La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Welfare e formazione efficaci passano per la consapevolezza

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È indubbio che la forte spinta al welfare sia strettamente correlata al perdurare e all’intensità della crisi che ha colpito il nostro tessuto economico. La necessità di garantire una integrazione dei redditi e l’adozione di politiche retributive volte a premiare il merito si scontrano con un generale contesto macroeconomico e fiscale vincolante e con la restrizione delle disponibilità dei sistemi di welfare pubblico, riducendo l’efficacia dei protocolli di intesa siglati nel recente passato dalle parti sociali sugli incentivi alle retribuzioni di produttività.

Ci troviamo oggi di fronte a un duplice orientamento nel welfare contrattuale che tende ad avviarsi a maturità: di primo livello per quanto riguarda gli strumenti condivisi nei contratti collettivi nazionali, di secondo livello nei contratti aziendali. In entrambi i casi risulta fondamentale da un lato l’adeguata conoscenza dei fabbisogni dei beneficiari al fine di progettare servizi di elevata qualità, dall’altro che si avviino adeguate azioni (di comunicazione, di confronto, di orientamento, ecc.) volte a rafforzare la consapevolezza della domanda dei beneficiari stessi. In mancanza di tali presupposti, come è ovvio, nessuna politica di welfare riuscirà a raggiungere gli obiettivi auspicati.

Nel presente contributo si intende evidenziare la criticità di tale snodo nella definizione di strumenti di welfare, nel caso della contrattazione sia di primo sia di secondo livello. Nel primo caso si farà riferimento all’ambito della formazione contrattata e – più specificamente – della formazione del management su cui Quadrifor vanta un’esperienza più che ventennale. Nel secondo caso si offriranno alcune valutazioni e riflessioni in base alle realtà a oggi osservate, direttamente e indirettamente.

La formazione come strumento di welfare

Come è noto, nella finalità di favorire la transizione a un’economia basata sulla conoscenza, con la strategia Europa 2020 l’Unione europea ha definito la necessità di raggiungere, entro la scadenza del 2020, il livello minimo del 15% di popolazione attiva coinvolta in processi di istruzione e formazione. Nell’Europa a 28 Paesi si assiste a una situazione molto variegata, in cui i Paesi del Nord Europa mostrano (da tempo) performance superiori al livello stabilito. È il caso della Danimarca, della Svezia, della Francia, dell’Olanda, della Finlandia e dell’Austria. L’Italia, nel 2016, occupa la 20esima posizione nell’Ue28, con il 7,9% della popolazione adulta coinvolta a vario titolo in iniziative di istruzione e formazione, anche se va detto che si tratta di un dato in crescita (dati Eurostat, febbraio 2017).

Il dato comunque non tiene conto delle grandi disparità presenti sul territorio nazionale, che registra tassi maggiori di partecipazione al Centro Nord del Paese a discapito del Sud e delle Isole, tra i giovani più che tra i senior, tra coloro che hanno un titolo di studio più elevato e che occupano posizioni organizzative più rilevanti.

Nelle indagini Istat e Isfol (oggi Inapp) è stato più volte evidenziato come la partecipazione alle attività formative sia direttamente proporzionale al livello di scolarizzazione e al livello di inquadramento dei lavoratori. Dirigenti e quadri risultano essere i maggiori fruitori di iniziative di formazione continua (con una particolare prevalenza dei middle manager), seguiti nell’ordine da impiegati, operai specializzati e operai generici.

I diversi livelli presentano inoltre differenze di genere, laddove si considerano i livelli di scolarizzazione. Nel caso dei middle manager del Terziario, popolazione di riferimento di Quadrifor, le donne tendono (proporzionalmente alla loro effettiva presenza nel livello di inquadramento) a partecipare più frequentemente e le elaborazioni statistiche sui quadri iscritti dimostrano una proporzionale prevalenza di titoli di studio più elevati tra le donne quadro (46,6% con titolo universitario o equivalente a fronte del 42% degli uomini, il 14,9% con master universitario o dottorato rispetto all’8,9% dei colleghi). Resta il fatto che le donne sono, attualmente, circa il 30% dei middle manager iscritti a Quadrifor.

