La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare Day 2018, il sistema integrativo per combattere le disuguaglianze

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La spesa sanitaria privata si fa sentire soprattutto nelle tasche dei più poveri, mettendoli di fronte all’alternativa tra il pagare o il non curarsi e alimentando così disuguaglianze e rancore sociale. La creazione di un vero secondo pilastro sanitario, con polizze e fondi aperte a tutti, può invertire la rotta e rispondere alle nuove esigenze di cura degli italiani.

Queste la situazione e la proposta emerse il 6 giugno 2018 a Roma nel corso del Welfare Day 2018 “La salute è un diritto. Di tutti”, promosso da RBM Assicurazione Salute, che ha coinvolto player, esperti e decisori pubblici. Un’occasione di confronto e approfondimento partita dalla presentazione dell’VIIII Rapporto RBM-Censis su Sanità pubblica, privata e intermediata.

Spesa sanitaria oltre la crescita dei consumi

La spesa sanitaria privata, tra ticket e prestazioni pagate per intero, ha raggiunto i 37,3 miliardi nel 2017 e si stima possa arrivare nel 2018 a 40 miliardi di euro. Negli ultimi cinque anni è aumentata del 9,6% in termini reali, superando di molto la crescita dei consumi complessivi (5,3%). Nel 2017 oltre 44 milioni di italiani (due su tre) hanno pagato cure di tasca propria per un totale di 150 milioni di prestazioni sanitarie “acquistate”.

In particolare, sette su 10 hanno comprato farmaci spendendo complessivamente 17 miliardi di euro, sei su 10 visite specialistiche per 7,5 miliardi, quattro su 10 prestazioni odontoiatriche per 8 miliardi, oltre cinque su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio per poco meno di 3,8 miliardi, oltre 1,5 su 10 occhiali e lenti per circa 2 miliardi di euro e meno di uno su 10 protesi e presidi per quasi 1 miliardo.

Solo 5,7 miliardi di euro di spesa sanitaria privata, nemmeno il 15% del totale, sono stati rimborsati da forme sanitarie integrative. Il resto della spesa ha intaccato redditi e risparmi delle famiglie, costringendo i meno abbienti anche a scelte impegnative: nell’ultimo anno 7 milioni di italiani si sono indebitati e 2,8 milioni hanno dovuto vendere immobili o svincolare investimenti per far fronte a spese sanitarie.

Il 70% delle famiglie a basso reddito intervistate ha la percezione che la spesa sanitaria privata incida molto o abbastanza sul loro reddito. In una famiglia operaia si raggiungono i 1.100 euro l’anno: la 13esima del capofamiglia, in pratica, serve a quello. Se invece si guarda alla famiglia di un imprenditore, la spesa sale di poco, fino a 1.280 euro, ma l’impatto effettivo è decisamente inferiore. L’indice di incidenza della spesa sanitaria privata sul reddito utilizzato dal Censis raggiunge 106 punti tra gli operai, solo 74 tra gli imprenditori. Eppure, chi gode di forme di sanità integrativa ha la garanzia della copertura del 66% delle cure che diversamente dovrebbe pagare di tasca propria, visto che il valore medio del rimborso nel 2017 è stato di 433,15 euro.

Disuguaglianze e ‘rancore sanitario’

“Quando dobbiamo acquistare qualcosa è chiaro che le differenze di reddito pesano in modo significativo e questo meccanismo tenderà ad ampliarsi. Il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e Pil, infatti, si sta contraendo e certo non crescerà mai più con lo stesso ritmo dei fabbisogni sanitari del Paese, che invecchia, ha più cronicità e cerca cure migliori e più innovative”, ha fatto notare Francesco Maietta, Responsabile Area Politiche Sociali della Fondazione Censis.

Intanto, cresce il malanimo contro il Servizio sanitario nazionale (Ssn): “Il 54,5% dei cittadini pensa che le persone non abbiamo le stesse opportunità di diagnosi e di cure, il 37,8% dice di provare rabbia per le liste d’attesa lunghe e i casi di malasanità, il 26,8 fastidio per le troppe cose da pagare oltre alle tasse. La difficoltà di accesso alla sanità pubblica e i relativi costi sociali, insieme con le disuguaglianze indotte dalla spesa sanitaria privata contribuiscono ad alimentare quello che abbiamo chiamato rancore sanitario”, ha aggiunto Maietta.

“Qualche esempio: 21 milioni di italiani vogliono penalizzare l’accesso al Ssn di coloro che hanno stili di vita nocivi, come fumatori, alcolisti e obesi; 13 milioni dicono stop alla mobilità sanitaria, pensano che ognuno debba curarsi a casa propria. Il 63% non attende alcun contributo dalla politica, ritiene che faccia troppe promesse o non abbia le competenze necessarie. Tra gli elettori di M5S e Lega si trovano i più rancorosi verso il Ssn, ma anche quelli più convinti che un nuovo quadro politico sia in grado di migliorarlo. È la sfida che dovrà raccogliere il cosiddetto governo del cambiamento”, conclude Maietta.

Cure più accessibili e sostenibili per tutti

La spesa sanitaria privata non è una cosa da ricchi, ma riguarda in modo particolarmente significativo redditi medio bassi, cittadini in condizione di fragilità sanitaria, anziani, non autosufficienti. Continuare a lasciare i cittadini di fronte alla necessità di scegliere tra curarsi pagando di tasca propria o non curarsi fa crescere una disuguaglianza inaccettabile”, ha denunciato Marco Vecchietti, Amministratore Delegato di RBM Assicurazione Salute (in foto).

“Bisogna invece rendere queste cure più accessibili e sostenibili per tutti i cittadini italiani, considerando che sono cure sempre più necessarie e devono integrare il paniere offerto dal servizio Ssn. Siamo già in un sistema misto, sia in termini di finanziamento sia in termine di produzione dei servizi. Perché non mettere a disposizione di tutti i vantaggi che oggi hanno già tanti lavoratori dipendenti attraverso la sanità integrativa? Il secondo pilastro non è né antagonista né inconciliabile con il sistema pubblico, ma consente di creare riequilibrio e redistribuzione”.

Le proposte per la costruzione e il potenziamento di questo secondo pilastro sono più di una. “L’ideale sarebbe un secondo pilastro di natura istituzionale sul modello francese, che coinvolga tutti i cittadini oppure dovremmo generalizzare il pilastro di natura occupazionale che abbiamo visto crescere in questi anni con il welfare aziendale, dandogli un respiro più ampio, per abbracciare l’intero nucleo familiare del lavoratore dipendente e assisterlo fino alla pensione”, ha spiegato Vecchietti.

“Questo andrebbe finanziato prevalentemente dalle imprese e supportato attraverso la defiscalizzazione dallo Stato, che già subisce diverse forme di mancata ottimizzazione in Sanità. Il sistema delle detrazioni fiscali, per esempio, non risponde a un preciso obiettivo sociale, perché tende a favorire prioritariamente i redditi più elevati e i residenti nelle Regioni più ricche, diversamente dalla sanità integrativa, che invece opera con una logica molto più redistributiva”.

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