La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare aziendale e nuovi patti. Ora serve una guida per gli HR

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Di Chiara Lupi

La legge di Stabilità 2016 introduce novità significative in tema di welfare aziendale. Una legge che, per quanto attiene alle tematiche giuslavoristiche, punta a favorire un nuovo dialogo sociale grazie ad alcune modifiche normative di sicuro impatto. In particolare, l’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di favorire, da parte dei privati, nella veste di datori di lavoro, la risposta ai bisogni personali, ‘vecchi e nuovi’, dei singoli dipendenti, anche conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione. In tale contesto, il welfare aziendale può rappresentare un potente motore di sviluppo e crescita; tuttavia, molti restano ancora i nodi da sciogliere. Cerchiamo di far chiarezza in questo articolo grazie al contributo di Silvia Tozzoli e Claudia Gregori, avvocati dello studio Legance – Avvocati Associati.

La crisi economica mondiale in atto ormai da diversi anni continua a condizionare fortemente anche l’economia del nostro Paese, il cui equilibrio generale rimane, nonostante dei primi segnali di ripresa, precario. Elemento non secondario, l’elevata spesa pubblica destinata al settore previdenziale ha progressivamente eroso le risorse destinate ad altre aree di intervento, espressione di nuovi bisogni rimasti, formalmente, privi di copertura pubblica. In tale scenario il legislatore, tramite la legge di Stabilità 2016, ha cercato di dare rinnovato slancio al welfare aziendale, che pare in grado di giocare un ruolo assolutamente primario nel compensare le carenze del sistema pubblico di welfare.

Quali le principali novità di questo impianto normativo?
Le principali novità introdotte dalla legge di Stabilità 2016 sono sostanzialmente quattro: le agevolazioni fiscali relative all’erogazione di premi di produttività, in particolare nei casi in cui il dipendente opti per la fruizione dei medesimi tramite strumenti di welfare; l’ampliamento delle possibilità di utilizzo di strumenti di welfare aziendale, a valle delle modifiche all’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui redditi (Tuir); l’introduzione dei voucher e lo sviluppo della contrattazione di secondo livello. Lo scenario presenta un elevato livello di complessità perché molte sono ancora le zone d’ombra.

I premi di produttività: cosa prevede la norma?
I commi da 182 a 189 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016 riguardano l’erogazione e la tassazione di premi di risultato “di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti” con un decreto di prossima emanazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’obiettivo è agevolare l’erogazione di servizi di welfare rispetto all’erogazione di denaro. Il premio di produttività si adegua al Jobs Act, ma non si tratta di una modifica di particolare significatività. Una disposizione che sembra più una norma in bianco, che rimanda a un decreto attuativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che dovrebbe prevedere qualità, efficienza e innovazione. Si è parlato di norma in bianco in quanto contenuto e scopo del decreto non sono definiti nella legislazione primaria. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dovrà, pertanto, a brevissimo rendere pubblici dei criteri con valenza generale per misurare la produttività; in assenza di indiscrezioni, non èancora possibile svolgere considerazioni sulle logiche sottostanti al criterio di incremento del premio di produttività che verranno adottate dal decreto.

Cosa stabilisce la legge in merito alla loro erogazione?
La legge di Stabilità ha previsto che, salvo il caso in cui il lavoratore vi rinunci, tali premi di risultato (entro l’importo massimo di 2mila euro lordi, elevato 2.500 euro lordi per le aziende che coinvolgano pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro) vengono tassati tramite imposta sostitutiva con aliquota del 10%. Condizione per l’erogazione di tale beneficio è che il dipendente, nell’anno precedente quello di erogazione del bonus, abbia percepito un reddito di lavoro dipendente non superiore a 50mila euro. Tali premi di produttività devono essere, in ogni caso, erogati in esecuzione di contratti aziendali o territoriali ed essere quantificati sulla base dei criteri stabiliti con apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La novità è rappresentata dalla facoltà del lavoratore di scegliere la modalità di erogazione. Corretto?
Se quanto precede rappresenta solo un aggiornamento di strumenti già utilizzati in passato, la novità di maggiorerilievo è che il lavoratore può scegliere che l’erogazione del bonus non avvenga –in tutto o in parte– in denaro, bensì tramite strumenti di welfare di cui all’articolo 51, commi 2 e 3 Tuir (anche in forma di voucher), con l’ulteriore vantaggio che l’erogazione del controvalore del bonus produttività diventa completamente detassata (purché nel rispetto dei limiti previsti dalle norme citate), non scontando neppure l’imposta sostitutiva del 10%.

