Il mantra della
centralità della persona in azienda sembra svuotarsi di contenuti e di credibilità davanti a uno scenario prossimo venturo, ma già chiaramente spalancato ai nostri occhi, fatto di interazione tra uomini, processi basati sull’elaborazione di una mole impressionante di dati esausti,
macchine interconnesse e sempre più intelligenti. Organizzazioni fluide in cui si coniugano ‘impermanenza’ delle professionalità e volatilità delle collaborazioni.
Le modalità stesse in cui si esprimeranno la formazione e la gestione delle persone richiedono un ripensamento e una revisione critica. A partire forse dal termine stesso di “risorsa umana”, soprattutto se “risorsa” è parola che richiama la sorgente (source in lingua inglese) della generazione del valore e non il ‘liquido’ che ne scaturisce.
Il punto è che il sistema della formazione e le professionalità non riescono a tenere il passo in uno scenario caratterizzato proprio dalla liquidità nell’uso della forza lavoro e dalla volatilità delle competenze operative.
Ci troviamo di fronte a un vero paradosso: l’era della trasformazione digitale richiederebbe più intelligenze, ma in Italia il numero di laureati, soprattutto nelle discipline tecnico-scientifiche, è inferiore alla media europea e di gran lunga più basso di quello dei Paesi avanzati. Assistiamo inermi “a un’emigrazione di giovani laureati che non ha precedenti, a un differenziale salariale tra laureati e non laureati che si restringe, un’alta percentuale di laureati che sono sovra-istruiti rispetto al lavoro svolto”, come denuncia il Rapporto scenari industriali di Confindustria. Non servirà dunque una preparazione superiore per operare nelle aziende digitali?
Robot contro umani
Eppure dovremo presto fare i conti con il portato più vasto della quarta rivoluzione industriale:
l’avvento delle macchine intelligenti ad alto grado di sostituzione del lavoro umano Leggi tutto >