Fin dalla metà degli Anni 90 la formazione è stata reinterpretata come strumento di un modello di welfare ‘leggero’, che mira da un lato all’occupabilità dei lavoratori e, dall’altro, allo sviluppo delle imprese attraverso il rafforzamento delle competenze del proprio personale. È una finalità che impone l’obiettivo di un innalzamento dei tassi di partecipazione, tenendo al contempo conto delle priorità di intervento sugli specifici target, che richiedono impegni differenti.

 

Qualità dell’offerta e consapevolezza della do­manda

Il tema dell’incremento della partecipazione, nei docu­menti di policy (soprattutto nazionali), è stato frequen­temente sovrapposto a quello dell’efficacia della forma­zione. E quest’ultimo è stato per lo più ricondotto alla dimensione dell’innalzamento della qualità dell’offerta. In termini di sistema, il continuo affinamento, a livello nazionale e su impulso europeo, degli strumenti dell’accreditamento e dei modelli di monitoraggio e valutazio­ne sta dando frutti di un certo interesse, ma la sensazio­ne corrente è che vi siano altri versanti del problema ancora da rafforzare. Le difficoltà sono attribuibili ad almeno tre ordini di fattori.

Difficile prevedere gli scenari evolutivi

La prima difficoltà riguarda la difficoltà di prevedere scenari evolutivi. La globalizzazione e la nuova rivoluzione tecnologica hanno reso impraticabili i modelli finora impiegati per leggere le tendenze, in ragione di eventi e innovazioni disruptive, con effetti di forte discontinuità sui processi chiave socio-economici, sia in ambito macro sia micro. I cicli di vita dei prodotti e dei servizi prevedono tempi rapidi di adozione: prendendo a riferimento le classificazioni classiche del marketing, le quote degli innovator, degli early adopter e della early majority si compattano in una fase iniziale ristretta, con una fase di declino anch’essa più rapida che nel classico modello gaussiano.

Da ciò ne discende che l’allineamento fra possibili traiettorie di sviluppo dei modelli di business e l’identificazione delle competenze necessarie per farvi fronte è così reso opaco e fragile. Ne è esempio l’affermarsi delle nuove tecnologie digitali, che sta rivoluzionando i sistemi di produzione e di relazione con i mercati e i ruoli stessi di produttori e consumatori. La ridefinizione dei ruoli professionali e, soprattutto, delle competenze incontra particolare difficoltà soprattutto tra le imprese di piccola e media dimensione, determinando un nuovo e ulteriore tipo di digital divide.

Un’offerta frammentata che fatica a interpretare i fabbisogni

Un secondo ordine di fattori riguarda la capacità dell’offerta di formazione di intercettare i fabbisogni formativi e di identificare prospettive di innovazione dei profili nelle organizzazioni in cambiamento. In misura speculare al tessuto economico nazionale, composto prevalentemente da piccole realtà (al di sotto dei 50 dipendenti) e soprattutto da micro imprese (con meno di 10 addetti), in Italia è attivo un importante numero di agenzie formative le cui dimensioni frequentemente consentono una visione artigianale – spesso di pregio – delle dinamiche professionali e organizzative, ma con scarse opportunità di approvvigionamento di know how e di innovazione.

La critica alla frammentarietà dell’offerta ha portato a visioni parziali dei problemi, proponendo le organizzazioni produttive come luoghi di apprendimento e l’on the job learning come paradigma dell’acquisizione delle competenze che realmente servono al mondo del lavoro.

Ciò equivale a supporre che le capacità di interpretare i fabbisogni e di saper intervenire su di essi siano localizzate nelle imprese, ma basterebbe citare i dati sulla bassa capacità di innovazione delle imprese nostrane per rendere evidente l’incerta solidità di questa ipotesi: le statistiche europee confermano anche nel 2016 l’Italia tra i Paesi moderate innovator (al 18esimo posto nell’Europa a 28 Paesi), al di sotto della media Ue28 e in una posizione distante da quella dei principali competitor europei, i cosiddetti innovation leader (Innovation Union Scoreboard, 2016). Il dato è facilmente spiegabile proprio dalla presenza preponderante di imprese di piccola dimensione, che faticano a individuare strategie opportune e a reperire le risorse necessarie per innovare.