 

Un interrogativo sostanziale, rispetto al quale anche la Direzione del Personale ha bisogno di maggiore chiarezza…
Sebbene il decreto attuativo dovrebbe essere emanato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di Stabilità 2016, per le molte imprese multinazionali che operano in Italia l’assenza, a oggi, di un criterio per la definizione dei budget rappresenta un’incertezza non da poco. Queste zone d’ombra generano sfiducia in merito alle modalità con le quali il legislatore interpreta le esigenze delle imprese: i direttori HR dovranno, infatti, pensare ai kpi, individuare forme di controllo delle prestazioni, che verranno recepite nell’accordo sindacale come criterio di misurazione. Il tutto in un quadro di incertezza, anche alla luce del fatto che la parte di performance individuale potrebbe essere parte dei criteri individuati dal Ministero. E poi c’è il tema della defiscalizzazione del premio di produttività, in quanto non appare chiaro come si calcoli a tale fine il premio. A ciò si aggiunga che il termine per emanare il decreto attuativo è meramente ordinatorio; è ovviamente è auspicabile che venga rispettato, così da potere avere un quadro più chiaro. Cosa possono fare le aziende? In questo momento nulla.

Veniamo alle modifiche dell’articolo 51 del Tuir: Il superamento del limite della volontarietà rappresenta un cambio di paradigma…
Se nella precedente formulazione dell’articolo 51, comma 2, lettera F) del Tuir l’ambito applicativo della disposizione era ristretto alle sole erogazioni effettuate volontariamente dal datore di lavoro (pertanto con esclusione in via interpretativa delle erogazioni previste dalla contrattazione collettiva), la legge di Stabilità 2016 ha radicalmente sovvertito tale precedente impostazione, introducendo espressamente la contrattazione aziendale come strumento privilegiato tramite il quale attuare le politiche di welfare. Tale sostanziale cambio di impostazione segna il superamento di una visione paternalistica del welfare, ormai in fatto superata: da 30 anni a questa parte, infatti, ci si è mossi attraverso la contrattazione collettiva. Il mutato approccio legislativo comporta, quindi, l’adeguamento del quadro normativo alla realtà fattuale.

Nei fatti, come si supera la volontarietà e quali gli effetti?
È importante soffermarsi sulla modifica che consente alle aziende e ai sindacati di trovare accordi in merito aservizi da offrire ai dipendenti, senza dover sottostare al vincolo della volontarietà (cioè, unilateralità) previsto dalla precedente formulazione, che prevedeva, come detto, che le erogazioni per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto dovessero essere ‘volontariamente sostenute’ dal datore di lavoro per non concorrere alla determinazione del reddito di lavoro dipendente dei percettori. Il termine ‘volontariamente’ viene ora affiancato da una nuova formulazione, che prevede il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nella definizione dei piani di welfare, equiparando i benefit previsti dagli accordi aziendali a quelli erogati dall’azienda in via unilaterale. Anche le successive lettere f-bis e f-ter dell’art. 51, comma 2, Tuir introducono altre importanti novità: l’ampliamento dell’offerta dei servizi welfare detassati a beneficio dei figli dei dipendenti per la fruizione di servizi di educazione e istruzione nonché alla tutela dei familiari anziani, o comunque non autosufficienti, dei lavoratori.

Cosa cambia ora?
Se prima del 2016 l’agevolazione a beneficio dei figli dei dipendenti riguardava solamente la “frequenza di asili nido e colonie climatiche”, oltre, naturalmente alle borse di studio, grazie alla legge di Stabilità 2016 sono diventate agevolabili tutte le forme di sostegno all’istruzione, dall’asilo nido sino ai successivi gradi di educazione scolastica (senza distinguere tra istruzione obbligatoria e facoltativa), unitamente ai servizi integrativi alle medesime ed alle attività ricreative invernali ed estive, che rappresentano un servizio spesso messo a disposizione dalle aziende. Un limite della formulazione della norma, ad oggi non superato, è rappresentato dal riferimento, come destinatari, alla generalità o a categorie di dipendenti, senza precisare i contorni di tale concetto. Da quanto sopra emerge come welfare aziendale trovi, pertanto, nuove ampie forme di incentivo consentendo di riflettere in modo innovativo su come accompagnare le persone lungo i cicli della vita.

Il welfare aziendale diventa lo strumento per creare un nuovo patto tra l’azienda e i lavoratori?
Cambiano i bisogni delle persone e, se i vantaggi di un piano di welfare sono percepiti in modo chiaro dai dipendenti, si crea un circolo virtuoso di fidelizzazione. A fronte di un investimento di 100 euro il valore percepito del servizio da parte dei beneficiari è maggiore: Il dipendente, infatti, può contare sul sostegno dell’azienda, in grado di offrire un ampio paniere di servizi. La produttività del dipendente aumenta e, soprattutto, l’erogazione di servizi rispondenti a bisogni particolarmente sentiti dallo stesso incrementa significativamente la percezione valoriale del servizio fruito, rispetto al suo valore effettivo. Come detto, tutto ciò genera un circolo virtuoso, che per l’azienda si traduce in un grande vantaggio sia in termini di produttività sia di fidelizzazione. La produttività, infatti, è direttamente proporzionale anche a come il lavoratore ‘sta’ dentro l’impresa, cioè dalla percezione che ha dell’importanza che gli viene attribuita come persona.

