La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare aziendale Milano 2017, dal benessere a leva gestionale

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L'intervento di Alessandra Smerilli
L’intervento di Alessandra Smerilli

“Parlare di welfare, significa parla di dignità del lavoro. Il benessere delle persone in azienda cambia il modello organizzativo”, queste le parole di Chiara Lupi, Direttore editoriale di Este, che ha aperto i lavori della mattinata. Il primo intervento è stato affidato ad Alessandra Smerilli, suora salesiana e Docente di Economia che ha introdotto un tema importante: il lavoro come dono e la capacità delle aziende di riconoscere tale dono.

“Per prima cosa chiediamoci che cos’è il lavoro. Nel rispondere a questa domanda, concentriamoci sulla parola lavoro e non sui suoi aggettivi perché lavorare significa molto di più che guadagnarsi da vivere”. Avere un’occupazione è importante per la formazione personale e per tutelare la propria dignità: “Non si conosce veramente qualcuno finché non lo si osserva sul luogo di lavoro perché è il posto dove si diventa veramente adulti, è il cemento della nostra società perché è un atto di cooperazione collettiva. Privare della possibilità di contribuire con il proprio lavoro allo sviluppo della società è una violenza, per questo la disoccupazione è un grave problema”.

Alle aziende il compito di riconoscere la qualità delle prestazione che va oltre il raggiungimento del risultato: “Se il lavoro è un dono non lo si può rifiutare, né negarlo o rubarlo, deve essere ‘ri-conosciuto’. Cosa significa riconoscere? Saper accogliere il dono ed esprimere la gratitudine. Standardizzare il lavoro significa non riconoscere l’ingegno, privarsi della creatività, per questo in Francia stanno sperimentando le organizzazione senza management. Nel caos, infatti, si tira fuori il meglio delle persone”. In questo contesto cos’è allora il welfare? “Gli strumenti di welfare aziendale possono aiutare a riconoscere il dono del lavoro perché soddisfano le esigenze personali e familiari, migliorano il clima aziendale, valorizzano le persone. Un premio da dare a tutti che non ha un valore monetario, ma simbolico”.

Il welfare modifica le organizzazioni aziendali

Sulla scia delle suggestioni lanciata da Smerilli, si è svolta la tavola rotonda che ha avuto come tema il cambiamento delle organizzazioni aziendali come conseguenza dell’introduzione dei piani di welfare. La prima a intervenire è stata Elisabetta Della Valle, Company Welfare Manager del Gruppo Nestlé, un’azienda apripista in tema di welfare: “Nella nostra azienda il welfare è sinonimo di benessere delle persone, accompagniamo i nostri dipendenti in tutto il ciclo di vita, con loro abbiamo dei momenti di dialogo. E dall’ascolto abbiamo mutuato le diverse possibilità per conciliare i tempi della vita con quelli di lavoro perché tutti abbiano una vita piena, grazie alla possibilità di poter coltivare le esigenze, le passioni, gli affetti. Il welfare deve essere generativo: dall’azienda il benessere si deve allargare al territorio. Dialoghiamo con il pubblico e con il privato perché il patrimonio generato dal welfare si estenda a tutti, non solo i nostri dipendenti”.

Complice le norme introdotte dalla legge di Stabilità il mondo del welfare è in evoluzione, sul come ha risposto Giorgia Manfrin, Sales Account Specialisti BU Welfare di Edenred: “Esistono oggi nuovi strumenti per il welfare, di cui il principale è il voucher perché è ‘snello’, immediatamente fruibile. I servizi che sono messi a disposizione delle aziende devono essere necessari per la quotidianità di ognuno di noi. E perché siano calati nella popolazione aziendale c’è bisogno di confronto tra le parti”.

La questione organizzativa e la cura delle persone
La questione organizzativa e la cura delle persone

La normativa attuale è stata studiata per condividere i benefici tra dipendenti e azienda. Ne è convinto Nicola Romano, Sales Director BU employalty di Seri Jakala: “Da dicembre 2016 stiamo vivendo un momento di fortissima euforia in ambito HR, anche con la recente legge sullo Smart working. L’introduzione dei flexible benefit porta anche nelle PMI i primi risultati positivi, ma migliorabili. Le aziende che utilizzano i premi di risultato riescono a coinvolgere il 20% delle popolazione aziendale. Numeri ancora bassi e, per aumentare l’interesse, l’azienda deve migliorare la comunicazione, trasmettere al dipendente la reale valenza del benefit”.