Non è solo un problema di qualità degli interventi

Infine, un terzo ambito riguarda le modalità con cui le policy nazionali definiscono le procedure per garantire la qualità e la valutazione dell’efficacia degli interventi. In questo campo il modello proposto dal pubblico si è tradotto in un grande impegno profuso nei sistemi di accreditamento delle strutture formative e nella valutazione dell’impatto degli interventi promossi e finanziati da risorse nazionali e/o europee. Funzionali all’evoluzione dell’offerta formativa in un determinato periodo storico, tali modelli stanno evidenziando oggi diversi limiti che impongono ulteriori riflessioni per l’allineamento tra domanda e offerta di formazione.

 

Sviluppare una domanda più consapevole

In termini più generali, a fronte di un continuo e importante affinamento delle indicazioni e delle metodologie per il miglioramento della qualità dell’offerta, diversi orientamenti di policy da parte di alcuni Paesi europei sembrano arricchire questo approccio con programmi e interventi maggiormente volti a promuovere la crescita della domanda, stimolandone la consapevolezza nei singoli cittadini.

È il caso, per esempio, del sistema francese di formazione continua, riformato con la Legge 288-2014 del 5 marzo (legge relativa alla formazione professionale, al lavoro e alla democrazia sociale). Senza addentrarsi nella complessità del sistema, è possibile in sintesi evidenziare come le innovazioni introdotte convergano su una concezione del diritto individuale alla formazione, spostando l’asse dal solo miglioramento della qualità dell’offerta verso una maggiore consapevolezza della domanda.

Attraverso la disponibilità di un ‘Conto individuale di formazione’, ogni lavoratore dispone di un accredito automatico di ore di formazione di cui può fruire nell’arco di un anno; e diversi sono gli strumenti prefigurati dalla legge (e predisposti dalla propria organizzazione-istituzione o presso servizi pubblici) per orientare i lavoratori a riconoscere la coerenza tra il proprio progetto di vita e di lavoro e l’opportunità di acquisire-aggiornare le proprie competenze. Si affaccia, in altri termini, il tema della responsabilità individuale, sia del lavoratore sia del datore di lavoro, nella considerazione della formazione come strumento di crescita e di adattamento ai cambiamenti. L’introduzione dell’innovazione si avvantaggia della lunga e importante esperienza del sistema francese nella valutazione delle competenze, nell’orientamento individualizzato, nel sostegno alle scelte individuali di crescita e formazione.

Altri sistemi europei di formazione continua, come quello spagnolo, vanno in questa direzione, assumendo la necessità di un’equa responsabilizzazione del datore di lavoro e del lavoratore sull’apprendimento di nuove competenze. Nel Nord Europa, infine, la propensione alla responsabilizzazione individuale è mediata da fattori culturali che rendono più agevole l’applicazione di policy così conformate.

Nel sistema di formazione continua francese un importante ruolo è rivestito dagli organismi intermedi OPCA (Organisme Paritaire Collecteur Agréé), istituiti nel 1971 e incaricati della raccolta delle risorse provenienti dai contributi delle imprese per il finanziamento di piani formativi concordati tra le parti, nonché di altri dispositivi di orientamento e formazione.

Costituiti dalle parti sociali più rappresentative a livello nazionale, hanno costituito il modello di riferimento per la costituzione anche in Italia di organismi analoghi, i Fondi Paritetici Interprofessionali. Attualmente gli OPCA sono 20, due a carattere interprofessionale e intersettoriale (Agefos-PME e Opcalia) e 18 settoriali. Le risorse sono impiegate per la realizzazione di attività previste dalla normativa francese in tema di sviluppo delle risorse umane:

  • finanziamento di attività di formazione;
  • supporto all’orientamento e bilancio delle competenze;
  • validazione delle competenze acquisite nel corso dell’esperienza di lavoro.

