2.0” è anche uno strumento di grande impatto comunicazionale ed è di grande utilità per la completezza della strategia di marketing del PWA: la presenza di banner, offerte, e-coupon e strumenti di dialogo accessibili dal proprio profilo personale (tra le quali la stessa analisi di customer satisfaction prima ricordata) fanno di una completa piattaforma web per il Welfare Aziendale uno degli strumenti più idonei per il successo del Piano ed uno dei luoghi più performanti per la sua corretta comunicazione.
Una funzionalità che attiva un’importante fase del programma di comunicazione del PWA – e della quale sono dotati i portali più all’avanguardia – è resa possibile tramite l’allestimento di un’area dedicata alla visualizzazione del TRS (total reward statement) che profilerà individualmente la retribuzione monetaria (fissa e variabile) e quella non monetaria (flexible benefit) consentendo all’Impresa di rappresentare, anche graficamente, il suo impegno verso il singolo dipendente al quale in tal modo è data la possibilità di comprendere più facilmente il valore economico del beneficio ricevuto e (augurabilmente!) di apprezzare l’impegno sostenuto dall’Azienda.
L’outsourcing dei servizi di supporto consente di introdurre anche alcune soluzioni a corredo del PWA che hanno un interessante impatto sul “vissuto” economico della complessiva manovra perché integrano servizi a valore aggiunto che, come nel caso dei “pacchetti” di interventi prima richiamati, sono destinati a dare al PWA una dimensione più completa. È il caso, ad esempio, dell’introduzione di soluzioni basate sulla concessione di Voucher in funzione di Buoni Acquisto ad integrazione del reddito (sfruttando, anche in tal caso, la fiscalità): nelle impostazioni più evolute questi titoli di servizio, pur circolando su reti predefinite, consentono di accedere ad una sufficiente gamma di beni e servizi che, coerentemente con le finalità del PWA, completano il panorama dell’offerta messa in campo dal datore di lavoro.
myvoucherInoltre l’introduzione di Voucher di questo tipo consentirà al dipendente di fruire di una serie di sconti e di promozioni che i partner commerciali dell’operatore gestionale (tra i quali: “catene” della GDO, punti vendita dei principali marchi del settore dell’abbigliamento, della cura della persona, degli accessori per l’infanzia, dell’ottica, dello svago e della cultura) solitamente offrono sotto forma di coupon che corredano i Voucher (per il beneficiario ne risulterà, così, incrementato il valore economico complessivo di cui disporre).
Un operatore gestionale specializzato può attivare offline sul territorio Reti Dedicate composte da realtà commerciali e di servizio coerenti con gli obiettivi del PWA, presso le quali i dipendenti potranno rivolgersi e dove, una volta dimostrata l’appartenenza all’Azienda per la quale quel network è stato allestito (ad esempio esibendo il badge aziendale), essi potranno fruire di promozioni e di sconti specifici in grado d’incrementare il valore complessivo delle opportunità offerte dal Piano. L’individuazione di queste realtà convenzionate (come anche nel caso della Rete di accettazione dei Buoni Acquisto) sarà agevolata se, nella sua trasposizione quale servizio online, il portale web disporrà di uno store locator in grado di consentire al dipendente di selezionare gli affiliati per località, insegna, settore merceologico e tipologia dell’offerta (in questa sezione del portale eventuali e-coupon agevolmente “scaricabili” potranno ampliare la gamma delle opportunità di risparmio offerta dalla Rete Dedicata).
Fanno parte a pieno titolo dei servizi a valore aggiunto per il Welfare Aziendale ed in particolare per l’integrazione del reddito (ma con un comfort di servizio maggiore rispetto alla soluzione prima descritta) strumenti evoluti come le speciali carte prepagate ricaricabili con le quali, senza alcun intervento finanziario da parte del datore di lavoro, ma sfruttando appieno la loro funzione cash-back sul circuito di accettazione, i beneficiari potranno accumulare riaccrediti monetari sugli acquisti effettuati, conseguendo risparmi medi di tutto rispetto (a seconda del merchant prescelto per il singolo acquisto si può andare dal 2% al 30% del valore transato).
Come si sarà già compreso, la concessione di questo strumento (che per l’Azienda rappresenta un acquisto di costo unitario del tutto irrisorio) amplifica, indirettamente, il ristretto spazio lasciato dal fisco alla soglia di esenzione prevista per i fringe benefit.
Infine, per non pregiudicare la complessa costruzione così realizzata, occorrerà presidiare con attenzione e costanza le fasi del monitoraggio e della misurazione dell’efficacia del PWA che potranno essere supportate da indagini ex post e da opinion survey dalle quali, poi, poter procedere a successivi affinamenti del Piano attivando, così, un circolo virtuoso di miglioramento che avrà il pregio di contribuire al raggiungimento dei livelli di ROI attesi grazie al mantenimento nel tempo dell’efficienza e dell’efficacia del Piano di Welfare Aziendale.

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