Nel settore bancario il welfare aziendale non è una novità perché già ai primi del Novecento si ragionava in termini di benessere come ha raccontato Emanuele Recchia, Head of Labour Policies, Industrial, Relations e Welfare di Unicredit: “Il welfare, di cui in banca si parla già agli inizia del 1900, è una leva gestionale tanto che ci siamo resi conto che i giovani talenti cercano aziende che offrono miglior piani di welfare. Oggi è un tema diventato di moda, ma come si declina il welfare in azienda è il vero tema. Unicredit ha ascoltato le esigenze dei dipendenti, investendo l’8% in welfare, coinvolgendo i sindacati. Con tutte le parti abbiamo creato il nostro piano”. Grazie a una storia così articolata, oggi in Unicredit il welfare si è evoluto: “L’azienda ha bisogno di sapere qual è il ritorno dell’investimento e per farlo ha differenziato i piani in funzione del ciclo di vita del dipendente. Fino a tre anni fa avevamo degli istituti di welfare poco utilizzati, oggi non è più così perché facciamo una misurazione delle esigenze e dell’engagement”.

Le relazioni industriali, terreno di sperimentazione e innovazione 

Un momento dell'evento "Welfare aziendale" Milano 2017
Un momento dell’evento “Welfare aziendale” Milano 2017

Sul perché è utile per le imprese adottare piani di welfare ha risposto anche Claudio Raimondi, Responsabile welfare di Poste Vita: “L’azienda è una microeconomia, per questo il welfare è uno strumento utile per il successo delle imprese. Le aziende italiane più che appassionarsi al welfare, ne hanno colto il ritorno economico e lo sfruttano per fare utili, ma il welfare è un’altra cosa. Pensiamo alle pensioni: solo il 26% dei lavoratori dipendenti avrà una pensione integrativa. Un problema che già anni fa conoscevamo, ma il Governo non è intervenuto in maniera abbastanza puntuale. La piramide demografica, intanto, è diventata un rettangolo e il numero della popolazione anziana ha pareggiato i giovani”. In un contesto del genere le aziende hanno un ruolo sociale: “La previdenza di Stato è un tema importante e le imprese possono essere dei risolutori in questo senso. Per questo bisogna insistere sul tema della previdenza, comunicando l’importanza della pensiona integrativa e della tutela della salute”.

Un esempio concreto di come i piani di welfare migliorino il clima azienda e siano accessibili anche alle PMI è stata la testimonianza di Mauro Califano, Direttore HR di Rodacciai che ha partecipato alla seconda tavola rotonda della giornata: “Da 60 anni siamo nel Lecchese, con filiali in tutta Italia. Introdurre il welfare nel territorio dove operiamo non è stato facile. L’azienda si è evoluta rapidamente, ma non la società intorno. Con il sindacato ci siamo molto confrontatati prima di introdurre nel 2013 il premio di risultato. Già questo passaggio è stato importate dal punto di visto della cultura aziendale. Infatti, la trattativa per introdurre il welfare è stata lunga e faticosa, così come il primo periodo di inserimento. Oggi abbiamo i primi risultati positivi: il piano è rivolto a tutti, gestito tramite una piattaforma che genera voucher, spesi principalmente per i beni di prima necessità e per il gasolio, ma anche per pacchetti benessere e per la salute. Abbiamo fatto formazione sul tema e sull’utilizzo dei benefit, andando incontro anche alle esigenze della popolazione aziendale più anziana che ha difficoltà con gli strumenti telematici”.

Con Califano hanno dialogato due rappresentati delle istituzioni per riflettere su come il welfare interviene sule relazioni industriali che divengono terreno di sperimentazione e innovazione. La prima a intervenite è stata Antonella Marsala, Responsabile progetto di Anpal, Agenzia Nazionale delle politiche attive del lavoro: “Introdurre il welfare in azienda non è cosa facile perché prevede un cambiamento culturale. Il Sud in tema di welfare resta indietro, così come le piccole aziende che non hanno Rsu all’interno. All’HR il compito di vigilare e promuovere i piani di welfare, di essere guide per i dipendenti perché i servizi di welfare non vengano percepiti come delle commodity, ma che siano dei circuiti virtuosi”.