Nella definizione delle proprie iniziative, gli OPCA si ba­sano sui dati e le informazioni rilevate da specifici Osservatori, che hanno il compito di produrre documenti sugli scenari degli specifici settori, sull’evoluzione dei profili professionali, su diplomi, qualifiche, repertori, ecc. La conoscenza delle caratteristiche dei target di riferimento è strutturalmente vista, quindi, come una priorità.

 

Considerazioni per la qualità dei sistemi di wel­fare aziendali

Il rapido proliferare di iniziative di corporate welfare presenta dinamiche simili a quelle fin qui affrontate.

Le grandi imprese predispongono molteplici iniziative negli ambiti del sostegno all’istruzione, del sostegno al reddito, della tutela pensionistica, della salute, della pre­videnza, del time saving, della conciliazione tra lavoro e famiglia. Aziende e gruppi industriali prevedono op­zioni di scelta nelle opportunità da offrire sulla base dei bisogni espressi dagli stessi dipendenti cui le iniziative sono rivolte, anche con la condivisione delle rappresen­tanze sindacali.

Le grandi imprese hanno rivolto l’attenzione anche verso il welfare di territorio, destinando una quota dei propri profitti al sostegno delle collettività al fine di offrire non solo un sostegno ai propri dipendenti, ma anche forme di solidarietà verso chi non ha un lavoro e più in generale nei confronti delle comunità locali e della società civile. Le iniziative hanno in questi casi finalità quali il sostegno all’inserimento di fasce deboli e svantaggiate della popola­zione locale, la protezione e gestione del patrimonio natu­rale, la promozione della cultura e dell’arte, il sostegno ad organizzazioni benefiche, il supporto a progetti scientifici inerenti la salute dei cittadini.

Per quanto attiene le PMI, come indicato dal Rapporto Welfare Index 2016, le iniziative che compongono il wel­fare aziendale sono prevalentemente decise in applica­zione dei contratti nazionali di categoria: è il caso della previdenza complementare (78,2% dei casi) e dell’assi­stenza sanitaria (74,3%, tenendo presente che il 61,2% delle imprese è priva di coperture sanitarie integrative). In altri casi, prevalentemente a carico delle imprese (integrazione sociale e sostegno ai più deboli, mense aziendali, ticket restaurant, convenzioni, soggiorni estivi ecc.), oltre il 50% delle imprese non attua iniziative, fino ad arrivare a quote elevate superiori all’80-90% nei casi delle pari opportunità, del sostegno ai genitori, e per la conciliazione vita-lavoro.

È quindi nel tessuto delle Piccole e medie imprese il versante più critico del welfare aziendale, dove al momento le esperienze di successo evidenziano l’opportunità-necessità di andare verso forme di aggregazione di imprese. Di particolare interesse si sta rivelando lo strumento del contratto di rete, che ha dato luogo ad alcune esperienze significative nella condivisione di servizi di welfare tra imprese presenti sullo stesso territorio. E anche in questo caso, diventa fondamentale conoscere in profondità i bisogni dei beneficiari attraverso adeguati strumenti di rilevazione, in una logica di monitoraggio costante e non di mera valutazione saltuaria.

Inoltre, è necessario – come nel caso degli strumenti di welfare contrattuale di primo livello – favorire la crescita della consapevolezza dei beneficiari. Tra le difficoltà di implementazione di strumenti di welfare è nota una certa diffidenza del lavoratore, soprattutto rispetto alla frequente unilateralità della decisione da parte dell’azienda. Diversamente dal contesto delle grandi imprese, in cui si possono rintracciare numerose esperienze di partecipazione dei lavoratori nell’identificazione e la configurazione dei servizi, nel caso delle PMI occorre individuare strumenti differenti.

Probabilmente, come per altri processi innovativi che richiedono di essere facilitati per essere efficaci, i middle manager possono assolvere ad un ruolo chiave, se opportunamente formati.

 


Pierluigi Richini

Pierluigi Richini è Responsabile Ricerca e Formazione di Quadrifor.

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