Per questo diventa importante personalizzare i servizi di welfare…
Sempre nell’ambito della modifica dell’articolo 51 del Tuir, troviamo, con l’introduzione del comma 3-bis, la possibilità di erogare i servizi di welfare mediante “documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale” ovvero i cosiddetti voucher. Tale tipologia di strumenti è importantissima, perché il tema caldo del welfare è la personalizzazione del pacchetto: ai dipendenti possono interessare servizi diversi, a seconda dei concreti bisogni di ciascuno. Prima strutturare un servizio di scelta era complesso perché andavano costruite categorie e la categorizzazione è spesso complicata. Ora il concetto di voucher facilita l’erogazione dei servizi attraverso uno strumento immediatamente utilizzabile e spendibile, anche nelle aziende di piccole dimensioni. Bisogna precisare, peraltro, che, come sopra indicato, il concetto di categoria di dipendenti non è, ad oggi, superabile e il welfare ad personam non è comunque possibile. È vero però che si introduce uno strumento semplice e immediatamente utilizzabile.

Come spendere il voucher?
Veniamo all’erogazione: si tratta di un titolo di legittimazione, spendibile per la fruizione di una serie di servizi, una sorta di bancomat con accredito di un importo predeterminato. Occorre sottolineare che, se è la determinazione dei bisogni a segnare il successo o l’insuccesso di un piano di welfare, l’introduzione del voucher può rappresentare un potenziale superamento di questa logica, anche se le convenzioni sottostanti con i diversi fornitori dei servizi oggetto del piano andranno comunque sottoscritte e gestite dalle aziende. Nelle piccole imprese gestire un piano con diversi servizi è più difficile e, quindi, la soluzione del voucher, facendo ricorso a fornitori terzi, può rivelarsi efficace. Il voucher supera certe complessità e il dipendente può avere molti più servizi di quanti non ne avesse prima. E questo è un elemento da tenere in considerazione.

Le aziende devono essere capaci di attivare nuovi canali di dialogo con le persone e cambiare i modelli culturali che portano ad affrontare temi legati alla conciliazione e alla flessibilità. Quanto può essere d’aiuto questa norma?
La norma in esame è finalizzata alla semplificazione nella gestione dei servizi e alla maggiore attenzione alleesigenze della popolazione aziendale, che mai come oggi ha bisogni differenti, anche alla luce delle diversità anagrafiche presenti in azienda. ‘Fare welfare’ ha una sua complessità e un’azienda può dire di fare welfare se si occupa di tutta la popolazione aziendale. Saper leggere i bisogni delle persone è una sfida che si traduce nell’opportunità di dare un sostegno concreto alle persone; il punto di partenza, in ogni caso, è che alle aziende ‘fare welfare’ conviene e che lavorare sulla produttività è importante. L’idea è ragionare sulla produttività, sull’ottimizzazione del costo del lavoro, sul miglioramento del clima aziendale e sul benessere. In merito ai risparmi fiscali molto resta ancora da chiarire, ma innegabilmente sono stati compiuti di passi in avanti.

Come si stanno muovendo le aziende?
Difficile identificare criteri oggettivi. Il grande lavoro resta quello dell’identificazione dei servizi potenzialmente erogabili. Il punto critico riguarda quest’area: che il welfare aziendale rappresenti una leva strategica per fare business è un fatto e, con gli strumenti che questa norma attiva, ciò viene ad essere alla portata anche delle aziende più piccole.

La norma vuole espressamente favorire la conciliazione vita-lavoro…
La contrattazione di secondo livello che riguarda la conciliazione trova espressione nel Decreto Legislativo del 15 giugno 2015 attuativo del Jobs Act, che aveva destinato il 10% delle risorse del Fondo per il finanziamento degli sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello riguardante la conciliazione. Non è, però, chiaro con quali regole potranno essere utilizzate ai fini della conciliazione dette risorse, che ammontano a circa 35 milioni di euro annui per gli anni 2016, 2017 e 2018. Il tema resta dunque aperto. In generale, possiamo dire che la Legge di Stabilità offre una grande opportunità alle aziende per venire incontro alle esigenze di conciliazione dei dipendenti e per ottimizzare il costo del lavoro. L’approccio è quello della semplificazione: il voucher, come detto, facilita l’accesso ai servizi.

Si semplifica la modalità di accesso ai servizi e, in questo scenario, si aprono nuove sfide per la contrattazione…
Di fatto si apre una nuova stagione di contrattazione, ma i temi da risolvere sono ancora molti. Come abbiamo detto, i criteri per la misurazione del premio di produttività devono essere esplicitati con chiarezza, come pure il monitoraggio della partecipazione dei dipendenti all’organizzazione del lavoro. Anche per questo, la Direzione del Personale ha necessità di un sostegno, e di una guida. 

 

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