Il welfare nelle aziende italiane, però, non arriva con la riforma del 2016, ma è un tema di cui si discute già dagli Anni 90, come ha ricordato Paola Gilardoni, Segretaria regionale Cisl Lombardia: “Il modello delle relazioni industriali si è evoluto già durante la crisi, perché è stato il momento più importante e più difficile riconoscere il lavoro e l’impegno dei dipendenti. Dopo anni di esperienze oggi è il momento di interrogarsi sulle nuove sfide. Il welfare oggi è partecipazione, relazioni e bisogni per questo i piani devono essere decisi con i lavoratori, non solo per i lavoratori, in modo che sia parte integrante anche il territorio. Affinché migliorino le relazioni tra lavoratori, manager e sindacato”. A confermarlo è Marsala: “La norma prevede che i dipendenti prendano parti alla creazione dei piani di welfare. Questo ha degli effetti positivi sul successo dell’impresa perché l’azienda dà delle risposte congrue alle esigenze dei lavoratori”.

La cura delle persone passa dal welfare

Il welfare è prima di tutto cura delle persone, sull’argomento è intervenuto, durante la terza e ultima tavola rotonda della sessione plenaria, Elena Panzera, HR Director Central East Europe Region di SAS: “I piani di welfare in SAS possono essere riassunti in quattro parole: servizi, tempo, spazio e regole. Il welfare è un patto tra il lavoratore e il datore di lavoro, non è meritocratico, ma è un mezzo per ringraziare i lavoratori per la fatica e l’impegno quotidiano. Portiamo avanti una politica di apertura alle esigenze dei dipendenti e cerchiamo di coinvolgere anche i nostri partner. Pur applicando il contratto metalmeccanico, abbiamo dato la possibilità di gestire il tempo come si vuole e questo ha come conseguenza la responsabilità. Ed è la responsabilità che guida il team per garantire la presenza in azienda. Per questo è importante stabilire delle regole”.

Altro tema affrontato durante le giornata, a cui è stato dedicato una sessione parallela è stato il lavoro agile di cui ha parlato Giuseppe Piacentini, Head of Industrial relations&labour legislation di Fastweb : “Facciamo Smart working già da un paio d’anni. Con il lavoro agile è necessario un cambiamento culturale in azienda perché c’è bisogno di una maggiore responsabilizzazione dei dipendenti e dei manager. Non bisogna dimenticarsi delle regole quando si abbraccia lo Smart working, per esempio non è vero che si può lavorare in qualunque luogo, ma solo in posti dove è garantita la riservatezza. Lo Smart working è un passaggio importante perché è un benefit che deve essere strutturato e porta alla partecipazione di tutte le parti, senza dimenticare la prima necessità di un’azienda, ossia fare business”.

A sottolineare quanto il mondo del lavoro stia cambiando, nel tentativo di conciliare maggiormente i tempi della vita con quelli del lavoro è stata Nelly Bonfiglio, Sales director di Easy Welfare: “Quello che mi stupisce è che è in atto una rivoluzione copernicana perché sino a due anni fa il welfare era un tabù. Oggi si parla fin troppo di welfare. Percepisco un’aria di cambiamento, soprattutto per quanto riguarda i flexible benefit”. Per aiutare le aziende ha introdurre il welfare è importate avere avuto un’esperienza diretta dei benefici, come raccontato da Patrizia Miccolis, Amministratore Delegato di Zeta Service: “Abbiamo introdotto molti benefit in azienda e questo ci ha permesso di verificare che se in azienda i dipendenti stanno bene aumenta la produttività e diminuiscono le assenze”. A confermarlo è stato anche Maurizio Sacchi, Head of Human Resources e Organization di Italtel: “Abbiamo introdotto il lavoro agile in azienda e all’inizio abbiamo trovato delle resistenze, soprattutto dal punto di vista sindacale, perché il lavoro è un cambiamento culturale che coinvolge tutti, dai manager che devono imparare a lavorare per obiettivi, ai dipendenti che devono essere più responsabili e comprendere che chi lavora fuori ufficio è operativo come chi resta in azienda”.

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